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Euroleague players 2011/12: Vassilis Spanoulis, l’eternità del Moderno Achille

Vassilis Spanoulis
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Vassilis Spanoulis è semplicemente Achille. Un Achille moderno. Sfuggente, poco simpatico come chi non vuole essere simpatico. Forse, c’è tanto della sua terra. 

Ad un primo sguardo, c’è quella modernità un po’ dozzinale che pare aver deturpato la bellezza di Larissa. E’ come se un volto bellissimo fosse stato rovinato da una chirurgia spicciola, per quanto necessaria alla vita.

Ma gli occhi vanno chiusi, per perdersi nella storia, nell’antologia. La sabbia delle battaglie, il sangue di una guerra spietata, che nacque dall’amore e morì nell’odio. Achille, eroe dal «pie veloce», che mal sopportava le gerarchie e le dipendenze, e che spesso nella sua tenda andava a rinchiudersi per non udire gli ordini dei re. 

La leggenda narra che quell’eroe mitologico nacque qui, a Larissa. E che a Larissa venne immerso in acque fatate per prendere dalla madre l’immortalità. Un’eternità potenziale che non lo salvò dalle debolezze umane rendendolo edotto troppo tardi della sua unica vera debolezza.

E qui si ferma la leggenda omerica, e non solo. La storia, invece, ci racconta che a Larissa nacque Vassilis Spanoulis. «Euro Kobe» per iniziare. Poi «Kill Bill». Semplicemente, «V-Span». L’uomo che chiuse la carriera di Diamantadis con una bomba in faccia. In finale per il titolo greco.

Gli albori di un mito

Sul braccio di Vassilis Spanoulis c’è tatuata una data: 23 novembre 1997.

Thanasis se ne sta andando. La malattia lo ha divorato negli ultimi mesi, senza lasciargli scampo. Vassilis è al suo capezzale. Fedele. Presente. Di poche parole. Ma vicino. Come sempre. «Diventerò il più grande papà, te lo prometto».

Dietro quella promessa c’è già tutta la passione di una ragazzo di appena quindici anni. In quella Larissa in cui nasce il 7 agosto 1982, a Vassilis Spanoulis vengono dettate tre regole che ne segneranno l’esistenza: «Amore, disciplina, rispetto».

E’ quello che mamma Georgia e papà Thanasis gli impongono, senza tuttavia costruirgli intorno alcun limite. Neanche sul gioco d’amare. Vassilis li prova tutti, dirigendosi presto verso la pallacanestro. Sui campetti di Larissa, in quel tempo, era facile imbattersi in un ragazzino che giocava alla morte, sempre pronto a litigare per il suo unico obiettivo, la vittoria.

«Amo sentire su di me la pressione, fin dall’infanzia. Sono stati anni semplici, fortemente marcati da un’identità di quartiere. Dopo la scuola andavamo a giocare a basket o calcio in un campetto che oggi purtroppo non c’è più. Questo mi ha reso da subito competitivo, combattivo. E’ quel che più avanti ti servirà per sopravvivere. Odiavo perdere, odiavo che qualcuno fosse migliore di me, odiavo che uno potesse credere che non fossi in grado di fare qualcosa. Il mio unico desiderio, a quel tempo, era dimostrargli che si sbagliava».

Ben presto, il campetto e gli amici non gli bastano più. E’ il giovane Vassilis a presentarsi negli uffici della Ginnastica, il club cittadino: «Voglio giocare per voi». 

«C’erano persone che dicevano che non potevo giocare ad alto livello. Ho chiesto a mia madre di iscrivermi alla Ginnastica perchè ne avevo sentito parlare bene. Da quel momento in poi, chiunque sia stato il coach, ho avuto ottimi rapporti».

Nessuno gli dirà di no, e d’altronde sarà Spanoulis a griffare il primo titolo Junior della storia del club. Il primo salto di qualità è con coach Vlado Maistrenko, poi c’è l’esordio in prima squadra, per cui vestirà la divisa dal 1999 al 2001. Ma prima, c’è il grande dolore. 

«La morte di mio padre ha cambiato gli equilibri in famiglia. Ero già duro di carattere, quella tragedia mi rese ancora più duro. Dissi che il basket sarebbe stato la mia vita. Fu fondamentale il sostegno di mia madre e di mio fratello».

Vassilis ha preso una decisione. Larissa è troppo piccola per essere il migliore. A differenza di Achille lui vuole Atene. E senza costrizione alcuna, Vassilis parte per Atene.

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2011-2012, il tempo della vittoria

Partiamo da due dichiarazioni.

«Sapevo benissimo cosa fare. Lo dissi a Papanikolaou. “Rimetti veloce su di me, a prescindere che Siskauskas segni o meno”. Avrei fatto qualcosa, lo avrei fatto per la squadra». Come sempre.

«Ho trovato Printezis nel momento giusto, con il suo tiro preferito».

Attenzione. Qui c’è dell’immensità. Dopo il Diamante, EuroLeague è stata segnata, Kill Bill a parte, da gente come Sergio Llull, Shane Larkin, Mike James, Vasilije Micic, Nando De Colo, Milos Teodosic. 

Di questi, che sono grandezza, solo uno, in un momento chiave, ha ragionato sul passaggio. E’ il buon Milos: ma fondamentalmente, grazie tante, con quella visione di gioco si può anche pensare di pescare Nando De Colo tra mille gambe nella finale con il Fenerbahce. 

Per Milos, il passaggio è un tiro. Per gente come Lull, Larkin, James, Micic, De Colo… e Vassilis, il tiro è il tiro. Nel finale si prende palla in mano, si va di isolamento, e tanti saluti. Il basket moderno lo permette, perchè le percentuali da fuori sono cresciute, perchè con la preparazione c’era anche chi, Steph Curry, vinceva le gare da centrocampo.

Il difensore lo sa, e non può aggredire come in passato: si rischia il fallo. Quindi tre tiri. Però occhio, fermiamoci qua. Stiamo raccontando una storia diversa.

Al Sinan Erdem, Vassilis, semplicemente e come detto, ferma il tempo. Dopo un errore, anzi due, di Siskauskas, chiunque avrebbe avuto foga. Non lui. Guardate la velocità con cui chiede palla, con cui vola verso la metàcampo avversaria, con cui attacca l’uomo.

Nel momento più importante della sua carriera, chiave, quel che dice se sarà un vincente o un perdente, Vassilis costruisce, non esegue. In quel momento pensa solo all’estate di un compagno, che in palestra, dopo i fallimenti NBA e con Malaga, aveva costruito la Petaktari.

E allora, Kyle Hines taglia per evitargli la pressione a tutto campo di Shved, poi converge su di lui in punta lasciandogli possibilità di ingresso solo da sinistra. 

Teodosic non crede nello scarico verso Mantzatis sul lato forte e fa bene, Krstic invece che retrocedere resta in punta su Hines, e allora è Kirilenko a dover convergere verso la mezzaluna per chiudere un facile appoggio a KillBill.

Chiunque, lì, sarebbe collassato. Non Vassilis, che sà che da mesi che, in quell’angolo, c’è un compagno che aspetta quel tiro. Un compagno che, da quel giorno, dirà: «io, all’Olympiacos, sarò sempre e solo il numero due». Vassilis Spanoulis, poche settimane fa ha fatto un passo indietro. Per noi, nulla sarà come prima. Perchè nulla sarà come lui.

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