Il Picasso di Malaga.
E' un'opera d'arte la Copa del Rey dell'Unicaja Malaga
Un capolavoro, una festa storica. L'Unicaja Malaga, pur essendo una società di lungo corso in Liga, non ha un palmarès sconfinato. La Copa, diciotto anni dopo il trionfo dell'era Scariolo, torna in Andalusia e la gioia non potrebbe essere più dirompente.
Tenerife è arrivata ad un passo dalla storia, forse il tempo sbiadirà il ricordo, ma la sua avventura è stata tanto meritoria e va parimenti celebrata.
83-80 il risultato maturato nei 5 minuti finali, da raccontare, per concludere questi giorni di racconto entusiasta e frenetico, nel classico format d'analisi di Eurodevotion.
La gara
Con molte somiglianze con la semifinale tra Tenerife e Badalona, il match conclusivo di questo folle trofeo ha vissuto un affastellarsi di parziali in una summa di equilibrio, scioltosi poi nei minuti finali.
I canari partono sulle ali di Salin, ma Malaga si rimette presto in piedi e apostrofa gli avversari con un paio di recuperi e alza il ritmo, confezionando un 7-0. Gli andalusi usano la transizione e generano tiri dall'arco con grande proprietà, ma sbagliano open looks magistralmente create.
Tenerife batte da subito sul pick and roll centrale tra Huertas e Shermadini, costante tecnica della squadra, che sarà costante anche nella gara. E' riferimento, ma anche in questo caso qualche imprecisione di troppo non consente il decollo.
Nel secondo quarto quel gioco a due continua a essere infatti grimaldello, il focus è quello di consentire le ricezioni del georgiano o del lungo nel pitturato. Le iniziative offensive vanno a segno e il governo del ritmo si dimostra arma vincente, che consente un +7 e una tentata egemonia sulla gara, l'Unicaja si tiene in piedi grazie alle carambole raccolte nei pressi del proprio canestro. Saranno 16 nel primo tempo, dei quali ben 7 nei secondi 10'.
Allora basterà semplicemente che si inceppi un po' la produzione isolana, perchè la fiducia malaguena torni ad infiammarsi. Ai rimbalzi offensivi raccolti di voglia, si unisce nell'ultima azione il ritorno della transizione, con la bomba di Kalinosky che impatta la sfida. Huertas però è fatto della stessa materia dei sogni e scaglia la sua signature move da metà campo, un arcobaleno in terzo tempo che bacia il tabellone e conserva il vantaggio di Tenerife all'intervallo.
Il campione brasiliano sembra abbeverato alla fonte dell'eterna giovinezza, quando, insieme al suo partner in crime 'Sherminator', è nuovamente protagonista al rientro dagli spogliatoi. La gara è piuttosto bloccata, ma i due campioni in camiseta aurinegra danno il là ad un 14-0 mortifero, sempre muovendo la difesa a partire da quel pick and roll di cui sopra.
Se qualcosa ci hanno insegnato queste partite però, un parziale non arriva mai se non corrisposto da uno uguale e contrario, come in fisica. Malaga ritrova quel tanto di ritmo di cui ha bisogno, imprime il giusto flow ai suoi tiri da fuori e piazza una scarica di triple micidiale, 13-4 di risposta con il prorompente ingresso in partita di Tyson Carter e la mira di Kalinosky. 60-60 a fine terzo quarto significa un supplementare da 10 minuti per assegnare la Copa.
Huertas è eroico, non chiude il palleggio neanche a morire e continua a guidare i suoi, ma Malaga è sul pezzo e nei cinque minuti finali sale di colpi.
Mancano 3' quando la difesa biancoverde intercetta rapace, aggressiva, lucida, l'entry-pass per Shermadini e dall'altro lato colpisce da tre con il pop di Osetkowsky. I due temi tattici della partita, volti così brillantemente a favore, un +8 che sa già di storia.
Il finale è di tatticismi, di lunghi istant replay, di tentativi disperati di Tenerife, ma la partita ormai è già sfuggita. Il Pabellon Olimpico è biancoverde andaluso, Malaga è regina della Copa.
Malaga e il cubismo, l'Unicaja dipinge la sua storia
Un trionfo speciale, dal sapore di leggenda, che si regge su tanti significati. Non pretendiamo di raccoglierli tutti, ma uno in particolare è quello di aver vinto su un terreno tecnico roccioso, spinoso, quasi ostile.
Il rivoluzionario pittore Pablo Picasso, capostipite del cubismo e malagueno doc, fece della sua arte così destabilizzante l'epitome della destrutturazione, della pluralità di volti, di sfaccettature. Il Picasso cestistico del weekend di Badalona risiede proprio in questo, nell'aver vinto mostrando il volto giusto, che è uno e insieme centomila, nei tanti punti di vista che può mostrare questo team sul parquet.
Le 'Damoiselles d'Avignon' dell'Unicaja avevano già dimostrato di essere capaci di vincere sia giocando ad alto ritmo, che giocando a ritmi più controllati e forse anche questa anima poliedrica, quasi cubista appunto, ha consentito loro di uscire da un tipo di gabbia tattica che aveva già inibito Badalona ieri.
Malaga è la seconda squadra che segna di più da due dopo i verdinegro, prima in termini di percentuale, mentre Tenerife è una delle migliori a tenere i propri avversari lontano dall'area, concedendo solo il 48% dentro il perimetro. Si capisce subito da questi dati quanto questo fosse un tema tattico importante, in effetti i canari sono stati molto bravi a limitare la verticalità dello sviluppo dell'attacco andaluso, facendolo dipendere molto nettamente dal tiro da fuori.
L'Unicaja infatti segnava solo con il 38% da due (44% alla fine), ma soprattutto è stato tangibile durante tutto il match che fossero i momenti in cui il ritmo favoriva le percentuali a premiare i ragazzi di Navarro.
Proprio Navarro sul tema del ritmo in un timeout ha gridato esasperato ai suoi: "We need to run, we are jogging!". Tenerife è infatti ultima per pace in Liga e vive di ritmi bassi, mentre il quinto posto in graduatoria andaluso richiedeva una spinta in transizione decisa per spostare l'asse della contesa sui colori di Malaga.
Nonostante tutto però, la gara si è giocata a condizioni che avrebbero dovuto favorire molto di più la truppa di Vidorreta. Eppure ha vinto Malaga. Tanti volti, tante sfaccettature, una squadra che si può guardare da tante prospettive diverse, proprio come un quadro cubista.
Il genio artistico, necessario per mettere su tela l'idea sublime è stato quello di Tyson Carter, con i suoi 17 punti pittoreschi, tratteggiati con i colori più belli della pallacanestro nel solo secondo tempo, tutti segnatamente nei momenti decisivi.
Quindi capolavoro Malaga, capolavoro Navarro, una storia dipinta a colpi di pennello.
Tenerife, onore agli sconfitti
E' tutto in quell'abbraccio, sentitissimo, tra Ibon Navarro ed un Huertas in lacrime che sintetizza le emozioni e lo spirito unico della Copa del Rey. Fratellanza emotiva, amore per lo sport, vittoria e sconfitta come due facce della stessa medaglia.
Dalle orde di tifosi che cantano e suonano festanti per le strade di Badalona, tutti insieme, al rettangolo di gioco, dove il meritevolissimo coach andaluso rende onore ad un grandissimo campione.
Ed è lì che noi ci uniamo, nella celebrazione del gioco, degli uomini, degli sconfitti. Tenerife ha disputato una quattro-giorni stupenda, cedendo all'ultimo millimetro contro la squadra della leggenda che ha trionfato su Real e Barcellona.
Proprio tutto il discorso fatto prima, sulla bravura di Malaga a trionfare al di fuori di una confort zone vera o presunta, si compenetra così anche con i meriti di Tenerife, che era riuscita a fare della partita qualcosa di molto vicino ai propri binari, a tesserne le trame con consapevolezza. Poi ci sono state le imperfezioni che l'hanno condannati, perfino di Huertas, che ha perso qualche pallone (6 alla sirena), ma a quasi quarant'anni ha incarnato il basket nella sua forma più pura.
21 punti, 10 assist, una leadership unica e un insieme di gesti tecnici che sono l'abecedario di un decennio di basket, un mixtape nostalgico. Shermadini (20+9) e Fernandez (17) hanno creduto con lui nel sogno, forse un po' troppo da soli, con Salin che stavolta ha steccato l'appuntamento.
Insieme a Txus Vidorreta, un compendio di grandi uomini, a cui rendiamo onore e davanti ai quali ci togliamo il cappello, mentre cala il sipario su uno degli eventi di basket più entusiasmanti in giro per l'Europa.
Photo credit: Acb Twitter, cbcanarias.net