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Elogio a Sergio Rodríguez Gómez, da San Cristóbal de la Laguna

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Il tributo a Sergio Rodriguez, che ha recentemente chiuso il suo triennio biancorosso

Undicesimo per valutazione all-time di Eurolega, sesto scorer della storia della competizione, terzo assist-man appena dietro a Spanoulis, ottavo per maggior numero di presenze, settimo nei recuperi. 2 Euroleghe vinte, in due squadre distinte, otto partecipazioni alle Final Four con tre rappresentative diverse.

Chacho è leggenda, punto.

Non c’è nulla di originale che si possa aggiungere, non servirebbe sprecare altro inchiostro per raccontare quello che è stato, è e continuerà ad essere uno dei più grandi che hanno calcato il parquet d’Eurolega.

Non stiamo neanche qui ad elencare i successi nei campionati nazionali, gli enormi trionfi in nazionale, le prodezze al di là dell’oceano. Ridondante, superfluo, pleonastico.

Negli scorsi giorni però un uomo che ha saputo imprimere così forte il suo marchio con il fuoco nella storia dell’Olimpia ha salutato la società del patron Armani, dopo una scelta di vita che lo riporterà secondo le voci di mercato più accreditate nella sua Madrid.

L’addio è stato celebrato anche con il commovente saluto che ha fatto circolare il giocatore su tutti i suoi social.

Il distaccamento tra il numero 13 e la piazza biancorossa è stato qualcosa di speciale, di sentito e di profondo, come pochi in questi anni. L’ambiente Olimpia si è raccolto in abbraccio che trasudava gratitudine, rispetto, ammirazione e un incredibile amore.

L’era Armani ha avuto diversi idoli, sebbene trovati con difficoltà, in anni in cui non era semplice legarsi a riferimenti, nella confusione di progetti che si susseguivano vorticosamente, ma Sergio Rodriguez si è rivelato un giocatore simbolo, di importanza capitale per innumerevoli ragioni.

Per la sua caratura tecnica, per la sua carriera e per il suo status sul campo da basket.

Per la sua straordinaria empatia, per l’esiziale modo che ha di emozionarsi e di trasmettere emozioni quando gioca.

Per l’importanza cardine in un progetto, il cui avvento è stato suggellato dal suo arrivo e il cui splendore attuale è dovuto anche al suo modo di fare e vivere la pallacanestro.

Un’immensa fortuna è stata quindi, quella di poter godere dello spettacolo del “chachismo” sotto l’ombra della Madonnina, una fortuna condivisa dal tifo meneghino e da qualunque appassionato abbia avuto cuore di esaltarsi per un triennio di eccitazione iberica, che ha scritto un capitolo bellissimo dell’Eurolega di questi anni.

Meritato e necessario è quindi il nostro omaggio, nel tentativo di razionalizzare l’irrazionale, di racchiudere in parole l’eredità che Rodriguez ha consegnato alla sua Olimpia.

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STORIA DI UN AMORE BIANCOROSSO

Ci sono tanti momenti, anche personali, intimi, che un tifoso Olimpia potrebbe legare all’ormai ex capitano biancorosso, il “ragazzo” delle Canarie. Ci sono grandi momenti, come quelli che ci spingeremo a ricollezionare alla memoria nel resto dell’articolo, ma anche tanti piccoli gesti, in campo e fuori, che sono da conservare.

Sfido chiunque abbia seguito l’Armani Exchange in questi anni a confessare di non essere schizzato in piedi ogni singola volta nel vedere il più celebre movimento di Rodriguez, nello stupirsi del solito, prevedibilissimo, finale, per cui quel suo maledetto, imprendibile, cross-over sorprende difensori di tutto il continente, dal più competente e rapido, al più improvvido e ingenuo, e lo fa regolarmente da più di un decennio.

Succulento, delizioso, eterno. Se si volesse cercare un indizio concreto di che cosa sia la pallacanestro in sè stessa, nella sua versione più pura, iperuranica e ideale, lo “split-and-go” del Chacho sarebbe un ottimo posto dove trovarlo. Un gesto divenuto iconico nella storia di Eurolega, milioni di volte godurioso spettacolo per platea del Forum.

Iconico come un passaggio dietro la schiena sul pick and roll, come gli innumerevoli no look, le alzate, le triple in step back

Momenti semplici, ma tutti parte di una grande storia.

E questa grande storia ha il suo prologo in una turbolenta estate del 2019, la rovente stagione dell’arrivo di Ettore Messina, dei giorni frenetici della firma di Mack e del discussissimo dossier Mike James.

Istanti che avrebbero cambiato la storia delle scarpette rosse, con l’inizio del triennio del duo Messina-Rodriguez a capo del progetto biancorosso.

Il campionissimo spagnolo veniva dal trionfo del CSKA alle Final Four di Vitoria e, chiuso il ciclo moscovita, sembrava destinato a una scelta meno ambiziosa a tinte taronja, con grande pressing del Valencia sulle sue tracce. L’arrivo del nuovo allenatore-presidente al timone di Milano, però, visto il consolidato sodalizio tra i due risalente ai tempi del Real, convince il Chacho a sposare il process biancorosso.

La firma non viene forse accolta con il calore e l’entusiasmo che avrebbe meritato, il fuoriclasse delle Canarie ha 33 anni, è in una fase di carriera calante e, soprattutto, la piazza è preda di un distratto subbuglio, curiosamente attenta al nuovo corso in the making, animata dalla diatriba delle diatribe, legata ad MJ.

Non che sia passata sotto silenzio, ma la sensazione è che non si fosse capito a pieno la portata dell’evento. Nessun problema, il Chacho ci metterà ben poco a far cadere Milano e l’Olimpia ai suoi piedi.

Il primo contatto tra la point-guard di San Cristobal e il Medionalum Forum è quello dell’esordio casalingo nella vittoria contro lo Zalgris, da lui spesso ricordato con affetto nelle interviste, ma, in quello scoppiettante inizio di stagione, la freccia di Cupido che Rodriguez scocca nei cuori dei tifosi viene scagliata nell’incredibile vittoria sul Barcellona.

Lo spagnolo ispira e dà spettacolo nella quinta vittoria consecutiva dell’Eurolega biancorossa, dopo sei turni giocati, incendia il tifo biancorosso grazie ad un finale di giocate d’autore, stendendo una delle corazzate della competizione.

Si trattò forse di uno dei picchi più alti di Milano, in un’annata particolarissima che poi sarà sospesa con l’incombere della pandemia, ma nella quale Rodriguez ci mise poco a imporsi come leader della squadra e a rubare il cuore al tifo meneghino.

La stagione numericamente più importante del playmaker iberico sotto la Madonnina si concretizza in un contesto in cui fu obbligato agli straordinari dalle circostanze, causa una rosa con diverse insufficienze. La parola d’ordine per il futuro è quindi quella di conservarlo e proteggerlo, per esaltarlo.

La seconda stagione, che nasce dagli arrivi importantissimi di Hines, Datome, Shields, Punter, Delaney e Leday su tutti, lo vede quindi come punto di riferimento già consolidato, come rappresentante del progetto e apripista.

Arriva finalmente un alter ego di caratura europea come la point-guard di Baltimore e, in generale, le responsabilità sono più diffuse, Rodriguez diminuisce il contributo in termini di volume, ma può vedersi tutelato nelle inevitabili ristrettezze dell’età e mantiene la sua essenza di anima della squadra e di “scombinatore” con il ritorno al suo ruolo di finto sesto uomo che ne ha contrassegnato le fortune passate.

Tutte queste premesse ne faranno eroe indiscusse di una stagione storica per le scarpette rosse, che torneranno nella elité di Eurolega, con la storica conquista delle Final Four.

I momenti più iconici? Neanche a farlo apposta, sono i due scherzetti giocati dall’Olimpia al Real, ex squadra dello spagnolo che oggi sarebbe pronta a riaccoglierlo.

Due vittorie inestimabili, in due momenti dell’anno peculiari per motivi diversi. La prima, ad ottobre, al Forum, è la vittoria che infonde fiducia, che induce a credere nelle potenzialità di squadra. La seconda, a gennaio, è la vittoria della maturità, che aprirà una striscia di successi semplicemente fondamentale per la volata playoff.

Come raccontato divinamente nel documentario di Eurolega sull’Olimpia 20-21 “The New Old Boys”, il successo contro i blancos in casa fu rivelatore per i valori della squadra e, soprattutto, un vero manifesto di chi è il Chacho.

La squadra è in pesante svantaggio, agli infortuni di Micov e Punter si aggiunge quello in itinere di Delaney, ma il campione di San Cristobal continua ad incitare la squadra e i compagni. E’ lui il primo, e forse l’unico a crederci, il risultato è un brano di chachismo allo stato puro, in una delle migliori partite mai giocate dallo spagnolo in canotta biancorossa.

25 punti, 7 assist, 4 rimbalzi, 8 falli subiti, 18 di plus/minus e 37 di valutazione. La grinta di portare la squadra con sè in battaglia, il talento abbacinante di giocate fantasmagoriche, l’altruismo, l’acume e l’istinto da leader nell’iconico assist per la tripla spacca-partita di Moraschini.

Poi l’annuncio dell’imminente arrivo di un “mini Chacho”, tanto per racchiudere ancora di più, in una notte, presente e passato in un intreccio incredibile. Il figlio che lo legherà indissolubilmente a Milano, annunciato la notte in cui ha sancito il riacquisito status di grande della sua Olimpia, proprio contro il Real Madrid. Roba che scomodare Nietzesche e il suo eterno ritorno sarebbe quasi riduttivo…

La doppia delusione di Colonia e delle Finals domestiche contro la Virtus saranno però epiloghi amari che, anche lui, come tutti i giocatori più rappresentativi di quella cavalcata, sentiranno profondamente. Non cancellano però dei passi in avanti decisi del progetto Messina, a cominciare da un gruppo forte e da uno zoccolo duro di cui il Chacho è riferimento carismatico.

Gruppo che aveva curiosamente cimentato il proprio spirito nella bufera di neve post-Real, una fatalità che bloccò i biancorossi per qualche giorno in Spagna durante la trasferta. Fu proprio grazie all’operato del Chacho Rodriguez, che sfruttò il tempo morto per favorire un importante momento d’unione tra colleghi, che gli uomini, non solo i giocatori, si legarono profondamente.

Il maltempo ci ha costretto a rimanere in hotel, facendo una cena lunghissima. Ho fatto in modo che ci venisse servito, senza esagerare, del buon vino spagnolo e ci siamo aperti. Avevamo trascorso già tanto tempo assieme, ma la situazione ci ha dato modo di parlare di più, anche non di basket. Mi sono accorto che eravamo entrati in sintonia. Ci hanno aiutato, nelle difficoltà capita di conoscersi meglio e il processo agevola la costruzione di una buona chimica.

Sergio Rodriguez a La Stampa, 14/02/2021

Le grandi squadre si costruiscono anche così, anche con questi momenti, e questo è un altro indizio, se ce ne fosse bisogno, dell’incredibile valore umano del playmaker ex Cska, che ha consentito la crescita di un gruppo sensazionale.

E così arriviamo alla terza e ultima tappa del viaggio del canario nella squadra lombarda, vissuta con la crescente angoscia che, poi, ha lasciato spazio a rassegnazione e riconoscenza, di un addio sempre più probabile.

Alcune delle più importanti fotografie dagli ultimi 10 mesi dello spagnolo, derivano certamente dai momenti culmine della stagione biancorossa.

Speciale è stata, senza dubbio, la prova in Gara 2 contro l’Efes, dove ha saputo ancora una volta contagiare tifosi e compagni con la sua incredibile energia. E’ lui a trascinare la truppa di Messina fuori dal baratro psicologico del primo atto della serie, a dare l’innesco ad una prestazione d’orgoglio straordinaria che spaventa i turchi.

La sfortuna lo metterà alla prova, lo butterà giù, con quella maledetta caviglia girata nel secondo tempo, ma l’attaccamento, la devozione e il cuore di un campione della sua caratura ne garantiranno presenza e contributo anche nelle due ardue lotte che consegneranno ad Istanbul le Final Four ai futuri bi-campioni.

Ancora una volta, però, il Chacho non perde l’essenza del suo modo di essere. La sua mentalità è una garanzia, le sue parole indissolubili promesse. Anche quel momento è manifesto di chachismo e, per capirlo, basta un flashback a tre anni prima…

Il vero valore di una squadra si misura nei momenti di difficoltà, nel modo in cui rispondi quando le cose si mettono male. Questo è importante. Succede ad ogni squadra. Lì capiremo tutto.

Sergio Rodriguez, 20/08/2019

Lì abbiamo, ancora una volta, capito. Nel momento più oscuro della stagione, quando l’Olimpia sembrava destinata a vivere un’altro finale da insoddisfatta, le scarpette rosse sono state in grado di prendersi la gioia più grande.

E lo zampino del prestigiatore ispanico è stato incredibile ancora una volta negli agognati successi nazionali. Dopo l’impetuoso terzo quarto in semifinale contro Brescia, che era valso ai biancorossi una buona fetta della Coppa Italia, il playoff di Rodriguez è stato splendido e si è chiuso con prove di valore anche nelle Finals con la Virtus.

Anche contro l’asfissiante pressione di Hackett e Pajola, lo spagnolo ha portato a termine il lavoro, culminando un finale di Serie A disputato con grande continuità e reggendo sulle sue spalle l’intero peso della regia meneghina.

Ancora ho negli occhi quello strepitoso assist no-look per l’inchiodata di Datome in Gara 3, quando il furente successo del Forum diede la prima determinante botta alla serie. Un altro tassello, tra i tanti gioielli che ha confezionato in questi anni.

Il finale più giusto, la lieta conclusione per una storia che meritava di finire così. Nell’albo d’oro biancorosso, prima dell’epilogo che è quello che si è consumato negli ultimi giorni.

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OLTRE IL RETTANGOLO DI GIOCO

Perchè si sa, è solo una parte, la grandezza tecnica, dell’enorme eredità che Rodriguez si lascia alle spalle.

Qualcosa che va oltre l’estro nel passaggio, la sagacia nel punire le difese, la freddezza e il cinismo di morderle con una spaventosa tripla da nove metri. Qualcosa che, ancora, travalica il recupero di pura presenza mentale, la danza sul pallone per punire il cambio del lungo, la capacità di rintuzzare in un amen il ritmo di gioco.

Il patrimonio del Chacho è un patrimonio di ricordi incancellabili, in primis, e, in seconda battuta, di enormi valori aggiunti per la società Olimpia, da due diversi e imprescindibili punti di vista.

Il dato emozionale lo vedremo in coda, ma le altre due “mission” cui l’ex Philadelphia 76ers le aveva esplicitate sin dal suo arrivo, e possiamo dirle compiute a tutti gli effetti.

Ho accettato di venire qui perché Ettore e tutta l’organizzazione vogliono creare una cultura e un’organizzazione per vincere partendo dalle basi. Questo è stato molto importante nella mia decisione a questo punto della carriera.

Sergio Rodriguez, 20/08/19

Il triennio Rodriguez ha fatto crescere l’Armani Exchange di varie tacche, sia in quanto a cultura “interna”, grazie all’esempio, alla quotidianità e al lavoro di leadership unico di un atleta del genere, sia in materia di organizzazione societaria, in termini di credibilità all’esterno.

Oltre alla guida di Messina, che è primo responsabile di tutti i progressi fatti in questi ambiti, il Chacho, non a caso braccio lungo del coach catanese sul parquet, ha incarnato i valori di cui l’Olimpia voleva farsi portatrice e soprattutto ha rappresentato la rinascita del club in tema di reputazione e status europeo.

Infine, quindi, abbiamo soltanto da conservare gelosamente il capitale immenso delle sensazioni, delle emozioni e dei ricordi che ci ha lasciato uno dei cestisti più originali che la pallacanestro del Vecchio Continente abbia visto. La cosa più preziosa che rimane, in fondo.

Un condensato di gioioso amore per il gioco e agguerrito agonismo: chi ha avuto la fortuna di vedere al vivo, davanti ai propri occhi, lo spirito della pallacanestro… in palleggio, giusto per scomodare qualcuno d’importante, è destinatario di un patrimonio eterno.

La vita rassomiglia al sogno, al riflesso del sole sulla sabbia, che il pellegrino da lontano scambia per acqua, o anche rassomiglia alla corda gettata a terra, che egli prende per un serpente.

Questo dice la saggezza indiana dei Veda, ripresa da Schopenhauer, e non c’è secondo me miglior modo di commentare il trascorso milanese di Rodriguez.

Se “vida es sueño“, il Chacho è stato realtà concreta di vita biancorossa, ma anche un sogno strepitoso, dal quale fatichiamo ancora a destarci.

Photo credit: euroleague.net e olimpiamilano.com

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