La vera faccia di Kevin Pangos: ecco il leader che serve a Milano

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Non sarà mai Sergio Rodriguez, né per personalità e nemmeno per quella gioia tutta chachista di esprimersi con una palla da basket tra le mani. Ma Kevin Pangos sta iniziando a essere se stesso. E in questo momento difficile, per l’amalgama ancora da affinare e gli infortuni che stanno colpendo giocatori-chiave per valore tecnico e importanza nello spogliatoio, non è cosa da poco.

L’esame che si trova ad affrontare è doppio: gestire la squadra ed esserne già leader. Perché le assenze combinate di Naz Mitrou-Long e Tommaso Baldasso stanno azzoppando la regia. E l’addio del Chacho, unito alla serie beffarda di infortuni di Shavon Shields, hanno tolto a Milano carisma e quelle figure di go-to-guy cui affidarsi nei momenti di difficoltà. Sono ruoli delicatissimi, difficilissimi da interpretare in qualunque club, ancor più in un contesto importante come quello milanese. Anche se ti chiami Kevin Pangos e puoi presentare un curriculum che fa invidia alla maggioranza dei playmaker europei.

Kevin Pangos contro Tamir Blatt in EA7 Emporio Armani Milano-Alba Berlino

Finalmente il nuovo, vero Kevin Pangos: creatore e realizzatore

La settimana del doppio turno esterno ci ha consegnato una nuova immagine di KP, diversa da quella opaca e ondivaga dei primi due turni. Spuntato a Lione (soltanto 3 punti con 1/9 dal campo), estremamente alterno con l’Alba (16 punti con altrettanti tiri), Pangos ha infilato il binario buono a Belgrado, proseguendo sulla tratta giusta a Monaco, dove si è vista la sua miglior versione in maglia Olimpia. La prima in cui ha saputo veramente combinare leadership, produttività e capacità di gestire la squadra.

La trasferta contro il Partizan ne ha sottolineato il carattere cinico e letale. A fronte di una regia ancora sospetta, Pangos è esploso sul piano realizzativo in un secondo tempo da vero campione. Il finale in volata ha riproposto il KP dello Zenit. Quello mai domo, pronto a girare la partita con un’invenzione delle sue. Tripla glaciale in faccia a Zach LeDay per ricucire quel gap che aveva spinto Milano sul baratro. E giocata sublime nel possesso decisivo, con Papapetrou bruciato sul primo passo e cameriere mancino per il +5 a 7″ dalla sirena.

La vittoria di Monaco ne ha invece tratteggiato il ritratto più completo. Kevin Pangos realizzatore e creatore di gioco. Vero, le percentuali non sono buone (5/14), ma perché sporcate da qualche errore forzato di troppo nel finale. Quando l’ossigeno è cominciato a scarseggiare. Il sovrautilizzo, in questo momento, è un problema. Ma finché l’infermeria dei playmaker non comincerà a svuotarsi, sarà una condizione obbligata.

Ma vediamo il lato più brillante della medaglia. Canestri importanti, arrivati nel momento-chiave per lanciare la grande rimonta dopo il primo quarto e mezzo di soli pugni incassati. Ma, soprattutto, 11 assist. Ecco, finalmente, anche quella capacità di gestire la squadra, di innescare i compagni. Sono più del doppio di quelli totalizzati nelle prime tre gare della stagione (soltanto 5!). Valgono anche il massimo in generale in questo inizio per l’intera Eurolega (a pari merito con Lorenzo Brown, Vasilije Micic e Darius Thompson) e sfiorano il record di franchigia dell’Olimpia (12 di Omar Cook).

Chi ne ha beneficiato? Soprattutto il frontcourt. Quel reparto in cui Milano ha tradizionalmente faticato, anche nell’era Messina. 17 punti per Melli, 14 per Davies, 10 per Hines. I tre big-men in doppia cifra, contro uno dei sistemi difensivi più tosti dell’intera Eurolega. E una Milano in grado di vincere in trasferta e in volata proprio grazie alla sua efficacia vicino a canestro (22/38, 58%) e in lunetta (15/19, 79%). Spazi migliori, attacco migliore. È un concetto da tenere in considerazione quando si valuta un playmaker. Anche più delle semplici cifre nel box-score.

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