28 squadre, due Conference, nuovi mercati: ecco l'Eurolega 3.0
Sei anni fa, nel 2016-17, Eurolega tagliò il parco-squadre di un terzo, scendendo da 24 a 16. Fu una sforbiciata dolorosa, ma necessaria per alzare la qualità generale del torneo al livello di assoluta eccellenza che apprezziamo oggi. Sono bastate una manciata di stagioni per riportare quel numero all'attuale 18. Ma, anche questo - ed è ormai cosa nota da tempo - avrà vita breve. Perché l'Eurolega è ormai il campionato a cui guardano le squadre principali di ogni Paese, oltrepassando i confini nazionali che hanno circoscritto il nostro basket per decenni. Coltivare il proprio orticello senza curarsi della big-picture non è più un progetto interessante, utile, vincente e profittevole per essere attraenti e competitivi.
Una ventina di giorni fa abbiamo tratteggiato un possibile scenario futuro di un'Eurolega allargata, competitiva ed economicamente solida riprendendo le previsioni di Alec Peters, nuovo membro dell'ELPA (Associazione Giocatori). La nostra ipotesi tratteggiava un campionato modellato sulla Superlega calcistica, semi-chiuso ed elitario, con abbandono dei tornei nazionali da parte delle squadre partecipanti.
L'idea di Peters non è un miraggio. Ma è stata confermata anche da Marshall Glickman, CEO di Eurolega, che, parlando a The Crossover con Joe Arlauckas, ha anticipato una futura rapida e grossa espansione che potrà inglobare 8-10 nuove squadre, creando un maxi-torneo da 26-28 partecipanti. Insomma, la cosiddetta Eurolega 3.0 sarà qualcosa di molto simile alla NBA degli anni '90, prima della manovra di esondazione oltre-confine con gli innesti di Toronto e Vancouver.
Dalle grandi capitali all'Est Europa e Dubai: una pletora di nuovi mercati da esplorare
Dieci nuove squadre sono tante? Sulla carta sì. Ma in realtà sono quasi il minimo sindacale considerando le operazioni di allargamento sostenute da Eurolega nell'ultimo biennio, volte sia a consolidare il parco-franchigie attuale, sia all'esplorazione di nuovi mercati con potenzialità economiche rilevanti. Qualche esempio? Londra e Parigi, inserite quest'anno in Eurocup, sono due città che non potranno mancare nella nuova Eurolega. Così come i due nuovi mercati aperti in Romania (Cluj) e Ucraina (Prometey), nella speranza di una rapida risoluzione del conflitto con la Russia.
A queste andrebbero aggiunte squadre in Paesi a tradizione cestistica al momento assenti in Eurolega (Slovenia, Croazia, Estonia, Lettonia) e in altri Stati con interesse potenziale che hanno giocato un ruolo più o meno importante nella storia (anche lontana) del torneo: Polonia, Repubblica Ceca, Georgia (tutte nazionali presenti e importanti anche come Paesi organizzatori agli Europei di settembre).
Infine, è d'obbligo mantenere lo sguardo puntato oltre i confini geo-politici continentali con la candidatura sponsorizzata dai petrodollari di Dubai. Per non parlare del reintegro delle russe, ricordando che il CSKA Mosca resta sempre uno dei soci fondatori del torneo e detentore di una licenza di lungo periodo. Facendo i conti, abbiamo già superato la decina di nuovi mercati soltanto con questa breve lista di esempi concreti.
Est e Ovest: due Conference come in NBA
Appurata la presenza abbondante di piazze interessate a entrare nell'Eurolega 3.0, va chiarita la seconda questione principale. Che tipo di torneo avremo? Un campionato a girone unico con 26-28 team (54 partite) è ovviamente infattibile. Glickman ha già avanzato la proposta di una divisione in due Conference, necessaria per ridurre il numero delle gare e limitare gli spostamenti a un'area geografica più circoscritta rispetto all'intero continente europeo. Il modello di riferimento è quello NBA, già testato e perfettamente funzionante da decenni, con suddivisione tra Est e Ovest, operazione che aiuterebbe anche a mantenere un minimo di tradizione e storia "separando" due blocchi che hanno sviluppato sistemi cestistici differenti.
Ogni squadra affronterebbe le avversarie della rispettiva Conference in doppio confronto standard andata-e-ritorno, mentre giocherebbe contro i team dell'altra Conference una sola volta a stagione, con alternanza di partite casalinghe e in trasferta. Un'ipotetica Eurolega a 28 squadre genererebbe così una regular-season da 40 partite (26 della propria Conference a 14 squadre più altre 14 per incrociare i team dell'altra Conference).
È un numero di gare molto alto, superiore alle attuali 34 che necessitano la stesura di un calendario estremamente fitto con diversi doppi impegni settimanali, ma che permetterebbe comunque una convivenza più o meno accettabile con la FIBA, i campionati nazionali (che continuerebbero a raccogliere tutte le squadre, a differenza della nostra ipotesi di una Superlega) e le finestre per le qualificazioni a Europei e Mondiali.
Salary-cap: stipendio minimo per i giocatori ma luxury-tax per chi spende troppo
Nella nostra vecchia analisi avevamo anche toccato il tema ingombrante del salary-cap. Realtà già dominanti in Europa, come Barcellona, Real Madrid o le due squadre di Istanbul, rischierebbero di essere ingiocabili per new-entry di mercati ancora embrionali? E come potrebbero cambiare gli equilibri con il potenziale ingresso di Dubai, pronto a mettere sul piatto 40 milioni di euro netti per creare un super-team di stelle?
Il salary-cap ci sarà. Ma inteso al contrario. Verrà messo un tetto minimo agli stipendi, così da poter scremare sul nascere quelle società incapaci di garantire un progetto solido a medio-lungo periodo. La legge del libero mercato continuerebbe a regolare gli equilibri del torneo, dando la possibilità alle squadre più ricche di firmare e mantenere a roster i giocatori più rappresentativi. Ma un monte-stipendi spropositato sarebbe azzoppato dalla luxury-tax, raccolta oltre una certa soglia di spese complessive e poi riversata nelle casse dei team economicamente più deboli, così da incentivare la competitività del sistema.
Il progetto, se dovesse concretizzarsi in tutti i punti analizzati, è solido e ben strutturato. Intrigante sul piano sportivo, economico e di intrattenimento/interesse del pubblico. Eurolega sta lavorando molto bene sottotraccia. Ed è sempre più vicino il giorno in cui l'NBA non sarà più vista come un modello sportivo e di business irreplicabile in altri contesti.