L’Olimpia fa i conti con la realtà: il grande ciclo è spezzato

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La striscia semi-record da nove sconfitte consecutive. Il record sbiadito da ultimo posto in classifica. I problemi ormai cronici di gioco stentato, defluiti in una situazione attuale di grave scoramento collettivo. L’Olimpia di oggi rimanda facilmente ai ricordi di 6 anni fa, alla squadra che affrontò la prima stagione di Eurolega a girone unico con coach Jasmin Repesa, terminando tristemente sul fondo in compagnia dell’Unics Kazan. Il club russo, inserito nello scacchiere grazie al piazzamento nel campionato nazionale, fu retrocesso in Eurocup. Milano si salvò grazie alla licenza permanente. Ma non sul campo.

Il 6-14 con cui l’Armani si ritrova nuovamente a fondo classifica dopo aver perso gli ultimi scontri diretti con Alba e Asvel richiama l’8-22 della gestione repesiana. La percentuale di vittorie (30% contro 27%) è in linea. Ma è anche l’unico dato concreto rapportabile oltre agli aspetti intangibles citati prima. Perché, nonostante la distanza temporale minima, la differenza a livello societario tra quell’Olimpia e quella attuale è abissale.

Olimpia | Eurodevotion
Coach Ettore Messina pensieroso in panchina

La transizione verso un’Olimpia di alto livello in ogni aspetto

Nell’estate 2016, un mercato con Ricky Hickman, Mantas Kalnietis, Zoran Dragic e Miro Raduljica era considerato un grande investimento, tale da portare il club a fissare l’obiettivo su una stagione di metà classifica. La dura realtà del campo distrusse rapidamente le deboli certezze rendendo palese la necessità di intervenire su un progetto di lungo termine con un roster completo in ogni ruolo.

L’era Pianigiani segnò la svolta verso l’apertura a una figura in panchina già super-affermata a livello internazionale e un impegno economico senza precedenti per un roster con doppia alternativa solida e reale in ogni ruolo. Un’apertura poi sfociata, o meglio sublimata, nell’arrivo di Ettore Messina, Sergio Rodriguez, Luis Scola, Gigi Datome e Kyle Hines. Vincenti veri, in tutto e per tutto.

Sergio Rodriguez a colloquio con Gigi Datome e Kyle Hines – Credits: profilo ufficiale twitter Olimpia Milano

I numeri peggiori della storia recente

Eppure, il quarto anno messiniano sta facendo segnare i numeri peggiori nella storia recente delle stagioni con record negativo. Per quanto perdente, la Milano degli albori dell’Eurolega a girone unico era una squadra produttiva, capace di segnare oltre 80 punti di media nei primi due anni e di assestarsi addirittura come miglior attacco del torneo nella seconda stagione di Pianigiani (86.7). E anche la prima Olimpia di Messina, nonostante il bilancio di 12-16 al momento della sospensione per l’esplosione della pandemia, sapeva toccare il palato dei tifosi, con una media onesta di 77.3 punti a gara.

Oggi l’Armani è il peggior attacco del torneo (69.4 punti, quasi venti in meno rispetto all’exploit con Pianigiani), invischiato nelle percentuali peggiori di sempre. Il 32.50% dall’arco rappresenta un punto di down storico per una squadra che ha sempre costruito la sua forza offensiva sugli esterni. E il 49.6% da due è inferiore soltanto (si far per dire…) al 49.3% del primo anno di Messina, quando già si intravedeva quella tendenza sbilanciata sul perimetro ma comunque in grado di firmare il ritorno alle Final Four dopo 29 anni di attesa.

Olimpia | Eurodevotion
Kevin Pangos marcato da Daniel Hackett nel derby di Eurolega tra EA7 Emporio Armani Milano e Virtus Segafredo Bologna

La lotta e la deriva tra concetti agli antipodi: un’Olimpia senza identità

L’impronta difensiva necessaria per cambiare il volto a una squadra che, nel secondo anno di Pianigiani, si distingueva per essere il miglior attacco e la seconda peggior difesa del torneo, ha imboccato una deriva pericolosa. Trasformando la Milano di oggi in un sistema rigido e disfunzionale in cui convivono due entità altrettanto antitetiche. L’Olimpia è ultima con il peggior attacco e la miglior difesa d’Europa. La realtà si è capovolta nel giro di quattro anni, passando da un estremo all’altro.

Ma se il miglior attacco dà comunque la possibilità di vincere un numero decente di partite (l’Olimpia di Pianigiani chiuse 14-16 lottando per i playoff fino all’ultima giornata), la miglior difesa come strumento fine a se stesso non fornisce gli stessi risultati. Anzi. Al numero crescente di sconfitte si affianca anche l’incomprensione, la delusione e lo sconforto del pubblico. Perché, oltre alla pochezza qualitativa dello spettacolo offerto, è difficile venire a patti con una squadra da 2-8 al Forum e che fatica a raggiungere i 70 punti nonostante il mercato ricchissimo e le aspettative concrete da Final Four.

Ma il punto più dolente non è il vicolo cieco ormai imboccato in una stagione che ha ormai virtualmente chiuso le speranze di raggiungere la zona playoff. Ma, piuttosto, la consapevolezza di aver raggiunto questa situazione in quello che sarebbe dovuto essere l’apice di un grande progetto cominciato quattro anni fa. Il punto finale e glorioso di quella strategia di investimento e programmazione sul medio periodo iniziata dopo le bocciature in serie di Repesa e Pianigiani. Più che l’ultimo posto da 6-14 è la presa di coscienza di un grande ciclo malamente spezzato a fare più male.

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