L’Olympiacos è sinonimo di maturità e consapevolezza. Frenata Olimpia al Pireo

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Si inceppa la corsa biancorossa, l’Olympiacos piega l’Olimpia dimostrando una matura superiorità

Il Pireo è terra ostile, ancor di più per le italiane e, in particolare, si dimostra tale per l’Olimpia. L’EA7, infatti, al giro di boa della stagione, vede interrotta la sua serie positiva di tre successi consecutivi (cinque considerando la LBA), vittima tra le fauci di un famelico Olympiacos.

I greci ci impiegano poco a prendere le redini della partita, si impongono con autorità e sono killer nei momenti giusti, tramortendo con delle vere e proprie folate la squadra allenata da Ettore Messina. Sebbene Vezenkov ci sia per onor di firma, i reds eseguono ottimamente in attacco e in difesa e portano a casa un risoluto successo per 82-66.

Olimpia perde al Pireo - Eurodevotion

L’analisi della dystychía dell’Olimpia in terra greca è nei nostri tre punti chiave.

Il lato debole greco e la maturità tecnica

La più grande differenza vista oggi in campo, a parere di chi scrive, è la discrepanza di maturità tecnica dei due sistemi in campo. Ad ora, l’Olympiacos è spanne avanti a livello di meccanismi e maturità di squadra, Milano è in crescita ma ancora non ha raggiunto quella coscienza di sè necessaria per contendere questo tipo di partite. E questo, sia chiaro, è anche colpa.

Basta vedere come il Pireo abbia distrutto, nel corso dei parziali decisivi, i propri avversari con una sapienza offensiva invidiabile. I reds hanno certo un campione come Sloukas a dirigere le operazioni, ma il modo con cui hanno saputo capitalizzare e valorizzare tutte le iniziative del loro regista è davvero da applausi.

Il lato debole della truppa di Bartzokas, già dal pesante break casalingo del finire di primo quarto, appare sfruttato con incredibile sapienza e maestria, grazie ad una preparazione tecnica di alto livello. Sia nelle spaziature dei tiratori, quanto nella precisione dei tagli, un contributo esemplificato da gente come Peters nel primo caso, perfido a colpire ogni centimetro offerto dalla difesa rivale, o come Mckissic nel secondo, autore di un lavoro stupendo in una conquista superba della linea di fondo.

Il playamker ex Fenerbahce li imbecca come solo lui sa fare, nel più totale disorientamento della difesa meneghina.

Anche difensivamente i greci offrono grande prova di solidità, mettendo pressione nel modo giusto e nelle situazioni giuste, schierandosi persino a zona e mettendo in una situazione di scomodità perpetua gli interpreti meneghini, che infatti gettano al vento più di una volta il pallone (21 perse).

Epitome di tutto questo è Thomas Walkup, che gioca una gara all-around, brillando per impatto difensivo, rendendo la vita molto difficile a Baron e strappando palloni a destra e a manca (4 recuperi). Due suoi furti sanciscono due contropiedi fatali per le speranze biancorosse nel quarto quarto. La sua candidatura al DPOY non è per niente campata in aria…

L’Olimpia e quel parziale del terzo quarto

Le scarpette rosse pagano, in una sconfitta netta, l’incapacità di far svoltare a proprio favore alcuni momenti chiave, che avrebber potuto dare un senso diverso ad un finale che invece è stato un severo garbage time.

L’approccio alla gara era stato discreto, nelle prime battute Milano muove la difesa, provoca cambi, allontana Fall dal pitturato con Davies, serve con l’alto-basso il mismatch e coglie canestri molto puliti in area. La difesa si confronta con la sfida di contrastare il centro di gravità permanente greco, Moustapha Fall, che non è concretissimo, ma concentra su di sè attenzioni e aiuti.

L’Oly colpisce qualche ferro di troppo su buoni tentativi dalla lunga, poi il tiro comincia a entrare e l’Olimpia paga le attenzioni sul ciclope dei reds, scoprendosi sul perimetro e a rimbalzo offensivo. Di contro i greci aumentano l’aggressività, iniziano a forzare perse agli avversari, impedendo di creare gli accoppiamenti vantaggiosi o, comunque, rendendo più difficile servirli.

L’ingresso di Sloukas e le difficoltà sugli spazi creati sul pick and roll vedono Milano andare sotto in difesa, con un vero disorientamento nella mediocre pressione sulla palla e nel ritardo sui tiratori.

L’Olimpia però sa trovare delle contromosse, come sappiamo l’architrave di tutto è difensiva e l’emorragia era evidente. Messina sistema Melli sulle orme della point-guard ellenica, con il miglior esterno difensivo su Vezenkov, di modo da non soffrire più nessun cambio e sfruttare comunque la velocità di piedi e la tecnica del reggiano. La ferità è tamponata e c’è anche spazio per una ripresa offensiva più che buona.

Ritmo e aggressività sembrano fare ritorno ed a cavallo tra secondo e terzo quarto le scarpette rosse costruiscono un tentativo molto credibile di rimonta. Sul 46-43 di metà del terzo quarto, Voigtmann manca la bomba dell’aggancio, da lì la gara scivolerà inesorabilmente in direzione dei padroni di casa.

Il quarto finisce 59-44, con soltanto 6 punti realizzati da Milano. I problemi di falli di Melli e Davies impongono il ritorno ad una difesa più tradizionale e l’Olympiacos riprende a martellare nella metà campo avversaria, coniugando il tutto ad un’opera della retroguardia pressoché perfetta, vista anche l’impossibilità meneghina di nutrire la transizione dei successi difensivi. E’ dominio dei reds.

Diagnosi di una battuta d’arresto

La sconfitta è sicuramente netta e non può che trattarsi di una battuta d’arresto, soprattutto nella condizione di classifica in cui l’Olimpia si trova. Ogni stop, ogni sconfitta, ogni incertezza può essere letale nella risalita.

L’avversario era uno dei peggiori e ha a mio avviso evidenziato, come dicevamo prima, lo scalino che separa anche la Milano in ripresa di queste settimane dall’élite della competizione. Una prova in cui, tra l’altro, gli uomini di Messina non sono riusciti a interpretare i momenti decisivi con il giusto mordente, a piazzare la zampata e a dare continuità tecnica ai momenti postivi.

Vizi e virtù della squadra rimangono simili, finché gli uomini a disposizione sono questi. Ancor di più (ma non solo) quando Davies e Baron giocano una partita opaca, l’oscillazione in un senso o nell’altro delle prove di quelle componenti che ancora arrancano nello stabilizzare il contributo possono spostare l’ago della bilancia.

Voigtmann è entrato ed ha fatto tre/quattro cose in fila davvero pregevoli per volontà e dedizione, solo che poi in concreto non è riuscito ad infrangere quel muro di gomma che lo trattiene da settimane. Rimane inspiegabile come un tiratore da 40% facile in EL prima di quest’anno, tiri in stagione con il 17,8%, avendo segnato nelle ultime dodici uscite un’unica tripla… L’unica risposta che sembra possibile è, oggi, una mancanza di fiducia, che getta le sue radici in una collocazione mai riuscita ed un utilizzo probabilmente non proprio conforme alla sua confort zone tecnica.

Thomas ha fatto vedere altri segnali incoraggianti, ma serve che vengano messi a sistema. Ricci ha risposto ad un inizio balbettante, con un impatto ben più deciso nel secondo tempo. Mitrou-Long e Cabarrot invece hanno fatto fatica, e il dato che fa storcere il naso è che sono elementi che sono sembrati non troppo in linea con la crescita di squadra nell’ultimo periodo.

La strada continua ad essere ripida, la sconfitta della Peace and Friendship è boccone amaro che non necessariamente vuol dire passo indietro, ma deve esprimere un momento di consapevolezza, di livello e di limiti. Il trittico futuro Alba-Zalgiris-Asvel non può che rappresentare un passaggio fondamentale, un crocevia inevitabile da cui non si può sfuggire.

Photo credit: euroleaguebasketball.net e olimpiamilano.com

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