Berlino 2024 - Il diario delle Final Four di Eurolega
Berlino 2024, Final Four di Eurolega. I giorni più belli dell’anno. Si parte.
Il cielo è nebbioso, la temperatura è umida: è mercoledì pomeriggio, 22 maggio, e un autista con cui non è esattamente facile comunicare ci porta dall'aeroporto all’albergo, nella zona Sudovest della città.
E' già sera e ci addentriamo nelle strade berlinesi. Dopo pochi metri un topastro di dimensioni non identificate ci attraversa la strada: presagi? La passeggiata prosegue, si apre alla vista un parco borghese con un playground piuttosto nuovo che si fa ricordare per il suo avere il canestro totalmente in ferro, compresa la retina – un modo per fare sentire il famoso “sdeng” anche a chi è abituato a fare canestro?
Ci accoglie la prima birreria berlinese, su invito di un amico. Ecco, quindi, la prima birra (di tante), le prime chiacchiere tra colleghi, i primi pronostici (non ne azzeccheremo uno: queste Final Four si riveleranno tanto bizzarre quanto imprevedibili). Anche il nostro gruppo, così come quelli che scendono sul parquet, inizia ad oliarsi in vista delle giornate intense che ci aspettano. Si rientra piuttosto presto; dalla mattina successiva si inizia a pieno regime.
Giovedì, 23 maggio. La sveglia suona presto e i dintorni offrono anche una colazione dolce degna di nota con un cappuccino più che accettabile, nonostante il Direttore non lo abbia gradito e quindi mai più ripreso nelle mattinate successive.
Intanto, alle 9, si alza la prima palla a due della Next Generation, Olimpia Milano-Real Madrid, subito sfida di grande interesse e il primo contatto con alcuni giocatori che ci impressioneranno dall’inizio alla fine. La ANGT si gioca in una struttura vicino alla Uber Arena, con troppi pochi posti e solitamente adibita a piccoli concerti musicali.
Il torneo si rivela, fin da subito, essere il ritrovo di scout, allenatori in attesa di panchina e altri che hanno da poco terminato la stagione, agenti, dirigenti, ex giocatori, leggende (Danilovic, Siskauskas, Maciulis, …) e via dicendo. In mezzo ci siamo noi, i giornalisti, a provare a carpire quante più cose possibili.
È già tempo della seconda gara di giornata, Ulm-Mega, ma anche quello di andare a vedere gli interni della Uber Arena dove c’è la cosiddetta working room e iniziare a prendere posto per la presentazione delle Final Four che inizierà a mezzogiorno.
C’è fermento, trepidazione e vibrante attesa: gli otto protagonisti fanno l’ingresso sul palco tra chi è vestito in modo più classico (quelli del Real Madrid), chi è meno abbottonato (quelli del Pana), chi ha optato per un abito discutibile (Papanikolau) e chi è invece impeccabile (Jasi e Hayes-Davis). Le prime facce ci dicono di un Mateo a metà tra il teso e l’impassibile, un Bartzokas attendista, un Ataman pronto alla battaglia e uno Jasi sorridente. Alcune saranno completamente diverse nel giro di pochi giorni.
La conferenza non è chissà quanto illuminante: si sa che questa è una fase dell’evento in cui c’è spazio per le frasi di rito e poco altro. Difficile strappare qualcosa di più succoso. Allora è necessario aspettare il pomeriggio, quando per 15 minuti avremo accesso a bordocampo per fare le domande ai protagonisti.
Quel momento arriva e allora l’orda di giornalisti famelici fa l’ingresso a bordo campo: è una sorta di no man’s land. Per strappare una domanda bisogna prendersi qualche gomitata nelle costole, essere muniti di pazienza e avere il fiuto per l’occasione giusta e le tempistiche corrette. Il tempo per fare una domanda è istantaneo: bisogna essere precisi, rapidi e incisivi perché c’è sempre qualcuno pronto a sfruttare ogni tua esitazione per soffiarti l’intervistato e prendersi lo spazio.
Ma i 15 minuti finiscono in fretta e quindi la mandria ritorno ai posti di lavoro, quando immediatamente la zona riservata alla stampa diventa un fremere impazzito e martellante di dita che calpestano i tasti di laptop e altri device tecnologici. La giornata è stata lunga; scende la sera e quindi terminate le ultime incombenze si fa ritorno in hotel, mentre il buio avvolge la Sprea e il cielo di Berlino si fa scuro.
Venerdì, 24 maggio. Il bar (o forno?) sotto casa è stato ormai eletto a tappa consueta per la colazione. Sappiamo quello che troviamo – che è più che decente – senza sorprese. È venerdì, giorno delle semifinali: oggi si fa sul serio. Ieri è stata giornata di tante chiacchiere, alcune preconfezionate e ormai noiose, altre meno: ma sempre e solo tante chiacchiere. Oggi è tempo di scendere in campo e di conquistarsi a suon di canestri l’accesso alla finalissima.
Prima, però, c’è ancora la Next Gen e una partita assai intrigante tra Real Madrid e Mega di Belgrado. A tifare per i talenti serbi c’è Sasha Danilovic, e in effetti la squadra balcanica gioca alla grande e mette in seria difficoltà i madrileni. Ma, alla fine, vincono sempre i blancos: inscalfibili. Inizia a farsi ora di pranzo, l’adrenalina cresce negli animi di noi appassionati e nelle zone antistanti all’arena. Nella working room è la cosiddetta quiete prima della tempesta, ci si scambia opinioni su come andranno le semifinali. Noi abbiamo le idee abbastanza chiare: finale Real Madrid-Fenerbahce, con gli spagnoli campioni. La storia, lo sappiamo, ci darà ampiamente torto.
Fuori il rumore sale, i tifosi del Pana sono già a migliaia e accendono l’atmosfera fuori dalla Uber Arena. Iniziano ad accalcarsi anche quelli del Fener, finché succede l’imprevedibile. Un gruppo di tifosi forza i cancelli all’ingresso ed entra nell’arena senza biglietto. Rumori, non festanti, che crescono, la polizia che si smobilita e inizia a correre verso l’ingresso principale: non sono scene esattamente tranquillizzanti.
Poi la tensione scema, ma questo imprevisto provoca una reazione a catena che causerà uno dei maggiori problemi di un’organizzazione berlinese che ha fatto acqua da tante parti (perché relegare la Next Gen in un campo di gioco con assai pochi posti disponibili per una competizione che attira sempre tanta attenzione? Perché l’impreparazione nel permettere l’accesso al pubblico per le semifinali? Perché la contraddittorietà di tante indicazioni e regole organizzative?).
Sta di fatto che i giocatori di Pana e Fener vengono annunciati, noi siamo pronti in postazione (raggiungibile solo dopo quattro lunghe rampe di scala che conducono alla nostra piccionaia, peraltro senza monitor), ma gran parte del pubblico è ancora bloccato fuori. La partita è rimandata, le indicazioni in merito sono poche chiare e la confusione è tanta. Poi dopo mezzora si parte, ma si poteva e doveva fare meglio.
Delusione Fener, tripudio verde. I volti in zona mista sono presto raccontati: euforici quelli greci, attoniti e delusi quelli turchi. Ma il tempo di porre domande e di riflettere su quello che è successo è pochissimo, perché è già tempo della seconda semifinale. Il Real indirizza fin da subito la partita, resiste ai tentativi di rimonta dell’Oly e si prende la finale.
Rammarico ma anche orgoglio per i reds; testa già alla finalissima per i blancos. Bartzokas, in sala stampa, è il migliore della semifinale: le sue parole trasmettono grande controllo del gioco e delle emozioni, nonché una lucida riflessione su quello che ha detto il campo. Sa che in queste tre Final Four ha raccolto meno di quanto avrebbe meritato, ma è anche consapevole della cultura che è riuscito a creare e a cui molti altri team guardano e hanno guardato in questi anni. Mateo, invece, sa di non aver fatto nulla: per il Real c’è solo il titolo. Come sempre.
Dopo il fiume di dichiarazioni tra zona mista e conferenza stampa, si è passata abbondantemente la mezzanotte. È tempo di uscire dall’”ufficio” nella notte berlinese. Prima di rientrare, stanchi ma ancora con tanta adrenalina in corpo per quello che è successo sul parquet, urge rifornimento con una buona birra (Pilsner o Franziskaner che sia), così come anche coach Mateo ha detto che avrebbe fatto, prima di tornare al lavoro. La birra fa il suo dovere; la metro ci riporta verso l’alloggio con il brulichio di gente che affolla Berlino a qualsiasi ora della notte. La giornata successiva servirà anche per ricaricare le batterie.
Il sabato parte lentamente. Ultimo giorno di Next Gen prima della finale di domenica; il Real ha un turno agevole contro Ulm e quindi può essere già considerato all’atto finale. Dall’altra parte Barça e Parigi si giocano tutto: a sorpresa (ma neanche troppo) vincono i parigini. Niente clasico.
A mezzogiorno è tempo di conferenza stampa di presentazione della finale. Mateo è visibilmente più teso: sa che tutta la pressione è sulle sue spalle. Ataman è decisamente più tranquillo; scherza, ride, alleggerisce la tensione. Sa che può permetterselo, così come sa che la finale al primo anno è già un grandissimo risultato, nonostante gli investimenti fatti dal suo club. Però l’appetito vien mangiando e le finali sono fatte per essere vinte.
Ci rifocilliamo alla solita mensa. Per chi si fosse domandato quale fosse il menù tedesco sappia che abbondano le patate (in tutti i modi) e i ricchi stufati di carne arricchiti con spezie e verdure. Le alternative sono sandwich di diverso tipo. Non manca il caffè: rigorosamente italiano.
Il sabato pomeriggio è un momento di stasi, in cui c’è poco da fare e si trascorre il tempo facendo altro, magari uscendo dall’arena e facendo due passi lungo la riva della Sprea e l’East Side Gallery.
Poi scendono in campo le quattro squadre per l’allenamento; andiamo a bordocampo per qualche intervista. Molta meno ressa per parlare con i protagonisti della battaglia (si fa per dire…) per il terzo posto: ovviamente non si può che guardare al percorso fatto e al futuro prossimo tra risposte velate di speranza e altre di delusione e voglia di tornare a casa quanto prima. Ma sull’inutilità della finale per il terzo posto ci siamo già espressi.
I protagonisti della finalissima, invece, sono concentratissimi. Molto più quelli del Pana, a differenza del loro coach: i giocatori sanno che hanno l’occasione della vita (essere arrivati all’atto finale al primo anno di un nuovo ciclo è qualcosa di straordinario; vincere sarebbe materiale inedito). Raccogliamo le dichiarazioni; alcune scontate e di facciate, altre più interessanti. Ma è sabato anche per noi e allora è il momento di viverci, a nostra volta, un po’ della movida berlinese. Qual è l’esito? Il più classico. Birra (non vi diremo mai la cifra esatta) e kebab delle tre di notte abbondantemente condito per conciliare il sonno. Il rientro in metro è uno spaccato della vita underground della città. Non proprio idilliaco, diciamo così.
È domenica mattina; non c’è tempo per dormire. C’è chi si dirige subito verso l’arena dello scontro finale e chi si concede qualche ora per visitare la capitale tedesca. Alle 12.30 c’è la finalissima della Next Gen (Real Madrid-Paris). La sala (chiamarla arena o palazzetto sarebbe un’esagerazione) in cui si gioca è gremita; pubblico delle grandi occasioni. E la partita è effettivamente uno spettacolo tecnico ed emotivo: blancos che vincono all’overtime ma soprattutto 45 minuti di pallacanestro tra alcuni dei migliori prospetti europei dei prossimi anni. Non esageriamo a dire che è stata la migliore partita del weekend insieme alla finalissima dei senior.
Dopo un pomeriggio tranquillo e di preparazione al grande evento, è tempo dell’atto finale. Sembra tutto già scritto, eppure non lo è. Il Real parte a mille come in semifinale; il Pana resiste ai ganci madrileni, non cade al tappeto e, lentamente ma con costanza, risale la china e trasforma la stanchezza blanca in adrenalina. È trionfo green: Ataman è ancora sul tetto d’Europa, Sloukas è il leader assoluto di una vittoria sensazionale.
Facile intuire i volti che girano in sala stampa. Mateo è amareggiato, ma orgoglioso del percorso fatto: un dominio durato tutto l’anno, fatta eccezione per i 30 minuti finali, che sono stati letali. Ma si berrà una birra con la sua famiglia così come aveva fatto dopo la semifinale, almeno così dice. Il sorriso di Ataman, invece, è quello dei giorni migliori: quello di chi sa di essere il miglior allenatore europeo degli ultimi anni. Riceve i ripetuti complimenti anche da uno Sloukas che è sembrato volersi togliere qualche sassolino dalle scarpe durante la conferenza stampa finale.
Poi si esce dalla Uber Arena, per l’ultima volta. La festa Pana inizia altrove; il nostro è l’ultimo tragitto in mezzo alle vie centrali. La conclusione, tra strade deserte e saracinesche abbassate, è una birra con wurstel davanti al Checkpoint Charlie, deserto. Si rientra in hotel; si prepara la valigia.
È il lunedì mattina. Ormai tutto è quieto; il sipario si è richiuso e tutti tornano a casa. Ora il pensiero va già a quel lontanissimo ottobre da cui partirà l’ennesima strabiliante stagione di Eurolega. Oltre quattro mesi di attesa sono troppi; ce lo ripetiamo più volte. Barcellona o Belgrado? Si pensa già alla prossima Final Four, quella bolla magica e insostituibile che è l’evento più bello della pallacanestro europea e non solo. Non vediamo l’ora e nel volo di rientro verso casa vagheggiamo già un assortimento di tapas o lo spettacolo della Stark Arena.