Gianmarco Pozzecco: Essere se stessi e dire la verità? Complicato nel mio mestiere
Gianmarco Pozzecco, Coach degli azzurri, è stato protagonista ad AREA 52 lunedì scorso. Molto interessanti le sue parole sul modo di allenare e di porsi di diversi allenatori.
Gianmarco Pozzecco, Coach di Italbasket, è stato grande protagonista della puntata di AREA 52 andata in onda lunedì scorso, dopo l'intervento di Achille Polonara che lo ha preceduto.
Tanti i temi toccati con il Poz, ma ci hanno particolarmente fatto riflettere le sue parole riguardo il modo di porsi di tanti allenatori nel mondo del basket attuale, il metodo di lavoro e la capacità di affrontarlo in un certo modo.
Si parla di come si possa vivere lo sport ed il proprio ruolo...
«Ci sono tanti modi di viverlo. C'è chi è più goliardico, chi meno, ma goliardico non vuol dire meno professionale. E' questione di non prendersi in alcune occasioni troppo sul serio, mentre poi devi saper essere clamorosamente serio quando serve. Sono felice di allenare una quadra che la vive un po' come la vivo io».
Sulla sua idea di gioco...
«Ho la mia idea di pallacanestro ed ero un po' preoccupato di poterla applicare in Nazionale, perchè i giocatori che puoi scegliere sono in un numero limitato, mentre se alleni in Eurolega puoi scegliere tra tanti profili che fanno al caso tuo. Peri i Mondiali ad esempio selezionerò la squadra tra una ventina di nomi. Magari non ci sono alcuni giocatori che avrei voluto in certi ruoli ma sono rimasto favorevolmente sorpreso dal fatto che siamo riusciti a giocare bene a pallacanestro lo stesso».
Ancora su quel discorso di goliardia e professionalità...
«Quando vent'anni fa sono passato in Fortitudo, dopo Varese in cui il concetto di goliardia era assai presente, sostanzialmente quello che ci fu chiesto era così riassumibile: siccome non vinceremo, cerchiamo di essere professionali al 100%, così non attaccabili. Perderemo, ma così nessuno potrà dirci nulla... Voi penserete che io stia scherzando, ma è vero».
Su come si pongono gli allenatori e le opzioni che hanno prima di una partita...
«Hai due possibilità... La prima è dichiarare ciò che sarà o è utile per affrontare meglio la gara, quindi guardando alla comunicazione non si soddisfano i giornalisti ma si utilizza quel momento per mettere i giocatori nella condizione psicologica migliore per affrontare la partita. In alternativa, soluzione B o 2, usatissima, fare dichiarazioni preventive nei confronti di un'eventuale sconfitta. Dire in pratica ciò che ti giustificherà nel momento in cui tu perderai. Ad esempio "siamo più scarsi dei nostri avversari", in antitesi con la prima possibilità. Non è educativo, non è il meglio che si può dire a dei giocatori, però lo si fa».
«Aggiungo che ho imparato come sia importantissimo, se vuoi allenare, sapersi vendere bene. Quindi dichiarare di essere goliardico non è vendersi bene e la tua immagine ne esce danneggiata. E' meglio essere legati ad un'immagine di serietà, non perchè sia più efficace allenare senza sorridere, ma perchè è più efficace per la tua immagine di allenatore».
«Oggi, in un mondo in cui tutti possono commentare, dove c'è spazio per chiunque, è estremante importante dare una certa immagine. Io inconsapevolmente ho già fatto la mia scelta, preferisco i legami enormi con chiunque che per me arrivano più facili se ti diverti. Ed io se vado al campetto mi diverto solo se gioco con gente che si impegna».
«In sostanza c'è chi non adotta la goliardia per proteggere la propria immagine. Chi pare serio è allenatore capace, chi non è così non è capace, in questa visione».
«Nel mio caso io sono uno che si diverte, quindi sono un gestore. Nessuno sa come alleno, nessuno viene a vedermi perchè pensano che io, gestendo, non possa riscuotere interessa in nessuno. Tanto la mia è una gestione che parte dalla colazione fino a dargli la carta di credito alla sera, non è una cosa che vivi se vieni a vedermi in palestra e quindi, appunto, nessuno sa come io alleno. Ma io ho scelto di fare le cose in un certo modo, indipendentemente da quello che pensano gli altri».
Un aneddoto su Djordjevic...
«Un giorno mi disse che nelle interviste si era riferito a me come Coach, non come Gianmarco, e che avrei dovuto iniziare ad abituarmi a questo. Una cosa che ho apprezzato molto e che avevo notato, per cui ringrazio Sasha per questo».
Su una possibile terza via comunicativa, ovvero sulla possibilità di essere se stessi e dire la verità...
«Sì, è complicato. Vedi, è arrivato qui a casa mia Peppe (Poeta) e mi ha detto che devo chiamare quelli che non convocherò per il raduno di Folgaria ed è giusto. Dovrò dire loro la verità. Sarebbe più facile farli chiamare dal Team Manager oppure far uscire le convocazioni e loro lo saprebbero da siti e giornali, magari utilizzando poi stratagemmi del tipo "no, ma sai, non ti ho chiamato perchè...". La verità è un po' più complessa. Non sempre, a volte è la via più semplice e ti agevola il compito».
Altro aneddoto su Tanjevic, che la verità gliela disse...
«Torneo dell'Acropoli 1999, lessi sul Televideo che "Pozzecco era un farfallone". Ero furioso in camera con Bonora, volevo andarmene. Davide e Dino Meneghin cercarono di calmarmi e mi dissero di parlare con lui la mattina dopo. Trovai Boscia a colazione e gli dissi che volevo andarmene perchè non giocavo. Lui replicò "tu non sei giocatore di livello europeo". Io risposi che "visto che non stiamo preparando il campionato africano allora vado a casa". Lui mi disse la verità allora. Ammetto che qualche notte ho sognato che guidando lui attraversasse la strada... Ma scherzi a parte se oggi mi chiedi chi c'è nella top 5 di chi ho trovato nella pallacanestro io metto Boscia Tanjevic ed è lì per questo. E' difficile dire la verità ma chi lo fa è di un'altra categoria».
Sull'impatto degli allenatori sulle proprie squadre...
«Se c'è un'altra cosa che ho imparato in questo mestiere è che se vuoi essere un grande allenatore devi allenare le squadre forti. Vi faccio io una domanda: per vincere l'Eurolega cosa considerate come necessario? Ve lo dico io: è necessario allenare una squadra di Eurolega. Penserete che io sia scemo, ma anche se hai 12 giocatori fortissimi e fai l'Eurocup, l'Eurolega non puoi vincerla... Banale, ma è una perla».
Andiamo più a fondo dopo questo concetto è molto più profondo di come appaia e lo stimoliamo su quanto ci ha detto un giocatore, ovvero che "12 giocatori forti possono far vincere un allenatore scarso, ma 12 giocatori scarsi non bastano nemmeno ad un allenatore eccellente, a meno che non si chiami Obradovic", l'unico capace di vincere anche in condizioni più difficili...
«Vero, sono d'accordo, ma c'è qualcosa che un allenatore può e deve dare. Sono convinto che l'unica cosa diversa che ho da allenatore rispetto a quando giocavo, momento in cui condividevo al 100% ciò che vi ha detto quel giocatore, è di aver il compito di metterli insieme, che può voler dire a volte non fare niente perchè stanno già bene. E' molto più probabile, in squadre forti come in Eurolega, che un allenatore possa fare dei danni. In squadre più deboli è più facilmente riconoscibile la mano dell'allenatore».
«Obradovic ottiene tutto dai propri giocatori perchè dimostra grande rispetto verso di loro, condividendo ciò che si fa e si vive. E' consapevole che alla fine vinceranno loro e si innamorano di lui. Ci sono altri Coach che pensano di essere invece imprescindibili, determinanti e di conseguenza presuntuosi ed onnipotenti».
Si prosegue con altri aneddoti proprio su Zeljko, su come sappia scindere il momento del sacrifico da quello del divertimento, poi il caso Banchero, gli avversari ai Mondiali, e tanto altro che potete trovare all'interno dell'intera puntata, un viaggio completo nel mondo del Pozzecco persona prima che allenatore. Che poi, alla fine, sono in maniera straordinariamente positiva la stessa cosa.
Arriva Peppe Poeta fresco campione d'Italia, si ride, si scherza, ci si diverte: «Pensa che c..., smette di giocare ed il primo anno vince lo scudetto. E' un predestinato, è nato con la camicia... di Armani tra l'altro».
Il Poz chiude con un'affermazione che spiega tutto meglio di qualunque altra considerazione: «A me interessano i legami. Se vinci un trofeo non è che dopo cinque anni fai serata con la coppa, sono i legami che ti lascia lo sport la cosa più importante».