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Euroleague Players 2002/03: Manu Ginobili vola in NBA e gli equilibri europei cambiano

Manu Ginobili
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Manu Ginobili lascia la Virtus al termine della stagione 2001/02: nella delusione bianconera dell’anno seguente la sua assenza pesa eccome.

Nel nostro racconto delle stagioni di Eurolega siamo soliti presentare il profilo di un campione che ha caratterizzato l’andamento della stagione stessa: in questo caso pariamo di un “campionissimo”, certamente tra i due-tre più forti che hanno mai calcato i parquet del massimo trofeo continentale, che però nel 2002/03 era già volato in NBA.

Il deludente risultato europeo della Virtus, dopo il titolo 2001 e la finale 2002, passa anche, se non soprattutto, da questo addio.

LE ORIGINI

Emanuel David Ginóbili Maccari, conosciuto da tutti come Manu, nasce a Bahia Bianca il 28 luglio 1977.

Manu, nel corso di una carriera indimenticabile, è stato uno dei due soli giocatori a vincere l’Eurolega, massima competizione europea, la NBA e una medaglia olimpica. L’altro è il “senatore Bill Bradley”.

I titoli NBA, tutti con i San Antonio Spurs, squadra texana dove ha militato per tutta la sua carriera oltreoceano, saranno alla fine 4. 

L’uomo definito da Gregg Popovich «probabilmente la persona più competitiva che io abbia mai visto» ha una collezione di trofei infinita, sia a livello individuale che, soprattutto, di squadra. Perchè Manu è l’uomo squadra per eccellenza, quello che con Tony Parker e Tim Duncan ha reso popolare la definizione di “Big Three”.

I primi passi in carriera avvengono in patria, con l’Andino Sport Club di La Rioja, capitale dell’omonima provincia nel cuore dell’ovest del territorio argentino, ad oltre 1100 km da Buenos Aires.

La mamma non voleva giocasse: «Ma dove vai, pesi 20 kg bagnato…»

Un talento del genere non passa inosservato sin da subito e se ne accorgono per primi proprio nella sua città natale, Bahia Blanca, dove resterà all’Estudiantes sino al 1998.

Di quel mancino che ha tutto per sfondare si inizia parlare anche in Europa ed è la Viola Reggio Calabria a farlo suo nel 1998, quando il Barcellona non si disse interessato. Che sia un vincente nato lo dimostra sin da subito: promozione in A1 a e l’anno seguente quarti di finale. Chi la batte? La Virtus Bologna, che vuol dire destino.

E’ tempo di Draft, quella grande fiera del futuro in cui spesso si consumano i cosiddetti “stella of the draft”, ovvero quelle scelte alte che poi si riveleranno campioni di assoluto livello. Ecco, Manu va alla #57, lo chiamano gli Spurs e si tratta di uno dei più grandi “furti” nella storia delle scelte NBA: ce lo dirà la sua mirabolante carriera.

Ma prima del Texas è tempo di Virtus, appunto.

«Quando sono arrivato alla Virtus non ero un giocatore completo. Sapevo schiacciare, tirare, ero molto atletico, ma Ettore mi ha insegnato tutto. Dalla mentalità difensiva al mettersi a disposizione della squadra. Mi ha fatto diventare un giocatore vero»

Manu ginobili sul lavoro con ettore messina

Nei due anni in cui veste la storica maglia delle V nere, Manu riscrive il libro dei trofei: un’Eurolega, due campionati italiani, due volte la Coppa Italia a livello di squadra, mentre colleziona un MVP delle Final 4 europee, due del torneo italiano ed uno della Coppa nazionale a livello personale.

Dall’addio a sorpresa di Danilovic la squadra bianconera diventa sua, nonostante la presenza di tantissimi campioni. E’ infatti una delle stelle più lucenti dello squadrone bolognese che compie l’impresa del “grande Slam” nel 2001, sotto la guida di Ettore Messina. Si tratta di una delle 4, 5 migliori squadre viste nella storia di Eurolega, probabilmente affiancabile solo dal Maccabi del “back-to-back”, dal Pana del 2009 e dal Cska del 2019.

In Eurolega chiude due stagioni con statistiche eccellenti: 15,4 punti, 4 rimbalzi, 2,8 recuperi e 2,5 assist. ma non è nulla di fronte al talento che gli Spurs decidono di portare a casa nel 2002. E sarà gloria anche in NBA.

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DOPO L’EUROPA, ALLA CONQUISTA DELL’AMERICA

I Mondiali di Indianapolis sono un altro passaggio fondamentale in ottica NBA: chi può restare insensibile ad un talento e ad un potenziale di quella portata?

Non mancano però i problemi all’inizio dell’avventura NBA. Come superarli? Con un grande lavoro di squadra e di comprensione reciproca con Coach Popovich, uno che non gli risparmia nulla, nemmeno i trattamenti più duri, ma solo e soltanto perchè vede caratteristiche umane e tecniche in grado di eccellere.

7,6 punti ed 1,4 recuperi sono il fatturato della prima stagione, prevalentemente da sesto uomo. Arriverà il titolo, grazie ad un Duncan MVP che domina i Nets 4-2.

12 punti, 3,8 assist e 4,5 rimbalzi dicono di una netta crescita l’anno seguente. E’ la stagione che si chiude contro i Lakers, in quel 2-4 indelebilmente segnato dal famoso tiro di Derek Fischer con 0,4 secondi sul cronometro. Gli stessi Lakers crolleranno inopinatamente in finale coi Pistons, in una delle loro edizioni più forti e più discusse.

I punti diventano 16 nel 2004/05, arriva la convocazione all’ASG, ma soprattutto il secondo titolo, quello in cui è protagonista assoluto delle finali con i Pistons. Lo “star system” americano non è ancora pronto per un MVP argentino (nel biennio 94-95 era toccato ad Olajuwon, sì nigeriano ma molto più americano di quanto dicesse il passaporto…): Tim Duncan, caraibico anch’egli molto a stelle e strisce, viene eletto MVP. Ingiustizia. Manu è fenomenale.

Il terzo titolo arriva contro i Cavs nel 2007. L’avversario è un certo Lebron james, che viene asfaltato 4-0.

La miglior stagione individuale è probabilmente quella 2007/08, quando è “sesto uomo dell’anno” a 19,5 di media. Il Lakers non sono d’accordo nel celebrarlo e fanno fuori gli Spurs nella finale dell’Ovest.

La carriera prosegue ad altissimo livello, San Antonio scrive la storia delle partecipazioni consecutive ai Playoff e nel 2014, dopo la tremenda delusione del 2013, condita da tante critiche per il campione ormai 36enne, arriva il poker a livello di titoli.

E’ così storia, per i “big three” e per lo stesso Manu, ormai icona mondiale del gioco. Ciò che sorprende maggiormente è la capacità di eseguire le giocate chiave, di essere ancora assai produttivo a livello di numeri e di saper gestire al meglio i ritmi di un torneo massacrante come quello NBA. In questo caso è fondamentale l’utilizzo che ne fa Coach Popovich, anche a costo di qualche multa dalla lega per l’eccessivo riposo concesso ai suoi campioni.

Il 27 agosto 2018, 41enne, dopo 16 anni di NBA e 23 di carriera agonistica, Manu dice stop. Si abusa del termine leggenda? Nel suo caso proprio no ed il soffitto dell’arena degli Spurs ne è chiara testimonianza.

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LA NAZIONALE E L’EUROLEGA

1 medaglia d’oro alle olimpiadi di Atene, 1 medaglia di bronzo alle olimpiadi di Pechino, 1 argento ai mondiali e infine 2 ori, 1 argento e 1 bronzo alle Fiba Americas Champions. Il fatturato in maglia “albiceleste” è grandioso come tutta la carriera agonistica di Manu.

E’ protagonista assoluto della celeberrima “generacion dorada” formata con Pepe Sanchez, Fabricio Oberto, Luis Scola, Andres Nocioni, Hugo Sconochini, Alejandro Montecchia, Carlos Delfino e Pablo Prigioni tra i più noti, che dal 2001 al 2016 ha reso immortale la selezione di basket sotto la guida di Ruben Magnano, Sergio Hernandez e Julio Lamas, prima del ritorno dello stesso Hernandez, ancora oggi al timone.

L’inizio di quell’epoca indimenticabile si può stabilire nel mondiale Under 22 del ’97: Manu era già lì, in quella maledetta sconfitta con l’Australia in semifinale (tripla all’ultimo secondo).

Dopo il sudamericano ed il FIBA de Americas del 2001, la consacrazione arriva con l’argento ai Mondiali di Indianapolis del 2002. Il 4 settembre di quell’anno la “selecion” supera 87-80 gli USA, prima squadra a batter gli americani totalmente NBA. Manu è grandissimo protagonista, ma un infortunio gli nega la finale contro la Yugoslavia. Anche per quello fu solo argento. Non basterà l’ammissione del grave errore dell’arbitro Nikos Pitsilkas diversi anni dopo.

Atene 2004 è l’apoteosi. In preparazione arriva un altro “sudamericano”, poi nel paese olimpico per eccellenza, un altro trionfo sugli USA di Iverson, Lebron, D-Wade, Carmelo e Tim Duncan, prima di superare l’Italia in finale. Manu? “Torneino” da 19,3 di media col 57% dal campo ed oltre il 40% dall’arco. 4,0 rimbalzi, 3,3 assist ed 1,4 recuperi completano un tabellino clamoroso. E come sempre, grazie a lui, vince la squadra, non ci si ferma ai riconoscimenti individuali.

Ha raccontato di lui Flavio Tranquillo: «Onestamente è uno dei pochi che ha un piacere profondo di giocare a pallacanestro e di fare la vita del giocatore di pallacanestro».

«Il che non significa che fosse ossessionato dal basket: in molti hanno correttamente ricordato come abbia una curiosità su qualsiasi altro argomento davvero ragguardevole. Però per lui giocare e vivere la pallacanestro in un certo modo era fondamentale. E aver trovato, un po’ per caso, quel tipo di contesto a San Antonio, gli ha fatto pensare: ‘Io resto qui volentieri’».

«Mike D’Antoni una volta mi ha detto: lui non è uno dei dieci, venti o forse neanche trenta più forti in NBA, ma è uno dei dieci più decisivi in NBA, che è tutta un’altra cosa. Perché se ne facciamo una questione di quanti tiri, quanti punti e quanti assist ha fatto, non siamo a determinati livelli. Per fortuna però la pallacanestro, come tutte le cose, va un po’ oltre la superficie».

A Pechino 2008 sarà bronzo, poi ci sarà anche il #1 nel ranking internazionale. Quarto posto a Londra, mentre a Rio si cadrà nei quarti sotto i colpi degli USA. Tutto finito? Parrebbe così, ma il mondiale 2019 dirà di una nazionale che non vuole smettere di restare in alto. Finale persa 95-75 con la Spagna, dopo le grandi imprese nei quarti ed in semifinale rispettivamente contro Serbia e Francia.

Manu ha preso le “sneakers” al chiodo ed assiste da bordo campo con l’amico Kobe, avversario di sempre col quale c’è un rapporto di rispetto reciproco totale.

In Eurolega resta memorabile la prova in gara 4 di finale 2001: 27 con 6/7 da due e 4/8 da tre. I compagni “albiceleste” Scola ed Oberto, in maglia Tau, devono inchinarsi 60-80 alla Fernando Buesa. Pochi giorni dopo arriverà il trionfo in gara 5.

Ovviamente quei 27 sono il massimo stagionale, perchè Manu da sempre leva il suo livello di gioco col progredire dell’importanza della posta in palio.

A parte i 31 contro il London Towers in stagione regolare, anche l’anno seguente il massimo arriverà nell’occasione più importante, ovvero la finale col Pana, quando tutto pareva apparecchiato per il “repeat” bianconero ma semplicemente Obradovic, Bodiroga e Kutluay non furono d’accordo.

La Virtus della stagione seguente, senza di lui, non fu più la stessa.

Tre anni fa l’occasione di chiedere qualcosa su Manu ad Ettore Messina, in una nostra intervista esclusiva, non ce la lasciammo scappare. La risposta? «Non si prendono troppo sul serio».

Semplicemente Manu, 4 lettere che hanno riscritto la storia del gioco. Lui non si piglierà troppo sul serio, ma questo è serissimo.

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