Grandinata Efes sull'Olimpia, sul Bosforo muore il sogno biancorosso
La disperata rincorsa playoff dell'Olimpia ha una conclusione definitiva alla Sinan Erdem Hall
La notte della verità, della speranza, del profondo dolore. Il verdetto del Bosforo è spietato per l'Olimpia, nella singola partita e nel più ampio quadro della stagione.
L'Efes gioca una prova di grandissimo spessore tecnico e agonistico e spezza le reni della truppa di Messina, negandole un futuro nella competizione, come accaduto in modalità diverse già un anno fa. L'89-69 rappresenta alla perfezione il netto divario che la Sinan Erdem ha messo in mostra.
Le riflessioni su quest'aspra notte biancorossa nell'analisi di Eurodevotion.
Una supremazia tattica incalzante
L'interpretazione turca della sfida incanala ben presto la gara, lasciando pochissimi dubbi dalla palla a due. Milano cerca da subito di andare in velocità, di superare la metà campo rapidamente, ma questo si traduce presto in offensive frettolose e frenetiche, e, in conseguenza, in qualche persa di troppo. L'Efes trasforma i recuperi in contropiede e attacca a grande ritmo.
Voigtmann ha grande impatto come facilitatore offensivo nei primissimi minuti, ma l'Efes inizia a concedergli spazio senza soffocarlo, mettendolo anzi nelle condizioni più scomode per le sue velleità di gioco. Prima viene sfidato a prendere posizione sui cambi difensivi e sfruttare i mismatch, poi più avanti verrà costretto a mettere la palla a terra con ottimi closeout, due aree di gioco in cui il tedesco è totalmente estraneo.
Piccole vittorie tattiche che si assommano, insieme ad una produzione sul pick and roll principesca, a cui la difesa biancorossa non troverà mai risposte.
E' chiaro che la coperta fosse corta, data l'immensità di bocche da fuoco a disposizione di Ataman, ma, dalle prime autorevoli triple di Clyburn in poi, i biancoblù riescono con facilità disarmante a coinvolgere il terzo uomo a partire dal gioco a due, scatenando così una gragnuola di triple (45,2% dall'arco alla sirena). Da qui scaturisce il primo vantaggio in doppia cifra nel secondo quarto, quello che mai più sarà ribaltato.
Milano ci lavora un po' meglio ad inizio ripresa, con un paio di ottime rotazioni di Hines, ma continua a faticare troppo in attacco per mettere in piedi una reazione competente, l'unica risorsa offensive credibile è un pugnace e concreto TLC, che, tuttavia, non disdegna di lasciarsi andare a qualcuna delle sue sconcertanti leggerezze.
L'Efes ha campo libero per avanzare imperioso e completare la sua opera di distruzione, in un secondo tempo che vive e muore nella più sobria continuità a tinte turche.
L'Efes dei 'millet'
La gara era un dentro-fuori, una partita che richiedeva un'intensità prima di tutto di approccio, ed è proprio in questo elemento che gli anatolici hanno primeggiato. Fame, determinazione, fervore agonistico volgono tutti a favore domestico nel momento determinante.
La furia turca si evidenzia in due fattori più di tutti, i recuperi (10 sulle 17 palle perse avversarie) e i rimbalzi offensivi (12, tutti pesantissimi, in primis psicologicamente), che, nell'avvampare della rovente avanzata ottomana, frantumano ogni velleità di successo per Milano. Anche la difesa è stata simbolica per ardore e applicazione, con grandissima pressione sulla palla, incarnata paticolarmente da Beaubois e da Gazi, che sono entrati sotto pelle dei portatori di palla dell'Olimpia.
L'Efes, infatti, squadra che solitamente è nota per le sue individualità, si è rivelata molto brava, come in molti dei suoi migliori momenti negli ultimi anni, a mostrare un'anima collettiva molto ben funzionante.
Come nell'impero ottomano, che doveva ai tempi ricongiungere nella sua aspirazione universalistica minoranze etnico-religiose tra le più diverse, dove vigeva il cosiddetto 'sistema dei millet' per garantire autonomia e assieme convivenza delle comunità sotto la guida del Sultano, così le varie 'teste calde' dei turchi sono gestite con simile criterio dal califfo Ataman, capace di far loro dare sfogo alle loro autonome bizze, per poi stringerli in pugno quando arriva il tempo del giudizio.
Furia e "millettismo cestistico" sono però qualità che i turchi hanno mostrato raramente durante l'anno, tant'è che il 'tempo del giudizio' cui abbiamo fatto riferimento è forse illusorio. La realtà è che questo scontro diretto, per le condizioni di classifica di entrambe le contendenti, aveva ed ha tutte le probabilità di essere vano, qualunque fosse stato il risultato che il campo avrebbe sentenziato. Le possibilità turche rimangono limitate.
"Dovevamo rispettare noi stessi"
Le speranze di playoff dell'Olimpia hanno passato con grande entusiasmo lo stretto dei Dardanelli, per poi venire impietosamente affondate su quello del Bosforo. Stramazzate, disfatte e frantumate, oggi in preda alle maligne correnti del giorno dopo, in quella terra di mezzo che non è Oriente, nè Occidente e che non sa di playoff, nè di gloria, ma solo di amarezza e del freddo cupo degli abissi marini.
"Dovevamo rispettare noi stessi", parole e musica di un Messina che sa bene di essersi giocato un traguardo importante in una debacle tecnica, tattica ed emozionale piena e completa. Obiettivamente un responso che non ha nulla a che fare con un mese di grande pallacanestro, e così Milano, staff e squadra all'unisono, non può che cospargersi il capo di cenere per non essere stata all'altezza di sè stessa.
Tuttavia, ci sono almeno due caveat da introdurre nel ragionamento. Il primo: dopo otto vittorie in nove partite, attendersene ulteriori, addirittura dodici, era ambizioso nei confronti di qualcosa di sostanzialmente inedito nella storia della competizione (Efes 20/21 unicum in questo senso). Il secondo, visto il successo del Baskonia, la sfida di oggi era più il perpetuarsi di un'illusione, che il proseguire di un sogno.
Questi aspetti relativizzano quella che resta una pesante sconfitta, lenendone la portata, ma raddoppiando per certi versi il carico sul tema del come si sia arrivati a questo punto. Già tanto abbiamo sentito e scritto, nel corso di mesi dell'agonia di un epilogo annunciato, apparso a tutti chiaramente scritto già dall'inverno.
Usare la parola 'fallimento' per giudicare una stagione sportiva sembra a chi scrive un gioco giustizialista e manicheo, che decapita colpevoli, semplifica giudizi, annulla sfumature, tuttavia è chiaro che il blasone, l'organico e la guida dell'Olimpia non corrispondono alla posizione che la classifica recita, certo non la rispettano adeguatamente. Istanbul è il punto di un romanzo lungo e complesso, con tanti capitoli e senza troppi colpi di scena.
Photo credit: Olimpia Milano Facebook, olimpiamilano.com e euroleaguebasketball.net