Illusione, delusione e disillusione. Olimpia, il ciclo vizioso per la festa Partizan

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L’Olimpia guarda ancora nell’abisso, travolta e punita dalla furia del Partizan. Ancora più ferita perché vittima dell’ennesima profonda illusione, in una stagione che regala un’ulteriore gravosa sconfitta, stavolta per 82-69 in quel di Belgrado.

Olimpia loss in Belgrade - Eurodevotion

Proviamo a riallacciare i cocci della serata nella consueta per punti di Eurodevotion.

L’Olimpia e l’illusione

La Milano che comincia è la Milano che costruisce. Quella del Lô di Belgrado, che è maestro di cerimonia, quella della fluidità offensiva e dei tiri aperti dall’arco, a ripetizione.

Il Partizan li favorisce, aiutando con eccessiva forza sugli handler milanesi e concedendo parecchi spazi al fronte offensivo meneghino, ma anche controbatte, almeno in una fase iniziale, con il dinamismo e i pick and pop sublimi di Bruno Caboclo, spina nel fianco per eccellenza per gli ospiti.

L’Olimpia però conserva l’iniziativa sulla gara, persegue il suo brio offensivo e il suo guizzo dal perimetro, abbracciando uno Shields ancora una volta inarrestabile.

E quando Punter torna a strappare un timido vantaggio domestico nella prima metà del primo quarto, la supremazia della gara non per nulla in dubbio. L’Olimpia mostra una tranquillità invidiabile e prosegue nel suo percorso riprendendo la leadership nel punteggio senza troppa difficoltà.

I serbi faticano a produrre attacco di qualità, senza una guida salda nella manovra e senza una chiarezza di idee nell’esecuzione, subiscono così l’ordine e il pragmatismo biancorosso.

Le scarpette rosse di inizio secondo tempo trovano qualche tiro aperto in meno, con il Partizan che si è adeguato cambiando sui blocchi, ma comunque non sembrano per nulla una squadra che, dopo tutto quello che è successo, abbia rinunciato a lottare per sè stessa.

A ogni piccola vittoria, quintetto e panchina esultano. Il Partizan non riesce mai a sfruttare una transizione veloce, quando attacca lo fa con difficoltà, senza mano ferma e si scontra contro una retroguardia organizzata e collaborativa, capace di contenere e aiutare forte sui portatori di palla, quindi di sgonfiare la manovra serba sul nascere.

E in attacco l’Olimpia riesce sempre a trovare la soluzione giusta per cogliere in fallo i suoi avversari. Tutto va a gonfie vele.

L’Olimpia e la delusione

Milano è sopra 60-45, ma l’attimo è fuggente. E anche un attimo può avere un peso enorme. Probabilmente la svolta di questa partita è motivata pure da variazioni tattiche sostanziali, ma la causa che a pelle appare più evidente del ribaltone è quella di un grande testacoda emozionale.

Dozier, poi Leday, infine una tonante tripla di Punter, che ridesta i serbi. Riaccende i cuori, risveglia le menti, richiama all’ordine i compagni, riaccende i tifosi. Il Partizan torna a pungere con una convinzione maligna e progressivamente ficcante.

Un crescendo emotivo che si trasforma in una mareggiata jugoslava, che si rovescia su Milano ed esplode sul finire del terzo quarto.

L’Olimpia è sempre più impallidita, gli uomini di Obradović sembrano moltiplicarsi, così come il chiasso assordante della Stark Arena. I protagonisti bianconeri si innalzano dalla mediocrità, in primis un Leday prezioso in continuità e concretezza, vero capobranco.

Dopo di lui, segue nello spartito infernale la strofa di Nunnally che, con la sua tripla, scatena un +6 che ha tutte le sembianze di una voragine. L’Olimpia non si riprenderà più.

Don’t give up now!” prega i suoi Messina durante un time-out. Le facce dicono già tutto, quella partita non sarà mai riaperta.

Milano è in rottura prolungata, annichilita offensivamente dove è sempre più insicura, spaventata dal montare della fisicità serba e fatalista in una selezione di tiri che in poche parole non esiste. Nutre in questo modo la fiducia del Partizan, che è ormai inarrestabile e ai piedi del suo trittico mortifero Leday-Punter-Nunnally, in trance agonistica.

Quando Punter infila un’altra delle sue poderose triple a 2′ dalla fine, la gara è definitivamente chiusa. In sostanza, con un parziale avverso di 37-7, le scarpette rosse passano nel giro di 10′ dal +15 alla morte cestistica.

E l’epilogo della gara non è altro che una sequela di errori imbarazzanti, che chiude con le macerie un doppio turno amarissimo.

Olimpia, ci risiamo. Chi sei?

Fa ancora più male perché è l’ennesima profonda illusione, dicevamo. L’Olimpia perde così dopo 26′ decisamente molto buoni in un luogo ostile come pochi, perde prendendo più rimbalzi ed elargendo più assist degli avversari, perde dopo aver dimostrato all’inizio una grande maturità di atteggiamento, sorprendendo sè stessa in una settimana che non preannunciava nulla di buono per come era cominciata.

Nel pantano mediatico ed emotivo degli ultimi giorni, mi hanno colpito l’approccio e la gestione così serena e coscienziosa della squadra in tutta la prima fase della gara.

Ancora di più però mi ha stupito la coesistenza a distanza di pochi minuti di quella Milano e di quella totalmente priva di ogni valore tecnico ed emotivo della seconda parte. Un’Olimpia morta, spaurita, pessimista.

Ma allora ecco che in tutto questo c’è un fil rouge, una coerenza. È una squadra che tanto spesso si è illusa e poi, così cocentemente delusa, nel meccanismo di ripetizione crudele di questo tragico avvio di stagione, da aver raggiunto uno stadio di disillusione.

E quindi, Olimpia, ci risiamo. Devi chiederti chi sei e chi vuoi essere quest’anno. E lo devi fare adesso.

È vero che lavorare su sè stessi, in palestra, come ripete come un disco rotto coach Messina da settimane, può portare risultati che oggi è impossibile immaginarsi. Ma illudersi che questo, per accumulo, sia sufficiente senza una riflessione forte alla base è, per l’appunto, l’ennesima e più clamorosa delle illusioni.

E, nel mentre che si continua a costruire illusioni, regolarmente deluse, la disillusione è il più grande pericolo che aleggia sulla stagione di Milano.

Photo credit: Olimpia Milano, Partizan Belgrado Facebook

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