DAY 5
E’ lunedì mattina, è proprio finita. O meglio, lo sarebbe se non ti accorgessi di aver lasciato metà della strumentazione nell’armadietto della Zalgirio Arena. Piovono imprecazioni anche di un certo spessore. Via di corsa (sì, si fa per dire…) verso lo splendido impianto lituano per un’ultima volta. Sarà aperto il lunedì mattina alle 830? Lo è e fortunatamente si recupera tutto dopo una breve negoziazione con una signora che non credo abbia minimamente compreso una singola parola di quanto gli ho detto.
Confessione? Ho fatto un salto negli spogliatoi per vedere se qualcuno avesse dimenticato qualche maglia. Nulla, maledetti.
Ritrovo con il solito gruppo e via di Bolt verso Vilnius, dove attende il volo per Malpensa.
Dormita colossale sul volo e si arriva a casa. Le ultime idiozie vengono sparate al nastro dei bagagli e qui cala il definitivo sipario.
Cosa ti resta di un’altra Final 4?
Quella solita, maledetta sensazione, sempre più forte: c’è la gioia per chi vince, ma maggiore è il sentimento di vicinanza per chi ha perso. Li hai studiati, li hai esaltati, li hai criticati, a volte li hai amati, a volte decisamente meno, ma essere così a contatto con loro ti ricorda che sono prima di tutto esseri umani, alcuni più apprezzabili di altri, con le loro forze e con le loro debolezze che vanno bene oltre contratti milionari e la fortuna di aver potuto rendere lavoro un sogno da bambini.
Il pianto di Vezenkov, quello di Chus che stringe il braccio di Tavares, lo sconforto di Obradovic, il bisbigliare di Laprovittola…
Più di tutto però una certezza, abbastanza sorprendente: il grande spessore umano dei quattro allenatori. Non è necessario essere sgradevoli, a volte maleducati e poco sopportabili per essere un grande della panchina: Chus, Georgios, Sasa ed anche quel Saras sotto una pressione incredibile, lo hanno dimostrato.
Una volta di più, “thanks basketball”.