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Euroleague Coaches 2013/2014: Le due vite di David Blatt

Blatt
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“We have two lives… the life we learn with and the life we live after that. Suffering is what brings us towards happiness.” diceva Bernard Malamud ne “Il Migliore”, successo editoriale dello scrittore ebreo-americano ed argomento della tesi di un giovane studente e giocatore della Princeton University.

David Blatt nell’81 concludeva infatti così i suoi studi in Letteratura inglese, poco prima d’immigrare verso Israele, e non avrebbe mai immaginato che cosa lo avrebbe aspettato.

Due vite. Sarà giocatore e poi allenatore. Sarà israeliano e statunitense, europeo e americano, allo stesso tempo. Sarà profeta indiscusso del Vecchio Continente e genio – pur sempre genio – mai a fondo compreso nel Nuovo, nella terra promessa dell’NBA. Ma ancora di più vedrà divisa la sua vita nel 2019, quando quella carriera da coach sarà spezzata dall’avvento della malattia, che lo ha strappato dal professionismo e dal palcoscenico dell’Eurolega cui tanto poteva dare ancora.

Ma Blatt lo sapeva bene, come il giovane David che traeva ispirazione dalle mille peripezie attraversate per raggiungere il successo nel baseball da Roy Hobbs, protagonista del suo romanzo preferito: la sofferenza è condizione imprescindibile per la felicità, e la vita “precedente” premessa indissolubile per vivere quella “successiva”. Così è stato per ognuna delle sue esperienze, così paradossalmente dicotomiche e, da lì, è nata l’incredibile forza con cui sta affrontando la sua seconda vita, lontana dalla panchina.

David Blatt si gode il trofeo dell’Eurolega 2014

Le origini

L’ex coach, tra le altre, di Treviso nasce a Boston il 22 Maggio 1959, l’anno in cui i Celtics di Bill Russell vincevano il primo anello di una serie di 8 titoli di fila. Il basket, si capisce, era nel suo destino, infatti David si distinguerà immediatamente nella divisione di pallacanestro della blasonata università di Princeton.

David Blatt a Princeton (foto da twitter.com)

Sotto la guida di Pete Carril, leggendario coach e ideologo del celeberrimo Princeton Offense, giocherà dal ’77 all’81. Ai Tigers è il capitano, ma non solo. Si rivelerà un playmaker più che discreto e, al suo junior year, sarà secondo quintetto All-Ivy, competizione sportiva tra gli atenei privati più esclusivi del paese. Questo non basterà però a coach Carrill la stagione successiva.

Dovetti panchinarlo e preferirgli un freshman, fu una delle decisioni più difficili che dovetti fare. Ma al posto di mettere il broncio, Dave lavorò persino più duro. Nella penultima partita della stagione stavamo perdendo e il mio freshman non stava facendo nulla. Dave segnò sei o otto punti in pochissimo tempo, fece un paio di recuperi, e vincemmo la partita.

Pete Carrill su David Blatt

Perseveranza e pazienza. Doti che si porterà dietro anche da allenatore.

Chiude la sua carriera collegiale con medie totali di 5,1 punti, 2,5 rimbalzi e 1,4 assist. L’opportunità del professionismo arriva da Israele, David non esita a coglierla e lascia gli Stati Uniti. Il basket è la motivazione, ma la sua adesione al nuovo paese e alla sua identità nazionale sarà totale.

Non sono venuto in Israele per ragioni sioniste, ma sono stato fortunato perché in Israele sono diventato molto più ebreo e molto più sionista.

David Blatt sul suo rapporto con Israele

La sua carriera tra i pro inizia da giocatore proprio nella Super League, al Maccabi Haifa. Girerà 7 squadre e giocherà per 12 anni, durante i quali si integrerà sempre di più nella vita della sua nazione d’azione. Racconta lui stesso che una delle esperienze che lo legò di più al paese fu, proprio in quegli anni, il servizio prestato presso le Forze di difesa israeliane: mentre giocava all’Hapoel, per non rinunciare a giocare, lavorava come fornitore di cibo per la cucina della base Schneller.

Sarà un infortunio a mettere fine alla sua carriera agonistica, nel ’93 ecco il ritiro. La stagione appena successiva l’Hapoel Galil Elyon, dove aveva giocato qualche anno prima, gli offre l’opportunità di fare l’assistente allenatore, almeno fin quando, nel mezzo della stagione, l’allenatore della squadra viene esonerato ed è Blatt a prendere in mano timone: comincia la prima delle sue seconde vite.

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Stagione 2013/14

Coach Blatt ha avuto una carriera ricca di successi e capitoli straordinari, ma possiamo dire con certezza che il suo capolavoro si sia realizzato nell’annata 2013-14, quando guidò il Maccabi, contro ogni pronostico, al trionfo finale nella cornice più attesa, le Final Four di Milano. Non a caso è lui in quella stagione il vincitore del premio Alexander Gomelsky di Allenatore dell’anno.

Avremmo potuto scegliere di raccontare un Hickman, un Rice o un Ingles, ma, quando i più dei talenti di quel Maccabi non si sono mai dimostrati negli anni successivi costanti frequentatori dei più alti livelli dell’élite europea (al di fuori del buon Joe, che invece si è affermato al di là dell’oceano), e quando quella squadra non era già allora considerata allo stesso rango delle favorite, si può dire che sia stato il coach il vero MVP.

Noi sappiamo bene quanto gli allenatori siano in Eurolega parte fondamentale dei successi di squadra, ed è quindi opportuno e coerente tributar loro il giusto merito quando i fatti lo esigono.

Grazie alla fine mente cestistica di Blatt e alla sue innate doti da leader, la squadra gialloblù si è trasformata in un gruppo in missione, concetto che riprende quasi in modo osmotico la mentalità del popolo ebraico, popolo di cui la squadra si rese paladina.

Il Maccabi gioca una buona prima parte di stagione, ma nelle Top 16 non brilla. La compagine israeliana viene sconfitta da squadre che paiono nettamente più attrezzate e solide, come Cska e Real, e si trova in ulteriore difficoltà nel dover affrontare i playoff senza fattore campo a favore.

Il Maccabi esce sconfitto da Mosca 100-65

E’ a quel punto che scatta la prima scintilla. Il momento scatenante è la prodigiosa rimonta che gli uomini di Blatt mettono in piedi al Forum contro un’arrembante EA7. In due minuti recuperano miracolosamente uno svantaggio in doppia cifra, per poi trionfare ai supplementari. Audaces fortuna iuvat.

Penso che sia stato un momento decisivo. Non so se sia stato un punto di svolta, ma penso che sia stato un momento decisivo. E’ stato il catalizzatore per la scintilla di quello che sarebbe arrivato dopo. […] Ciò che abbiamo fatto in quei due minuti ci ha dato lo slancio per tutto il resto dei playoff e per le Final Four.

David Blatt sulla vittoria in Gara 1 contro l’EA7

Giocatori come Tyus e Rice sono trasfigurati rispetto all’inizio di stagione. Le necessità, per uno date dall’infortunio di Shawn James, per l’altro dal bisogno di un uomo in più per il successo, Blatt le trasforma in virtù: il play della Virginia passa dai 6,7 punti della Regular season ad essere trascinatore ed MVP, il centro del Missouri dai 9′ medi d’impiego, all’essere riferimento nel ruolo di centro con una media di 11+8 alle Final Four.

Un lavoro pazzesco, che si traduce in una forza mentale, di squadra, impressionante e invincibile.

Arrivato alle finali di Assago, il coach di Boston è in possesso di tutto ciò che serve per il successo. Ha visto vincere, ha assaporato la grandezza di uno spogliatoio vincente, da assistente, in una delle squadre più forti di sempre, il Maccabi del 2004. E ha perso, ha scontato la cocente e aspra delusione della disfatta, quando lo stesso Maccabi, stavolta guidato da lui in prima persona, è stato sconfitto in semifinale nel 2002 e in finale nel 2011 dal Pana di Obradovic.

E’ l’ora del destino. I gialloblù, in un Forum gremito di tifosi israeliani, sono protagonisti di gare leggendarie e riescono a sbarazzarsi prima del Cska di Messina, poi del Real di Laso. David Blatt vive tutti questi momenti, dal ribaltone al cardiopalma con Mosca, ai supplementari con i blancos, composto, quasi serafico, come ad attendere la gloria che lentamente scivola nelle sue mani.

Blatt festeggiato dai suoi giocatori

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La carriera

Riprendiamo da dove avevamo lasciato. Siamo nel ’94. Dopo aver fatto da traghettatore la stagione precedente, Blatt torna al suo ruolo di assistente quando alla guida dell’Hapoel Galil Elyon arriva Pini Gershon, un uomo con cui ben presto inizierà una stretta collaborazione che fiorirà negli anni successivi.

Non ci impiegherà poi molto però a riprendersi il ruolo di allenatore capo e guiderà la squadra per un quadriennio, così otterrà persino il premio di allenatore dell’anno della lega israeliana nel ’96. E’ solo l’inizio.

Nel ’99 il suo destino si intreccia di nuovo con quello di Gershon, lo affianca infatti sulla panchina del blasonato Maccabi, per un inizio di una storia tra lui e la squadra gialloblù che avrà tantissimi capitoli. Dopo due anni da secondo e la vittoria dell’Eurolega 2000/01, viene considerato all’altezza del ruolo di head coach e dimostra subito le sue qualità. Sarà coach dell’anno in Israele, vincerà il titolo domestico e in Eurolega si fermerà solo in semifinale.

Il Maccabi imbattile del 2004 lo vedrà però di nuovo da assistente, dopo un ritorno in sella del coach del titolo del 2001. Blatt però sarà architetto fondamentale di quella squadra, sia per il contributo in panchina, sia per il lavoro di recruiting che attuò, si dice, nel portare a Tel Aviv campioni come Anthony Parker e Sarunas Jasikevicius.

Il Maccabi mi stava dietro, parlavo al telefono con David Blatt, un eccellente reclutatore, un grande oratore che dice sempre la cosa giusta, quella che vuoi sentire per essere convinto. E mi convinse.

Sarunas Jasikevicius sulla sua firma al Maccabi

Prima del bis gialloblù del 2005, per il coach del Massachusetts è però addio, tempo di nuove sfide e nuove esperienze. Si mette alla prova, prima in Russia, a San Pietroburgo, dove vince l’Eurochallenge ed è coach dell’anno della Russian Super League, poi in Serie A, alla Benetton Treviso.

Non manca di lasciare il segno anche in Italia. La sua Benetton, ai tempi di Bargnani, Nicholas e Siskauskas, abbatte 3-1 l’ultima Effe di Jasmin Repesa e si laurea campione d’Italia. L’anno dopo farà sua anche una Coppa Italia, stavolta contro la Virtus, con Spencer Nelson MVP.

Esperienze più anonime lo vedranno protagonista tanto all’Efes, quanto alla Dinamo Mosca, ma, nel frattempo, dal 2006, Blatt è divenuto ct della nazionale russa. Ne rimarrà al timone per ben sei anni, e ne trarrà la prima personale soddisfazione internazionale. La rappresentativa russa, guidata in campo da un fenomenale Kirilenko, da Khryapa e dal naturalizzato J.R. Holden stupisce il continente e riesce a portare a casa l’Europeo 2007. Sarà vittoria contro la Spagna in casa della Spagna, quella della generazione di talenti così meravigliosi di cui ora celebriamo così malinconicamente il de profundis.

Da ct conquisterà anche un bronzo a Eurobasket 2011 e ai Giochi Olimpici di Londra nel 2012, tanto che un paio di anni dopo verrà premiato con un riconoscimento speciale da parte della Federazione cestistica Russa, per cui così tanto aveva fatto.

David Blatt decorato con l’Ordine dell’amicizia russo

Un conto con il destino, però, Blatt lo conservava. Nel 2010 la sua sarà una seconda vita, più matura, al Maccabi, che lo riaccoglie come head coach con la volontà di riportare alla gloria la powerhouse israeliana. Il primo anno conduce subito i gialloblù al palcoscenico che conta di più, le Final Four di Barcellona, ma di nuovo sono Obradovic e il Panarhinaikos a serrargli la strada e a spegnere i suoi sogni di trionfo.

Pazienza e perseveranza, lo sa bene il coach del Maccabi, così come lo sapeva il giovane studente di Princeton. Servono altre due stagioni e poi… Abbiamo già raccontato come coronerà con la conquista dell’Eurolega la sua carriera e il suo ciclo al Maccabi.

Ancora dunque David Blatt vola alla ricerca di nuove avventure, salutando, stavolta senza più doversi guardare indietro, Tel Aviv. E’ il momento di un ritorno alle origini, del viaggio al contrario. E’ il momento di un’ennesima nuova vita, quando nell’estate del 2014 arriva la chiamata dell’NBA, nella veste dei Cleveland Cavaliers.

In fondo Blatt, statunitense di nascita, ha sempre desiderato tornare. Il basket l’ha imparato lì, in America. Il coach però l’ha imparato a fare qui, in Europa. In Eurolega in particolare. Non sarà facile: il ruolo ha un peso e una considerazione differente al di là dell’oceano, in più c’è sempre un velo di malfidenza da parte del mondo NBA nei confronti degli europei.

Alla notizia del suo approdo nella lega, Pete Carril, suo ex coach a Princeton, commenta

Conosce il gioco. Sa come insegnarlo. Adesso speriamo che trovi il tipo di ragazzi che capiscano “what he’s selling

Non ci sarà fotografia migliore della sua avventura negli States.

Prende in mano i Cavs del big three Irving-James-Love e subito, al primo anno, approda alle NBA Finals, le prime della feroce rivalità che scoppierà con i Golden State Warriors. La squadra dell’Ohio esce sconfitta per 4-2, tuttavia sembra possibile già dall’anno successivo il riscatto, sulla carica e la spinta di una città e sulle ali di un King James nel suo prime.

L’inizio della stagione seguente però è contraddistinto da un ambiente non proprio idilliaco. Qualche sconfitta poco convincente e le voci dell’insoddisfazione di Lebron nei suoi confronti portano a un clamoroso esonero, infatti il 22 Gennaio 2016 viene rimpiazzato da Tyronn Lue, nonostante il primo posto ad Est con il record di 30-11. Come si concluderà quella stagione per i Cavs, è storia.

David Blatt e Lebron James (da nytimes.com)

Il GM Griffin motiverà con “una mancanza di fit con lo staff e con la vision della franchigia“, ma per noi, a mio parere, occorre tornare alla frase di Carril. Che conoscesse il gioco era indubbio, infatti i risultati sono lì da vedere, che avesse trovato i ragazzi che capivano “cosa stesse vendendo” è probabilmente di differente valutazione, visto un Lebron non troppo ben disposto nei suoi confronti. Quell’atmosfera di spogliatoio che gli era riuscita così bene a Tel Aviv, gli era tremendamente mancata a Cleveland.

E allora subito pronta una nuova sfida, un ritorno in Europa che sarà ancora una volta di successo.

Nella sua seconda vita europea ha allenato una serie di giocatori che oggi sono al centro del mondo Eurolega, e non è certo un caso. Al Darussafaka Wilbekin, Clyburn, Wanamaker, Anderson, Moerman e Žižić, all’Olympiacos LeDay, Milutinov, William-Goss e Vezenkov.

Con l’ambizioso team di Istanbul è infatti subito capace di produrre un interessante exploit: approda ai playoff e, nonostante l’uscita per 3-1, la squadra ben figura contro il Real Madrid, che tanto Blatt aveva già fatto penare nella sua precedente avventura in Eurolega. E’ il Darussafaka di Clyburn e Wanamaker, che, valorizzati da quest’annata, voleranno rispettivamente al Cska e al Fener l’anno dopo.

La stagione successiva i turchi scendono in Eurocup, e, per Blatt, è soltato un’occasione per togliersi lo sfizio di un altro trofeo, conquistato con un 2-0 nella finale contro il Lokomotiv Kuban. Scottie Wilbekin è MVP.

Il Darussafaka però decide di ridimensionare e Blatt ha fame di grande Eurolega, è fatta quindi per il suo passaggio all’Olympiacos, un binomio che non può che portare con sè grandezza e aspettative di grandezza. L’annata è però travagliata, poco brillante, il coach israeliano sembra non essere sè stesso.

La spiegazione arriva in estate, con una lettera commovente, che sciocca il mondo della pallacanestro. Il condottiero di mille battaglie è trattenuto da una malattia che lo indebolisce e lo frena. Lascerà il Pireo, poi la panchina.

Un peccato mortale, una sofferenza enorme per qualsiasi appassionato del gioco. Ma Blatt, come il giovane David nell’81, sa bene che viviamo due vite, e non si è mai tirato indietro. Ancora una volta si è reinventato, per il basket. Ha fatto il consulente per i New York Knicks e ora è diventato co-proprietario della società ceca del BC Brno.

Insomma, per l’ennesima volta, buona seconda vita, coach Blatt!

(Photo credit: euroleague.net)

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