“We have two lives… the life we learn with and the life we live after that. Suffering is what brings us towards happiness.” diceva Bernard Malamud ne “Il Migliore”, successo editoriale dello scrittore ebreo-americano ed argomento della tesi di un giovane studente e giocatore della Princeton University.
David Blatt nell’81 concludeva infatti così i suoi studi in Letteratura inglese, poco prima d’immigrare verso Israele, e non avrebbe mai immaginato che cosa lo avrebbe aspettato.
Due vite. Sarà giocatore e poi allenatore. Sarà israeliano e statunitense, europeo e americano, allo stesso tempo. Sarà profeta indiscusso del Vecchio Continente e genio – pur sempre genio – mai a fondo compreso nel Nuovo, nella terra promessa dell’NBA. Ma ancora di più vedrà divisa la sua vita nel 2019, quando quella carriera da coach sarà spezzata dall’avvento della malattia, che lo ha strappato dal professionismo e dal palcoscenico dell’Eurolega cui tanto poteva dare ancora.
Ma Blatt lo sapeva bene, come il giovane David che traeva ispirazione dalle mille peripezie attraversate per raggiungere il successo nel baseball da Roy Hobbs, protagonista del suo romanzo preferito: la sofferenza è condizione imprescindibile per la felicità, e la vita “precedente” premessa indissolubile per vivere quella “successiva”. Così è stato per ognuna delle sue esperienze, così paradossalmente dicotomiche e, da lì, è nata l’incredibile forza con cui sta affrontando la sua seconda vita, lontana dalla panchina.

Le origini
L’ex coach, tra le altre, di Treviso nasce a Boston il 22 Maggio 1959, l’anno in cui i Celtics di Bill Russell vincevano il primo anello di una serie di 8 titoli di fila. Il basket, si capisce, era nel suo destino, infatti David si distinguerà immediatamente nella divisione di pallacanestro della blasonata università di Princeton.


Sotto la guida di Pete Carril, leggendario coach e ideologo del celeberrimo Princeton Offense, giocherà dal ’77 all’81. Ai Tigers è il capitano, ma non solo. Si rivelerà un playmaker più che discreto e, al suo junior year, sarà secondo quintetto All-Ivy, competizione sportiva tra gli atenei privati più esclusivi del paese. Questo non basterà però a coach Carrill la stagione successiva.
Dovetti panchinarlo e preferirgli un freshman, fu una delle decisioni più difficili che dovetti fare. Ma al posto di mettere il broncio, Dave lavorò persino più duro. Nella penultima partita della stagione stavamo perdendo e il mio freshman non stava facendo nulla. Dave segnò sei o otto punti in pochissimo tempo, fece un paio di recuperi, e vincemmo la partita.
Pete Carrill su David Blatt
Perseveranza e pazienza. Doti che si porterà dietro anche da allenatore.
Chiude la sua carriera collegiale con medie totali di 5,1 punti, 2,5 rimbalzi e 1,4 assist. L’opportunità del professionismo arriva da Israele, David non esita a coglierla e lascia gli Stati Uniti. Il basket è la motivazione, ma la sua adesione al nuovo paese e alla sua identità nazionale sarà totale.
Non sono venuto in Israele per ragioni sioniste, ma sono stato fortunato perché in Israele sono diventato molto più ebreo e molto più sionista.
David Blatt sul suo rapporto con Israele
La sua carriera tra i pro inizia da giocatore proprio nella Super League, al Maccabi Haifa. Girerà 7 squadre e giocherà per 12 anni, durante i quali si integrerà sempre di più nella vita della sua nazione d’azione. Racconta lui stesso che una delle esperienze che lo legò di più al paese fu, proprio in quegli anni, il servizio prestato presso le Forze di difesa israeliane: mentre giocava all’Hapoel, per non rinunciare a giocare, lavorava come fornitore di cibo per la cucina della base Schneller.
Sarà un infortunio a mettere fine alla sua carriera agonistica, nel ’93 ecco il ritiro. La stagione appena successiva l’Hapoel Galil Elyon, dove aveva giocato qualche anno prima, gli offre l’opportunità di fare l’assistente allenatore, almeno fin quando, nel mezzo della stagione, l’allenatore della squadra viene esonerato ed è Blatt a prendere in mano timone: comincia la prima delle sue seconde vite.
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