La vertigine dell’orrido, la libidine della follia. La Virtus strappa la partita eterna

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La Virtus impatta la serie alla Segafredo Arena nella partita eterna

Non ci si annoia, non si può dire nulla. La gara che segna un meritato trionfo della Virtus è un match che viaggia su binari bianconeri per minuti sostanziosi prima di lasciare spazio a quel caos irrequieto, schizofrenico, che sa ergere la pallacanestro a storia.

Le VuNere si salvano dopo due supplementari contro l’Olimpia (93-89) e rimettono tutto in pari in vista dell’attesissimo appuntamento a Milano di lunedì.

Al solito circoscrivere un’emozione è sfida ardua, ci tentiamo nella solita analisi tripartita.

La Virtus e il tiro da fuori, le fatiche offensive Olimpia

L’inizio della gara è in grande continuità con lo spartito di Gara 3. L’Olimpia attacca molto in là sul cronometro, facendo tanta fatica a scovare opportunità offensive, mentre, di fronte alle solite forzature, all’approssimazione e alla fretta dei biancorossi, i rivali riescono invece a trovare più fortuna dalla lunga rispetto a 48 prima.

Nel 12-0 che segna la zampata virtussina sulla gara ci sono anche triple di Shengelia e Ojeleye, variabili insolite che danno tutt’un altro sapore alle potenzialità offensive bianconere.

C’è dall’altro lato uno Shields in versione Don Chisciotte, contro i mulini a vento di Cervantes-Scariolo, in una lotta solitaria e vana, pura iniziativa individuale. Bologna triplica in intensità e aggressività Milano, che continua a fare fatica e getta sconsideratamente palloni al vento (6 perse nei primi 10′).

I biancorossi scelgono sempre, metodicamente, il peggiore tiro possibile. Napier si conferma tremendamente estemporaneo, senza che la squadra lo aiuti ad uscire dalla gabbia confezionata, a partire della magistrale difesa sul suo pick and roll. Melli è emblema del momento quando è sempre autore di tiri impiccati fuori dalle sue corde, destinatario ultimo di un attacco inconcludente.

Una produzione bolognese un filo meno puntuale e il primo attacco ben orchestrato da Milano – short roll servito all’ala reggiana, vero termometro della salute offensiva biancorossa – consente a Datome di tagliare sotto la doppia cifra lo svantaggio (40-31) alla metà.

Dopo la pausa continua una fase di interregno. Hackett è supremo cavallo di Troia su quel post basso, la Virtus si nutre della transizione su qualche ulteriore persa di troppo dell’Olimpia e, sebbene gli ospiti cerchino più volte di innestare parziali, rientrare sembra loro un miraggio.

Di contro, è evidente che, nonostante tutti i difetti della prova biancorossa, gli uomini di Messina restano a un potenziale tiro di schioppo dal riprendere la gara. E qui Bologna si riaffaccia al tema della capitalizzazione dei momenti positivi, che già più volte era stato discusso nella serie.

La risposta sembra un’altra investitura della maturità virtussina, con i ragazzi di Scariolo che traggono vantaggio dalle tragedie offensive milanesi e trovano il modo di allungare. C’è in questo grandissima presenza dei lunghi sotto i propri tabelloni e nell’occupare l’area, in particolare di un Jordan Mickey stella polare degli assalti domestici.

Quando con una sgommata in curva pericolosa (+18), Belinelli galleggia, si contorce e sbeffeggia qualunque teorizzazione newtoniana in tema di gravità, l’epilogo del romanzo sembra pronto a scaturire dalla penna del diabolico sceneggiatore di questo sport.

La vertigine dell’orrido, la libidine della follia

Olimpia è storia di indomabili. E quando l’EA7 trova le prime scariche appare più colpo di coda di irrequieto orgoglio che sorgente di nuove speranze.

Il talento dei suoi campioni invece risveglia Milano e apre scenari inattesi. Le scarpette rosse si ritrovano nel loro orgoglio, riscoprono nel ritmo tambureggiante del pompare del loro sangue il ribollire di una rinnovata grinta, che porta a recuperi in rapida sequenza e al traboccare dell’assalto.

Il 13-0 ospite si concretizza nella rottura prolungata Virtus, peraltro reminiscenza non certo remota di abitudini delle VuNere. Le squadre ormai ripetono sè stesse.

E’ anche per questo che, quando Hackett firma la “solita” tripla in transizione a 4′ dalla fine, come in Gara 3, sembra che la truppa felsinea abbia ricacciato la testa dell’Olimpia sotto l’acqua definitivamente.

Non sarà proprio così. Milano riprende a non sapere bene cosa fare del pallone in attacco, finché Napier ferisce ancora con una tripla disperata. La Virtus sembra fare di tutto per perdere una partita già vinta, stravinta, morta.

E’ infatti l’americano, dopo aver sprecato una tripla aperta costruita da sè con maestria, a segnare il canestro del destino. Ritmica serpentina di palleggi, sensuale tip-tap in fronte ad Hackett e siluro dalla lunga che illumina la Segafredo Arena. La peste del Massachussetts è un’istantanea del talento. OT.

Il supplementare appena cominciato pone lo spettatore di fronte alla vertigine dell’orrido. Le due squadre duellano per scelleratezze, la Virtus si contranddistingue per l’inclinazione suicida di scaraventare al vento palloni su palloni, l’Olimpia per la sconvolgente capacità di interpretare le più oscure scelte di tiro.

Il tutto si conclude con l’improbabile palombella di Teodosic davanti a Melli, che impone la necessità di un secondo supplementare.

La tensione è alle stelle nella partita eterna. Le squadre si controbilanciano nell’imperfezione e nel punteggio, facendo affiorare ansia e frenesia palpabili in campo e fuori. Quel mix emotivo insomma che dà vita ad uno strano fascino dell’orrido e, di lì a poco, alla libidine della follia.

Giocare sul filo del rasoio è moltiplicatore di emozioni, allunga e restringe il tempo in modo frenetico, contraddittorio e inspiegabile, fa saltare ogni gioco, razionalità, lucidità. E’ basket dionisiaco.

Teodosic vince gara 4 per la Virtus - Eurodevotion

La gara eterna vede Milano continuare a martellare sugli isolamenti dei suoi, la Virtus cercare di esporre Voigtmann sugli accoppiamenti. Sul quinto fallo di Shields la contesa sembra chiusa per i bianconeri, poco dopo è un incantesimo del mago di Valjevo ad essere maledizione decisiva.

Bollore balcanico temperato da flemma artica, le doti dello scapigliato druido serbo sono perfetta risposta al caos del confronto senza tempo.

Belinelli deve solo ratificare l’operato di Teodosic, dalla lunetta la retina si scuote due volte, docile, e sigilla per la Virtus le porte della vittoria.

Nuovi capitoli

2-2. Saranno due (forse tre) gare in pochi giorni per definire una stagione e tanti destini.

Rispetto agli scorsi anni, chiare indicazioni di successo ancora non ne abbiamo e questo basta a rendere questa una delle finali più intriganti della recente storia italica. Una serie che non ha conosciuto ultimamente molte evoluzioni dal punto di vista tecnico, ma sembra già nel pieno di un forte crescendo emotivo.

Torniamo quindi, di nuovo, a parlare del tema Napier e del mismatch both-side con Hackett, che resta enigma irrisolto per Milano in questa due giorni sotto le Torri. Il play italiano è vero uomo della svolta in tutto quanto di buono Bologna sta facendo, mentre l’americano è uscito di carattere e talento nel finale dalla sudditanza cui era stato relegato di recente. Urgono però, per questa spinosa questione tattica, risposte più corpose e strutturali.

Bologna ha saputo elevare i proventi dall’arco come mai prima (41%), con una dimensione da due meno precisa, ma coinvolgimento in costante crescita dei suoi uomini interni (nonostante uno Shengelia ancora traballante), infine ha tenuto ancora alla grande il duello sotto i tabelloni.

Ha costretto ancora a fatiche un attacco milanese poco propenso a trovare alternative, nel fluire frammentato di iniziative auto-prodotte, secondo un dividi et impera tutto virtussino. Shields ha rappresentato uno sforzo titanico e ineguagliabile in questo contesto (26 punti).

Chiudiamo, infine, con una provocazione. L’infortunio di Hines, di cui non è chiara l’entità e di cui chiaramente si auspica la smentita, può avere come conseguenza lo scongelamento di Brandon Davies. Al di là del campione che è l’ex CSKA, uomo cui nessuno rinuncerebbe mai in battaglia, e della condizione attuale dell’americano che è ignota, il suo coinvolgimento potrebbe dare nel gioco spalle a canestro quella tanto agognata alternativa che tanto è mancata in ampissimi tratti di questa finale.

Come sempre, la verità sarà figlia del tempo. Il tempo eterno che ci separa da Gara 5.

Photo credit: Virtus Bologna Facebook e olimpiamilano.com

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