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Gianluca Basile: L’Olimpia è da titolo, fossi Jasi avrei paura. Il Maccabi del 2004? Ingiocabile!

Gianluca Basile
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Gianluca Basile è stato il primo dei tre italiani a sollevare l’Eurolega nell’ultimo decennio, precedendo Gigi Datome e Daniel Hackett. Col campione pugliese abbiamo affrontato tanti temi.

223 gare di Eurolega distribuite principalmente tra Fortitudo e Barcellona, prima delle ultime 24 apparizioni tra Cantù (15) e Milano (9), prima di chiudere una grandiosa carriera con l’Orlandina.

Gianluca Basile è stato uno dei giocatori che ha fatto maggiormente sognare una generazione, innamorata della sua lucida follia e di quelle “triple ignoranti” che hanno scritto pagine memorabili della storia del basket italiano ed europeo.

Nel 2010 il trionfo a Bercy contro l’Olympiacos, in un Barcellona in cui giocavano campionissimi come Ricky Rubio e Juan Carlos Navarro, prima della delusione dell’anno seguente, quando la tavola pareva perfettamente apparecchiata per un bis casalingo al Palau Sant Jordi, ma si fecero i conti senza un oste di nome Zeljko Obradovic ed una questione infortuni delicatissima. Blaugrana eliminati nei Playoff al termine di una serie finita 3-1 ma con i primi tre episodi terminati rispettivamente con uno scarto di 1, 4 e 2 punti, prima del 78-67 di gara 4.

In precedenza, semifinale contro la Virtus, persa 3-0, nel 2001, TOP 16 nel 2002 e nel 2003, poi la finale raggiunta a Tel Aviv nel 2004, quella famosa del 118-74 dopo aver eliminato Siena al supplementare 103-102. Infine TOP 16 nel 2005 ancora con la F prima di volare in Catalunya.

A Barcellona prima Ivanovic e poi si apre l’era Pascual. Nel 2006 è tempo di Final 4 dove arriva la L in semifinale col CSKA, nel 2007 e nel 2008 sconfitte ai Playoff, entrambe per 2-1 rispettivamente contro il Malaga di Scariolo ed il Maccabi.

Il 2009 dice ancora Final 4, dove arriva la sconfitta contro il CSKA di Messina (78-82) guidato da un Siskauskas straordinario da 29.

Infine il trionfo già descritto, suggello di una carriera unica, nel 2010, prima della delusione del 2011.

L’esperienza canturina del 2012 si chiude con l’eliminazione alle TOP 16 con un record pari al Maccabi (3-3) punito dalla differenza canestri e da una sconfitta casalinga (62-63) proprio contro il “suo” Barça.

Le ultime gare di Eurolega arrivano nella stagione 2013, chiusa con l’uscita di Milano in stagione regolare.

2163 punti (9,7 di media) vogliono dire 36mo posto assoluto tra i marcatori di sempre (Shengelia in agguato a soli 10 punti): chi meglio del “Baso” per conversare sulle imminenti Final 4 e su un po’ di queste straordinarie esperienze?

«La competizione è cresciuta tanto, con un format fantastico per il pubblico, massacrante per i giocatori che però godono di roster molto più larghi rispetto al passato che aiutano molto. L’Eurolega è sempre stata fisica, ma lo era più orizzontalmente. Oggi la verticalità è pazzesca, l’atletismo è a livelli mai visti. Io mi ritenevo un buon atleta, ma qua c’è gente che zompa facilmente molto oltre il ferro. E’ un livello sempre più NBA».

«Tecnicamente è sempre stata di altissimo livello ed in più quest’anno non ho visto squadre materasso, alzando l’asticella di ogni gara. E’ chiaro come sia confermata la grandissima differenza rispetto al campionato».

«Pascual sogna pallacanestro, è uno studioso clamoroso del gioco. Con Ivanovic non era facile per i rapporti umani»

«A livello tecnico molto simili, Xavi, che lo ammette, ha preso molto da Dusko. Poi Pascual ha più fantasia, è uno studioso clamoroso del gioco, passa ore a visionare gli altri, sogna pallacanestro. A fine anno con lui avevamo un Playbook con più di 100 soluzioni differenti e dovevamo ricordarle tutte. Ci siamo riusciti anche se era dura. Anche negli “shootaround” o negli allenamenti di rifinitura la sera prima di una gara eravamo concentratissimi in 5v0 su tutto ciò. Decine decine di situazione particolari che erano un impegno pazzesco mentalmente».

«Ivanovic è era più semplice a quel livello, con un numero di soluzioni più ristretto. Però con lui non era facile umanamente perchè la sua era la classica mentalità slava anni ’70 per cui ogni allenamento, ogni partita era come andare in guerra. Lui era il Coach, ma faceva da preparatore e da medico, aggiungendo sempre qualcosa al lavoro dei suoi collaboratori,. mai una cosa di meno.. Non era facile e non tutti lo accettavano di buon grado».

«Quando eri infortunato lui ti teneva totalmente ai margini, non potevi nemmeno incrociare la squadra negli stessi orari, così eri invogliato a recuperare prima per tornare in gruppo».

«Mamma mia, quel Maccabi era ingiocabile assolutamente, soprattutto in quell’ambiente. Forse in un altra sede si sarebbe potuto provarci, ma non ne sono sicuro… Lì fu un uragano, erano indemoniati. Imbattibili, certamente».

«La Virtus era una grande squadra, piena di campioni, ma quel senso di inferiorità provato a Tel Aviv non è nemmeno paragonabile».

«La Virtus del 2001 era una grande squadra ma la sensazione di inferiorità provata col Maccabi del 2004 non è nemmeno paragonabile»

«Eravamo persi, totalmente. Già Parker era una cosa mai vista, poi Baston, che atleticamente spazzava via chiunque, Blu che dalla panchina dominava, Vujcic, altro fenomeno, Jasi che la spiegava… Una squadra pazzesca. Cominciarono fortissimo e quell’uragano, come ho detto, ci travolse completamente».

«Ha grandi idee anche in panchina, anche se ogni tanto lo vedo uno’ troppo nervoso. Mi fa ridere molto, perchè gente come lui, o il Poz ad esempio, hanno le gambe più piegate oggi di quando giocavano. Non difendevano mai e lo posso dire perchè lo sanno anche loro… Entrando nel tecnico, a volte è frustrante e complicato per dei Coach che sono ex grandi giocatori dover accettare che certe giocate e certe soluzioni, che a loro venivano naturali, ad alcuni atleti di quelli che allenano proprio non riescano. Devono esser molto bravi nel gestire questo».

«Talento pazzesco, unico, ma fisicamente un po’ fragile. Al Barça provarono a curalo, si riprese ma si rifece subito male, un vero peccato».

«Jasikevicius ed il Poz hanno le gambe più piegate oggi di quando giocavano. Non difendevano mai…»

«(Risata..) Boniciolli lo devo solo ringraziare. Dovetti convincerlo perchè ad inizio stagione mi fece capire che sarei partito dalla panchina perchè altri davano maggiori garanzie a livello di fiducia. L’ho convinto, col lavoro e con l’atteggiamento».

«Avremmo voluto arrivarci prima ma per quel carattere ruvido di Ivanovic non fu facile farlo. Sai, non tutti volevano venire al Barça nonostante un budget infinito disponibile… Siamo però cresciuti, anche con lui, il gruppo catalano è rimasto come zoccolo duro ed il coronamento del lavoro è arrivato poi con Xavi Pascual».

«Quando prendi un giocatore sai che caratteristiche ha. Diciamo che non è mai stato una saracinesca, di cosa ci si stupisce? Ha altre qualità, ma in difesa ci prova pochissimo. Quando in una squadra c’è uno che dietro nemmeno ci prova diventa dura se non hai equilibri perfetti negli altri quattro. Ad esempio ricordo bene Navarro, che non è passato alla storia come un gran difensore: lui però ci provava, anche perchè soprattutto con Dusko, se nemmeno ci provavi il campo non lo vedevi più».

«Obradovic vinse la serie del 2011 scegliendo di battezzare Sada e Rubio. Sapeva che 5v5 non ce l’avrebbe mai fatta»

«La squadra inizialmente fu quella confermata dalla stagione precedente, quindi sapevamo cosa fare ed eravamo avanti come gruppo. Rimpianti non ne ho mai, ma quella stagione io rimasi fuori quasi sempre per una frattura da stress, poi si fece male Pete Mickeal, per noi decisivo. Arrivarono in corso d’opera Alan Anderson, un matto ma di grande talento, e Joe Ingles da Granada, ma non fu sufficiente. Certo, se avessimo avuto Pete in quella serie… In fondo noi eravamo quelli che li avevano buttati fuori l’anno prima, battendoli due volte, a livello di TOP 16. Obradovic sapeva che 5vs5 non l’avrebbe vinta ed allora scelse di far tirare Sada e Rubio, vincendola così».

«Ho preso molto da tutti, ho cercato di assorbire il meglio, ma quello che mi ha cambiato veramente a livello di leadership, di controllo e di modo di stare in campo è stato Jasmin Repesa. Ero molto timido, non parlavo, mai, lui mi ha voluto investire del ruolo di suo comunicatore in campo. Mi ha fatto diventare un malato di tattica, conoscevo a memoria i playbook di tutte le squadre ed ogni scelta per affrontare. Dovevo sapere tutto perchè toccava a me trasmettere il suo credo tecnico ai compagni in campo».

«Repesa è il Coach che mi ha veramente cambiato a livello di leadership. Mi ha fatto diventare un malato di tattica…»

«Tyus Edney e Louis Bullock».

«Il solo fatto di aver riportato un’italiana alle Final 4 dopo una vita è motivo di grande orgoglio. E’ una squadra molto pericolosa, se fossi Jasi avrei molta paura di affrontarli. Non ha nulla da perdere, senza pressione, ed ha campioni che sono dei vincenti, molto esperti, nonchè un allenatore che di quell’esperienza ne ha da vendere. L’Olimpia è una squadra da titolo, molto completa, che ha fornito in stagione prove di altissimo livello, solo alcune volte alternate ad altre poco convincenti».

«Il cuore dice Barça, ma se devo scommettere dico Efes»

«Il cuore dice Barça, ma se devo scommettere dico Efes».

«E’ difficile, sono tutti buoni, ma non ce n’è uno che mi fa saltare sulla sedia. Sai, la mia asticella è molto in alto, ero abituato a giocare con Navarro…».

«Sì, Llull sicuramente ed anche Baron: hanno un po’ quelle caratteristiche particolari».

«E’ questione di ritmo, solo di ritmo. Se hai troppo tempo perdi fluidità. Io non mi ritenevo un tiratore puro, perchè quelli continuano a tirare anche dopo aver sbagliato, mentre io dopo tre errori mi dedicavo ad altro… Ma con tempi più ristretti avevo quella fluidità che serviva per mettere quei tiri».

Unico, il “Baso”.

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