Llull e le meccaniche divine, il Real è rapimento mistico e sensuale
Il Real Madrid è campione di Eurolega 2023
Viviamo di questi momenti. La gioia della pallacanestro condensata nell'attimo irripetibile, il crudele destino che divide in modo manicheo vincitori e sconfitti. Il teatro del basket alla massima potenza, in una finale di Eurolega incredibile, premia l'eterno ritorno del Real Madrid.
Con il 79-78 conclusivo cade chi quel trofeo era il più indicato ad alzarlo da una lunga stagione di sforzi, l'Olympiacos. L'onore delle armi dovuto ad un team così meritevole non può colmare l'amarezza profonda che Bartzokas e i suoi patiranno.
L'undicesimo successo continentale dei blancos, il tentativo di scalata dell'Olympiacos. E' difficilissimo raccontare tutto questo in soli tre punti, ci proviamo.
Aggressione Oly, rollback Real
L'Olympiacos inizia imponendo la sua autorità offensiva, trova ritmo e grandi spazi dall'arco, da cui è chirurgico. Un primo tentativo di zona del Real viene distrutto dopo una sola azione, l'attacco greco pare inarrestabile.
Ndiaye parte in quintetto in missione su Vezenkov, ma il bulgaro ben presto evidenzia il divario in esperienza e se ne divincola. Walkup è poderoso nel rincorrere Musa, maestro nel proibirgli le ricezioni, determinato nel costruire quella defensive confidence di cui è solito parlare.
I reds sono travolgenti e l'inerzia del match è totalmente tinta di biancorosso.
La fine del primo quarto sembra indurre però un cambio di passo, è l'inizio del rollback merengue. L'ingresso del Chacho porta geometrie ed estro all'attacco, ma, nonostante questo, le realizzazioni del Real non prendono il volo.
La vera svolta è la 2-3 di Mateo, che sarà chiave fondamentale. La zona, gestita con grande determinazione e collaborazione dai madrileni, toglie ritmo ai greci, costretti a palleggiare tanto e a prendersi tiri contestati e non scelti. I due spagnoli in punta spingono all'esterno il portatore di palla ellenico, sconsigliandolo da qualunque pick and roll centrale e incanalando l'attacco avversario nelle zone del parquet desiderate.
L'Olympiacos, che è stato esempio celestiale nel modo di dominare i tempi e gli spazi di una partita, è totalmente privo della capacità di occupare le zolle di campo che desidera, encefalogramma piatto pure nei tempi rallentati delle scelte.
Il secondo quarto la tendenza è definitivamente invertita. Chacho, Causeur e Rudy insieme in campo sono un manuale del basket, dopo il primo gioco a due tra Rodriguez e Tavares, i tre sono maestri nel conservare il vantaggio, far lavorare la difesa e trovare il tiro migliore. Quando l'ex Olimpia scuote la retina sul ritrovato vantaggio iberico è 19-5 di parziale blanco.
McKissic è però grimaldello ateniese, si prende in penetrazione il pitturato, rompendo la monotonia perimetrale ellenica. L'Olympiacos torna ad aggredire gli spazi e trova la chiave per alimentare il proprio bottino. Coglie inoltre tutti i vantaggi di poter triplicare in taglia i madrileni, che schierano Hezonja da 4 e Randolph da 5. Senza Tavares, è tutta un'altra storia.
Il finale del primo tempo si traduce, così, in un vero show. I greci sono tornati a sbloccarsi, gli spagnoli continuano a beneficiare del ritmo conquistato e della sublima regia del Chacho. 45-45 alla metà significa un supplementare di 20'.
Ti viene a cercare
Quello che si vede nei successivi 20', è storia. La grande storia del perchè amiamo questo sport, la grande storia di come la pallacanestro cerca i nostri cuori e nutre la nostra anima.
Il risveglio delle ostilità dopo l'intervallo è un revival dei reds, che continuano a mettere a ferro e fuoco la retroguardia spagnola. Bartzokas va alle nozze di Canaan e vede molta dell'acqua tramutarsi in vino, dalle mani dei suoi giocatori al canestro avversario. L'americano è decisivo su entrambe le metà campo ed è ruggito greco.
Con Tavares torna a ringhiare però la 2-3 madrilena, schierata allo sfinimento da Mateo, mentre l'Oly cerca modi sensati per superarla, William-Goss fa due guizzi che ricuciono lo strappo ellenico di pochi minuti prima.
Vezenkov non vuole perdere la sua notte da re, taglia senza palla come un coltello nel burro (prima manifestazione del gioco senza palla greco), dalla punta, senza ritmo, scaturisce fuoco dalle mani. Urlo bulgaro nel cuore della Zalgirio Arena.
Rodriguez raccoglie il guanto di sfida, dipinge sogni sotto forma di pallacanestro, lancia il suo grande cuore oltre l'ostacolo.
Il Real difende bene, ma è impreciso, l'Oly sbaglia qualche libero di troppo. Il tunnel finale si avvicina, come un turbine vorticoso, e ognuno cerca di appigliarsi a quello che può. Le merengues vanno senza soluzione di continuità sul pick and roll Chacho-Edy, i reds giocano tutto sulla ricerca del giusto tiro e puniscono con Canaan.
46'' sul cronometro, il play canario arroventa il ferro ellenico con una sentenza dall'arco di imperiosa magnificenza, volta a punire l'imperdonabile esitazione di Canaan che passa sotto. Così, se l'attacco dell'Oly è confuso e inconcludente, il Real si trova nelle mani l'occasione della storia.
Mateo cerca l'Uno al di sopra del Bene e del Male. Il suo tiratore scelto ha il 23 sulle spalle, la chioma scapigliata da guevarista, il baffo da moschettiere, il cuore da matador.
A las cinco de la tarde del match Sergi Llull accoglie il destino sotto forma di sfera a spicchi. Trascina Papanikolau sul cambio, sbilancia Fall, si avventa sul cuore del parquet, spicca il volo sullo spigolo del trapezio. Di fronte a lui, la luce non si vede. E' un Everest di 218 centimetri, che sembra insormontabile. Che è insormontabile.
Un tiro che nasce da meccaniche divine. Il minorchino affresca nell'aere la traiettoria più deliziosa che sa produrre, un artigiano della pallacanestro.
E poi più nulla. La storia non ammette repliche, è infatti sorda, sul ferro, quella risposta, attorcigliata di disperazione, tentata da Sloukas. L'Oly sprofonda nell'abisso, il Real è sogno allo stato puro.
Il rapimento blanco e il dovere del ricordo
Nessuno si ricorderà di questo bell'Olympiacos. E' questo il contrappasso che impone la magnificenza di Llull e soci, l'oblio del tempo che cancella gli sforzi e il merito degli avversari, il manicheo giudizio dello sport che condanna senza alcun diritto d'appello.
La squadra di Bartzokas ha disputato un'annata superba e ha contribuito a rendere questa una finale leggendaria. Vedere questa pallacanestro per ogni sincero appassionato è stato un dono degli dei del basket. Chissà se e come avremo modo di rivederlo, ma avvertiamo il dovere di tributare quel che è giusto al di là del crudele verdetto del campo.
Detto questo, è impossibile non notare come l'Oly sia andato incontro a difficoltà tattiche evidenti, sbattendo inesorabilmente contro la zona merengue. Il suo attacco celestiale non è stato in grado di imporsi con tutte le elaborate soluzioni che gli abbiamo visto mettere in campo in stagione.
I greci hanno tentato 36 triple (10 più della media stagionale), tra queste c'è un 2/11 di Walkup e Mckissic, sfidati spesso al tiro cinicamente dal Real, e un 2/8 di Vezenkov, che, pure nella sua grande serata, non ha mai potuto prendersi triple facili. E' subito lampante quanto l'Oly abbia attaccato come gli avversari hanno voluto.
Sui rivali, poi, ci sono ben poche parole da spendere. Al di là di tutte le discutibilissime vicende che li hanno condotti fin qui, è inevitabile essere ammirati da quanto sono stati in grado di produrre a Kaunas.
Un rapimento mistico e sensuale mi imprigiona a te, direbbe qualcuno. Rapiti dal Real, imprigionati in un loop che li vede vincenti, sempre e comunque. Il più lungo giorno della marmotta dello sport europeo.
Non ci (vi) lasceremo mai, mai, mai... Sembrano dire Chacho, Llull, Fernandez e Causeur. Eterni epigoni di un basket che fu, immortali nocchieri di una pallacanestro che non riesce a fare a meno di loro.
In effetti, entrambe le squadre, se avessero vinto, avrebbero sbugiardato una vulgata sul basket moderno. I reds, essendo squadra che gioca basket eretico, di condivisione, di fantasia, di collettiva raffinatezza, i blancos, privi di una di quelle combo che oggi si dice fare le fortune di una squadra.
Se ha vinto il Real, lo ha fatto proprio perché ha avuto un Chacho al massimo del suo splendore stagionale, capace di interpretare quel ruolo. Il barbuto scavezzacollo ha giocato una Final Four strepitosa, una finale seducente di cui è vero MVP, che ne ha eletto lo stile maestoso alla storia, se ancora ce ne fosse bisogno. Chachismo in paradiso.
Ultimo protagonista, ultimo della fila come chiunque l'aveva considerato per un anno intero, è Chus Mateo. Ha allenato in questa kermesse come pochissimi: ha la maestria di dar vita a una zona stupenda e il coraggio dell'oltranzismo nello schierarla, vince senza la totalità del frontcourt, contro due squadre con i migliori lunghi d'Europa. Sembrava l'uomo qualunque, si rivela l'oltre-uomo.
Què undecima, Real!
Photo credit: Real Madrid Twitter, Euroleague Twitter, euroleaguebasketball.net