#EUROBASKET2017 – QUARTI DI FINALE Il sogno azzurro svanisce: la Serbia è più forte.

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Russia in semifinale dopo una bruttissima gara contro la Grecia.

 

Si dice che i sogni svaniscano all’alba, ma avevamo creduto che quell’alba potesse arrivare più avanti, magari in una semifinale che ci avrebbe fatto ben sperare. Vista la caratura della Russia, vittoriosa su una Grecia che ha chiuso il torneo come lo aveva iniziato, ovvero malissimo, si poteva guardare avanti positivamente. Sognare è bello, ma ahimè si vive nella realtà e la realtà della nazionale azzurra dice di un ennesimo quarto di finale, nulla di più.

Si poteva fare meglio? Sempre lo si può fare, sebbene ad inizio torneo, dopo le defezioni più o meno forzate, era chiaro a tutti che se l’obiettivo di passare il girone fosse una sorta di “minimo sindacale”, quello di entrare nelle prime otto era fattibile ma non sicuro, specchio del valore della squadra azzurra. E così è, giustamente, stato.

Il tardo pomeriggio della Sinan Erdem Arena, per l’ennesima volta non esattamente vicina al tutto esaurito (che Istanbul non fosse ai giorni nostri destinazione graditissima a molti tifosi lo sapevano anche i sassi, in pratica tutti tranne la FIBA), si era aperto con una delle più brutte gare del torneo, ironia della sorte arrivata appena dopo il memorabile spettacolo regalatoci da Lettonia e Slovenia.

Una pessima Russia ha avuto la meglio su una Grecia inguardabile, ai limiti del suicidio sportivo. Bastano 5 minuti di Shved agli uomini di Bazarevich, per tornare in controllo sui resti della gloria greca, dopo che gli stessi ellenici hanno fatto di tutto, riuscendoci, per non chiudere la gara. Prima verso la fine del primo quarto, permettendo ai russi di limitare lo scarto, poi sul 35-24 a metà della seconda frazione, quando dopo una serie di nefandezze incontentabili da parte di entrambe le squadre, fanno sì, segnando 2 punti sino al riposo, che lo score di metà partita dica “soltanto” 37-31. Il resto è storia scontata e vista mille volte nel gioco: se non la vinci lì, l’hai già persa. L’immagine del crollo ellenico sono due perse allucinanti, nel secondo tempo, di Printezis e Sloukas: incredibile, visti gli eccelsi interpreti.

Ma il cuore italico ha iniziato a battere forte in serata: la Serbia era correttamente considerata più forte, tuttavia le 7-8 defezioni di gente del calibro di Teodosic, Bjelica, Kalinic, Markovic etc garantivano una maggior equità competitiva. La speranza c’era, ma si basava su un passo avanti nel gioco azzurro che non c’è stato, rendendo l’impresa impossibile dall’inizio del secondo quarto. Di lì in poi solo qualche sussulto, ma un paio di grossolani errori difensivi e due tiri aperti sbagliati hanno tolto ogni dubbio sull’esito finale.

E’ dura, è molto dura, dover pensare che il limite del percorso azzurro sia questo, esattamente come nel recente passato. Con nazionali molto più forti esattamente come con nazionali meno forti: di qui non ci si muove, come non si muovono le possibilità di competere ad alto livello europeo delle nostre squadre di club. Questi siamo, inutile analizzare ora i perché ed i per come: il campo non mente ed in campo ci vanno i giocatori, espressione di un movimento. Lungi da me voler attaccare questo o quell’atleta: grande rispetto per chi fa quello che può, e forse pure di più, quindi grandissimo rispetto per questa nazionale. Ma avevamo bisogno della sconfitta di ieri sera per ricordarci che l’unico giocatore che ha avuto un ruolo da “quasi” leader all’interno della sua squadra è stato Nick Melli, peraltro in un contesto non di primo livello? Gigione Datome, splendido lavoratore, è migliorato negli anni come pochi altri ed ha raggiunto una posizione importante nel Fenerbahce: che però era di Bogdanovic ed Udoh, senza parlare dei vari Sloukas e compagnia. Marco Belinelli ha vinto un titolo agli Spurs giocando in modo eccellente: ma non era la “sua” squadra, era soltanto un sistema in cui si è intelligentemente e perfettamente integrato, facendo quello che meglio sa fare, cioè canestro. Daniel Hackett ha avuto un ruolo preponderante, in tempi recenti, solo per sei mesi nella Milano di Banchi, raggiungendo i Playoff di Eurolega (e ci risiamo, sempre e solo le prime otto…): poi, dopo il naufragio del secondo anno milanese, è andato a fare il cambio di Spanoulis. Entrare nel dettaglio dei centri sarebbe crudele.

Cosa pensavamo di poter fare oltre a questo? Ovvio che Gallinari ci avrebbe aperto una parte di campo per noi sconosciuta, ma è successo quel che è successo e la pietra tombale sulle possibilità di andare oltre le prime otto è stata posta proprio a Trento.

Ettore Messina lascia la nazionale per tornare a lavorare nella culla del basket, gli Spurs. come biasimarlo. Così come Sergio Scariolo, ripudiato dall’Italia e da Milano, continua ad allenare con grandissimi risultati in Spagna. Senza dimenticare Andrea Trinchieri, che ha scelto anni orsono Bamberg, dopo altre esperienze meno positive in Europa. Ecco, appunto, Bamberg, non CSKA o Real: ma ci ha chiaramente illuminato, supportato da fatti, su che razza di organizzazione abbiano lavorato i tedeschi per un decennio. Pagherà per loro, noi la pagheremo. Senza fare classifiche sempre complicate, possiamo dire che tre dei nostri migliori allenatori (di certo il migliore di tutti, risultati e gioco alla mano) rappresentano il concetto di “fuga di cervelli” del nostro gioco. Il perché ce lo hanno ripetutamente spiegato, il problema è che lo abbiamo capito in tanti, ma non chi doveva farlo.

La gara di ieri ha detto ben poco, se non confermare quello che pressoché tutti gli appassionati sapevano e temevano. Superiorità netta in ogni parte del campo. Fisicità inopponibile la nostra, al loro cospetto: se poi si va sotto in ogni voce statistica, non vi è modo di competere. Sono mancate alcune certezze, percentuale dall’arco su tutte, e sono emerse in tutta la propria estensione diverse falle che temevano, come si sono poi rivelate, letali. La Serbia ha vinto perché ha giocato la sua pallacanestro: l’Italia ha perso perché non ha saputo andare oltre i propri limiti. Coach Messina lo disse a chiare lettere prima della gara: «Serve una nostra prestazione perfetta ed una loro almeno inferiore al valore che hanno».

Per una volta, i cinque punti in cui cerchiamo di riassumere le cose che, a nostro parere, hanno dato vita a considerazioni sulla gara e sui protagonisti, potrebbero risolversi in una sola voce, i rimbalzi. Tuttavia qualcosina in più, tra le pieghe della partita,  abbiamo provato a leggerla.

  • 44-19. Il divario a rimbalzo è quello tipico di una gara in cui una squadra giovanile affronta il campionato di categoria superiore. A memoria non ricordo una cosa simile. E ciò che impressiona è il fatto che non vi sia stato un rimbalzata serbo da 18-20 carambole (Marjanovic e Kuzmic a 7 i top), ma tutti abbiano avuto numeri ragguardevoli (6 Macvan, Milosavljevic e Bogdanovic, 4 Lucic). 3 di Filloy per l’Italia è il meglio (?). 11 difensivi azzurri contro 17 offensivi serbi: quando una squadra concede il 60,7% dei palloni sotto le proprie plance, di solito, va sotto di trenta punti.
  • 44-18 i punti in area. Conseguenza di quanto sopra, ma anche conseguenza della totale incapacità di attaccare il canestro degli azzurri: sia i lunghi, che non hanno un movimento decente per farlo, sia degli esterni, già di per sé non buoni penetratori, eccezion fatta per Datome, poi sconsigliati dalla presenza del centro di turno. Ma non tralasciamo il fatto che la Serbia non abbia scelto di farci penetrare per poi trovarci di fronte la muraglia Marjanovic o Kuzmic: sono stati coi nostri piccoli sempre, impedendo loro quasi tutto. In più, 20-13 e 12-9. La differenza nella ratio assist/perse è sempre testimonianza della qualità di gioco.
  • Nick Melli e quella posizione in post. Ecco, il post, soprattutto basso dove cerca più spesso di ricevere, è quella zona posta appena fuori dall’area dei tre secondi: se provi a ricevere lì, non ci riesci mai e ti accontenti di prenderla a sei metri dal canestro, saltano le spaziature e, di conseguenza, gli equilibri offensivi. In alternativa dovresti diventare un 4 veramente perimetrale. Scelte e lavoro.
  • Milan Macvan. Da sempre, visto per due stagioni a Milano, un giocatore che dà il 101%, con i suoi limiti, che combatte quotidianamente. Partita strepitosa, perfettamente nella parte. Uno così nelle mie squadre lo vorrei sempre. Tra l’altro il rapporto qualità prezzo è notevole. Ah ma è vero, oggi ci vuole il 4 perimetrale di cui si diceva prima. E’ stato l’ultimo problema di Milano, è stato il primo ad essere rilasciato. Misteri del mercato, mi arrendo, non capisco.
  • Sasha Djordjevic. Chapeau! Lo ammetto, ho sorriso quando ho letto quel tuo «You know me, gold is the target» pochi giorni prima del via. Ma come, con questa squadra? Rieccoti in corsa per una medaglia che, se arrivasse e di qualunque materiale fosse, sarebbe ancor più di valore dei recenti argenti mondiali ed olimpici. Chi non avrebbe pianto sugli assenti al tuo posto? E’ già capolavoro essere arrivati sin qui. Comunque vada, con Igor Kokoskov, il coach dell’europeo sei tu.

 

 

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alberto marzagalia

Due certezze nella vita. La pallacanestro e gli allenatori di pallacanestro. Quelli di Eurolega su tutti.
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