Pablo Laso ad Area 52: la cena con Ancelotti, la pazienza di Pancotto e i problemi di Messina a Milano

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Una leggenda vivente come coach Pablo Laso ospite speciale di Area 52

Pablo Laso, dopo la sua dipartita piuttosto controversa dal Real Madrid, è il vero e proprio convitato di pietra della pallacanestro europea e di Eurolega. In questi suoi giorni da “disoccupato” ha deciso di concedere una lunga intervista ad Area 52, il canale Twitch condotto dal trio formato dal nostro direttore Alberto “Marza” Marzagalia, Andrea “Elle” Solaini e Marco “Paglia” Pagliariccio.

Laso ad Area 52 - Eurodevotion

Durante la diretta, il tecnico di Vitoria ha toccato molte tematiche d’interesse, affrontando il tema dell’importanza della vittoria per un allenatore, ricordando il suo passato da giocatore in Italia, discutendo le parole di Delaney e McCollum sui rapporti tra coach e giocatori in Europa, esprimendosi sulle stagioni di Olimpia e Virtus, oltre a tantissime imperdibili storie.

Qui il link alla trasmissione originale e quello della trascrizione completa dell’intervista in inglese, sotto una traduzione selezionata.

Sulle gare che abitualmente guarda a settimana in questo periodo…

“Sono molto amico di Xavi Pascual e ricordo di averci parlato a Settembre, mi ha detto: “Pablo, diventerai pazzo il primo mese, guarderai ogni partita, ogni situazione possibile! Solo dopo inizierai a rilassarti…”. Ed è stato un po’ così, col tempo sono diventato più selettivo, ma guardo tantissimo basket di ogni tipo, probabilmente una cosa ceh non puoi fare quando alleni”.

Sulla gestione del calendario e sulla migliore opportunità di giocare un campionato difficile come la Liga, rispetto ad altri tornei meno sfidanti in termini di competitività in EL…

“Penso che sia importante che ogni partita sia sfidante, e la Liga ovviamente lo è. Credo che sia molto importante avere competizione vera in ogni campionato, perché questo ti aiuterà ad essere pronto per le gare di Eurolega e anche a mantenere la concentrazione nel corso dell’anno. Per me la cosa peggiore è non avere tempo per allenarsi e per riposare. La benzina per una squadra è l’allenamento e il riposo. E non puoi guidare senza benzina… Con questo calendario farlo è molto difficile, ma allo stesso tempo è importante capire che giocare un campionato tosto ti può aiutare ad essere sempre concentrato.”

Photo credit: “Marca”


Sul suo primo anno al Real e sulla difficoltà principale del processo di costruzione di quella squadra…

“Vincere, vincere è sempre difficile… (ride, ndr) Solitamente noi coach diciamo sempre di aver bisogno di tempo per migliorare, ma se non vinci probabilmente non riuscirai a migliorare. Qui a Madrid c’è un maestro di calcio come Jorge Valdano (ex punta, mister e dirigente del Real Madrid FC, ndr), che dice “Ganàr es como una confianza de màs”. Vincere ti darà più fiducia!

Credo che il mio primo anno il problema fosse comprendere che giocatori avessimo – al Real Madrid sono sempre buoni giocatori -, il problema era capire come inserirli in un sistema. Avevo un idea di come avremmo potuto competere ad alto livello, ma dovevamo vincere. Il Real non ti consente di dire che stai giocando bene, ma… No, non stai vincendo! Anche i miei giocatori probabilmente la vedevano in questo modo, però la cosa più importante per un coach è capire di dover creare qualcosa, ma, allo stesso tempo, vincere. Altrimenti voi tre un giorno potreste andare a prendere un caffè e dire “forse Pablo Laso non è così bravo…”. Vincere è importante perché rappresenta la via per trovare una strada per… vincere.

Photo credit: “La Giornata Tipo”

Sulle memorie della sua unica esperienza fuori dalla Spagna, come giocatore, nella Trieste di Pancotto, dove giocò una mezza stagione al di sotto delle aspettative…

“Il mio primo figlio è nato a Trieste, ho grandi ricordi di quando sono stato lì, con Cesare, ma sinceramente ho giocato di m***a! (ride, ndr)

Se fossi stato Cesare avrei cacciato Laso dalla squadra molto prima. Ha avuto grande pazienza con me, perché io non riuscivo a performare nel modo in cui ero abituato a fare in Spagna. Fu un anno difficile per me, perché non diedi il mio meglio, ma allo stesso tempo una grande esperienza.

Sulla continuità tra il Laso giocatore e il Laso allenatore teorizzata da Pancotto…

“Sicuramente dai un po’ della tua personalità alle squadra che alleni e certamente il tuo modo di vedere il basket non cambierà. Devi adattarti, è vero, per esempio io ho allenato una squadra con Marcus Slaughter da centro e poi con Edy Tavares, in Spagna diciamo “como un huevo y una manzana”… La tua idea di basket non cambierà, ce l’hai, nel mio caso, da quando avevo 16 anni, quando ho cominciato nel professionismo. Una carriera così lunga non cambia in un minuto, perché sei stato assunto dal Real Madrid. Sono Pablo Laso e lo sarò allenando il Real o qualunque altra squadra.”

Sul fatto che Laso fosse un eccellente giocatore (leader individuale nella categoria assist della Acb) e sulla sua somiglianza in questo a Carlo Ancelotti…

“Siamo usciti a cena una volta, io, Ancelotti e un altro allenatore di basket, a Madrid. La moglie di Carlo gli ha detto: “esci con loro, vediamo se impari qualcosa! (ride, ndr). E Carlo ha risposto così… (imita il celebre sopracciglio alzato, iconico per il tecnico di Reggiolo, ndr). E’ una grande persona, amo come tratta i suoi giocatori e la sua squadra, è stato divertente andare a cena con lui. So bene che è stato anche un grande giocatore!”

Photo credit: “El Confidencial”

Sulla 3-2 provata a Gran Canaria prima delle scorse F4 e sull’impatto e la genesi delle “magate” tattiche degli allenatori…

Gli allenatori hanno sempre un piano A, che, se sono in grado di realizzare, dovrebbe consentir loro di vincere la partita. Ma questo non succede molto spesso, quindi hai bisogno di un piano B, C, D e sei fortunato se non hai bisogno di tirare fuori un piano E durante l’anno. Questo vuol dire che devi allenare la tua squadra per ogni situazione, non puoi chiamare una “box and one” all’improvviso.

Non c’è molto tempo per gli allenamenti, quindi è importante essere in grado di allenare queste situazioni anche in corso d’opera. Ricordo la 3-2 che avete citato. La provammo perché era il tempo perfetto per farlo, nel caso ci fosse servita alle Final Four. Magari quando credi ti possa servire una situazione la provi, anche se la partita non lo richiederebbe, ma la devi giocare e farlo bene, perché ti tornerà nel futuro.

Devi pensare avanti, non puoi uscirtene e dire “giochiamo una box and one contro Lorenzo Brown” e sperare che funzioni, devi essere pronto. Questo non vuol dire che qualche volta non sperimenterai qualcosa di diverso, ma è difficile implementare una novità sul momento. Magari non ne avrai bisogno, infatti non avemmo bisogno di usare quella 3-2 alle Final Four.”

Sulle parole di Delaney e McCollum riguardo i coach europei e le loro velleità di controllo sui giocatori, sulle parole di Clyburn riguardo alla noncuranza degli stessi della sfera personale degli atleti…

Io mi prendo molta cura delle situazioni personali, mi interessano molto. Perché credo che se non stai bene nella tua vita, non potrai performare bene.

Delaney e McCollum, non voglio essere troppo duro, ma se pensate di venire in Europa e fare quello che volete, non lo potrete fare nella squadra di Pablo Laso, comunque si chiami. Galatasaray, Real Madrid… sono più importanti di Delaney e McCollum. Non c’è dubbio che loro due siano due dei migliori americani mai visti in Europa, hanno tutto il mio rispetto. Ma non credo che Delaney vincerà mai da solo, vincerà con i compagni e con la sua squadra.

E’ stupido parlare di una “lega di allenatori” o di una “lega di giocatori”, è una lega di pallacanestro. Faccio un esempio, da allenatori noi vogliamo sempre i migliori giocatori, sapete perché? Perché, in fin dei conti, tutti gli allenatori d’Eurolega segneranno gli stessi punti. Ho vinto due volte l’EL, sapete quanti canestri ho dovuto segnare per farlo? Gli stessi di Obradovic, e lui ha vinto nove volte… Diamantdis, Bodiroga, Batiste hanno giocato benissimo, Sabonis pure. Vinciamo tutti insieme, dovrebbe essere una lega di club. Con tutto il rispetto che ho per questi giocatori, non posso essere d’accordo con loro. In qualche modo dobbiamo andare tutti, come si dice in spagnolo “de la mano”, tutti insieme.”

Sulla stagione di Milano e di Bologna, sull’eventuale gradimento per un futuro su queste panchine…

“Milano ha avuto tanti infortuni importanti, è sempre difficile per un coach gestire una cosa del genere. La gente crede che quando hai infortuni e prendi nuovi giocatori, questi performeranno subito, ma non è così. Penso che Ettore abbia avuto molti problemi del genere, ma ora ho visto che hanno vinto tre gare di fila, che è normale perché ora può essere il miglior momento della stagione, non avendo avuto infortuni nell’ultimo mese e avendo potuto lavorare assieme per un po’. E’ stato un anno difficile per loro e ora è diventato complesso raggiungere i playoffs, credo dovrebbero vincere tutte le gare rimanenti.

La Virtus con Sergio è un caso diverso, è stata abbastanza solida tutto l’anno, con qualche alto e basso. Non stavano giocando bene, ma sono riusciti a vincere col Real a Madrid, poi stavano avendo ottime gare e hanno perso in match che tutti pensavano avrebbero vinto, e ora sono costretti a guardarsi indietro. Non dovrebbe andare così, ma è il loro primo anno di Eurolega e serve pazienza per capire che stanno giocando un campionato diverso.

Entrambe sono in cima in classifica in Italia, penso che lì tutto sia aperto, nonostante la bella sorpresa di Brescia che ha vinto la Coppa Italia – tanto rispetto per Alessandro (Magro, ndr), sta facendo un grande lavoro -, ma ora con la fine dell’EL, Milano e Bologna si dimostreranno le grandi powerhouse che sono.

Allenare in Italia? Non so, Marza (Alberto Marzagalia, ndr) dice che il mio italiano è perfetto, ma ho troppo rispetto per gli allenatori che allenano in Italia e sono miei grandi amici.

Photo credit: “Sky Sport”

Sul percorso scelto prima dell’NBA da Wembanyama, fuori dall’EL, paragonato a quello di Doncic…

Preferisco la scelta di Luka. Ma è qualcosa che va anche con la personalità di ognuno, Luka era un animale da competizione, fin dai 13 anni. Un giorno, ne aveva 15, venne da me e mi disse “Pablo, il prossimo anno sarò con la prima squadra”.

Era molto maturo, non conosco Wembanyama, penso sia un grande talento, ma i grandi talenti hanno anche bisogno di tempo per svilupparsi. Luka lo ha fatto molto velocemente, Wembanyama avrà bisogno di più tempo.

La prima scelta dello scorso anno, Holmgren, è un grande giocatore, ma si è infortunato. Non abbiamo visto Luka infortunarsi e molta gente pensa che sia fuori forma, che si farà male, ma Luka performa ogni sera. Lo conosco bene e ho sempre detto che sarebbe stato una grande star in NBA, perché ho sempre detto che il suo potenziale cestistico era soprattutto nella sua testa. Non è qualcosa che puoi comprare, per questo rispetto molto il percorso che ha scelto.

Photo credit: “La Giornata Tipo”

Ho pensato che sarebbe stato quello che è oggi sin dall’inizio. Ha una capacità di adattarsi incredibile, va dovunque e si trova subito a suo agio. E non sto parlando solo di basket. A chiunque avesse dubbi sul suo adattamento all’NBA, ho sempre detto “Non conoscete Luka, lui si adatterà eccome.” “

Su come è possibile fare bene contropiede, in riferimento anche alle parole di Obradovic (“Tutti all’inizio della stagione vogliono correre, poi iniziano a stancarsi e devono cominciare a giocare a metà campo”)…

“E’ vero, Zeljko ha ragione. Il contropiede è difficile da mantenere durante l’anno perché ci si stanca ed è più difficile correre. Avere una squadra che corre il campo, non significa dire semplicemente ai giocatori di correre e tirare, devi avere delle regole.

I lunghi non avranno occasione per correre normalmente, deve lavorarci, dar loro situazioni in cui possano farlo. E se lo fanno, devi servirli! Un altro esempio, c’è un giocatore che è bravo in contropiede e riusciamo a creare un tiro aperto per lui al quinto secondo dei 24”. E’ un buon tiratore, deve prendere quel tiro!

Da coach, vuoi giocare una buona pallacanestro e tutti vogliamo correre, perché sappiamo che se abbiamo quel tipo di ritmo, avremo più opportunità di segnare, ma, come anche Zeljko sa e dice, quando fermano il tuo contropiede, devi giocare 5vs5 e devi farlo nel modo giusto. E’ molto importante combinare entrambe le cose, così che la tua squadra possa giocare la transizione offensiva molto bene e non solo il contropiede.”

Photo credit: “Diario AS”

Sull’importanza dell’equilibrio tra un buon attacco e una buona difesa, con riferimento all’eccellenza dell’Olympiakos in entrambe le categorie…

Hai usato la parola giusta, “equilibrio”. Non puoi essere una grande squadra offensiva e scadente difensivamente, se giochi bene in attacco, è anche perché sei bravo in difesa, in qualche modo recuperi la palla. Se ti segnano sempre contro, allora devi giocare sempre 5vs5, non puoi correre e non avrai una buona transizione. Per me l’Olympiakos, secondo miglior attacco e seconda miglior difesa, è il team più solido di EL, perché giocano molto bene dall’inizio, sono molto chiari nelle gerarchie e sono primi in classifica, ma non in difesa o attacco. Questo dice molto dell’importanza dell’equilibrio.

Conoscete la famosa frase “L’attacco vince le partite, la difesa vince i campionati”. Bene, io voglio vincere le partite e anche i campionati! Il basket è andare su e giù sul campo, non è difesa o attacco. Se guardate la pallamano, per me è incredibile quando vedo un giocatore segnare un gran goal e poi correre fuori, mentre un altro entra per giocare la difesa: questo nel basket non lo puoi fare.

Ho avuto probabilmente uno dei migliori difensori sulla palla di sempre in Euroleague, Jeffrey Taylor, giocava solo perché giocava una grande difesa? No, sarebbe stato molto stupido da parte mia. Era molto efficace dagli angoli, sui tagli, era capace di penetrare e creare gioco. Odio quando qualcuno dice “fai giocare questo perchè segna!”. Bene, ma se lui segna e subisce 60 punti dal suo avversario?

Photo credit: “Gigantes del basket”

Ma ha segnato 48 punti, potete dirmi. Beh, quello è successo solo in una partita, tra Arlauckas e Woolridge e io c’ero. Arlauckas ne ha fatti 63, Woolridge 48, così sono andato nello spogliatoio e ho detto “Joe, sei molto amico di Woolridge, eh? Tutti parleranno dei tuoi 63, nessuno dei 48 che hai preso da lui!”, mi ha risposto “Ma l’ho battuto di 15!”. Non fu facile vincere quella partita… “

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