Milano, il grande sollievo di Belgrado

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Si è sblocca l’Olimpia Milano. I biancorossi sopravvivono al serrato duello con la Stella Rossa e tornano alla vittoria in EL

La boccata d’aria fresca arriva, sofferta, alla Aleksandar Nikolić Hall. Milano lotta e vince, tamponando l’infinita emorragia in un match che per certi versi non ha avuto un copione così diverso dagli ultimi. L’epilogo, però, è stato finalmente diverso.

La squadra di Ivanovic china per la prima volta il capo da quando il coach montenegrino siede sul pino serbo, ed è costretta ad incassare il ko casalingo per 71-61.

Milano torna a vincere - Eurodevotion

Riflessioni e considerazioni, in una notte di emozioni e controversie, sono affidate alla nostra classica analisi per punti.

La volontà feroce

Ognuno di noi deve avere la volontà feroce di tirarsi fuori“. Parole e musica di Ettore Messina due giorni fa.

Le criticità tecniche erano tante (e molte di queste, chiaramente, rimangono), ma la base di qualunque ripartenza era una reazione individuale forte degli uomini con la ‘U’ maiuscola che questa squadra annovera tra le sue fila. Una pletora di veterani, che non si può certo dire manchino di spessore umano e che non si possono tirare indietro.

La notizia di questa gara è che un barlume di questa “volontà feroce”, definizione che sussume in modo davvero azzeccato l’atteggiamento che i biancorossi necessitano per tirarsi fuori dalla crisi, si è finalmente vista. Nei volti, nell’approccio, nei gesti.

Brandon Davies e Billy Baron, i volti principali. Ma c’è anche Hines – che da un paio di gare a questa parte è ritornato a farsi vedere ai livelli che gli competono – e i suoi gesti, fino a gente come Ricci, Melli ed Hall, essenziali nel loro approccio. Hanno lottato tutti, con volontà e ferocia.

L’americano ex Barcellona è stato davvero impattante, aggredendo la gara sin dalla palla a due, divenendo riferimento e fulcro di gioco, mai come oggi immerso nei meccanismi di squadra. 7 assist, un dato per lui clamoroso, oltre a 15 punti e 6 rimbalzi confermano una prova totale da trascinatore. L’aria di Belgrado lo trasforma.

Il cecchino della Pennsylvania la chiude, la sigilla, la inchiavarda sulla retina frusciante del Pionir. L’ex Zenit in piena forma è quello spiraglio di talento anche a giochi rotti, di punti dal perimetro, che Milano aveva già desiderato dall’anno scorso, e oggi deve coccolare. 19 punti, 5/10 dall’arco e gli occhi di ghiaccio nel crunch time.

All’Olimpia smarrita e senza identità di queste settimane, poter contare su due uomini del genere, avere degli scogli tecnici cui guardare, dai quali rifornirsi nelle secche, sembra un piacevole miraggio.

Tra lo spiraglio e l’illusione

Folle sarebbe vedere in una sola partita la possibilità immediata della svolta di una stagione che, in Eurolega, ha dato finora solo segnali negativi, improprio non cogliere la prima nota positiva da settimane. E così la grande domanda, qual è il valore giusto da dare a questa vittoria?

Innanzitutto, c’è qualcosa di nuovo da dire, dopo settimane di eterno giorno della marmotta. Vero?

C’è, forse però neanche troppo. Il successo biancorosso arriva secondo un copione che ha alcune somiglianze con le gare del recente passato che tanto hanno sconsolato l’ambiente di Milano.

L’inizio di gara offensivo, i primi 15′ che erano stati quelli di Pana-Olimpia (17-31) e di Olimpia-Maccabi (33-26), sono stati di simile fattura in gran parte anche oggi, 33-19 dopo 13′ 44”. Ancora lampi di quella Milano che esegue, che cerca e trova risorse, che punisce. Che è pragmatica e attacca i punti deboli che trova nella difesa, che condivide il pallone.

Assistita anche da una buonissima mano dall’arco, che recita ben 6/9 dall’arco nel primo quarto, 44% nel primo tempo, con ritmo e aggressività dei tiratori. Un dato che regredirà invece a fine gara ad un più modesto 35%.

Ed è lì che torniamo, nelle somiglianze con il recente passato. Il secondo tempo si risolve con il parziale di 38-28 per la Stella Rossa, dopo il 45-31 del Maccabi e l’assolutamente simmetrico 39-30 di OAKA. L’attacco cala vertiginosamente in qualità e fiducia e si deve sperare nella difesa, che si riscopre non impenetrabile.

Che cosa è cambiato, dunque? Il primo dato è, semplicemente, che non può girare sempre tutto male. Il secondo è che Milano è riuscita a gestire meglio i possessi finali (non tanto gli ultimi minuti, che hanno portato ancora più di un patema), trovando gli uomini giusti e una saldezza di nervi un filo più adeguata, oltre a tenere di più in difesa in momenti chiave.

“Milano oggi non è squadra da crunch time“, scrivevamo nel post OAKA. Stasera qualche piccolo passettino in più si è visto.

Già il finale di secondo quarto, l’inizio della fine sia in Grecia, che ad Assago, – quando Bacon ha iniziato a sfrigolare sulla sua griglia e gli israeliani hanno sovvertito la partita dei rimbalzi – era stato meglio controllato, reagendo ai rimbrotti serbi con 7 punti nell’ultimo minuto. Poi sono migliorate le prestazioni ai liberi (9/12), così come sono state contenute le perse (11) e si è vinto a rimbalzo (35-33). Indicatori di tranquillità e agonismo che differiscono fortemente dalle ultime uscite.

La Crvena Zvezda non si è dimostrata la versione delle ultime settimane, questo va concesso, ma d’altronde anche le due precedenti avversarie avevano espresso per larga parte delle gare un livello di gioco per niente esaltante e in tutto ciò un merito dell’Olimpia ovviamente c’è.

La risposta se la notte del Pionir sarà illusione o dirompente miccia, la può dare solo il futuro.

Quel futuro, su cui magari da oggi si può guardare con qualche argomento in più, presenta diversi elementi da tener d’occhio.

L’Olimpia gioca sempre allo stesso modo, e chi scrive l’ha visto come un aspetto negativo della crisi da cui si sta cercando di uscire, sintomo di mancanza di grandi fantasie dello staff, laddove la proposta tecnica non trovava alcun riscontro sul parquet.

Questa insistenza, però, su un modo di giocare caratteristico dell’era messiniana che quest’inizio di stagione non stava funzionando, mi sembra però che stia lentamente trovando dei tratti e dei riferimenti maggiormente delineati. Sul lungo più che sul breve, certo potrebbe portare un grande beneficio, con il lume di una direzione precisa nel mare in tempesta.

Mitrou-Long è stato ricollocato al suo ruolo di scombinatore dalla panchina, in un assetto che prevede giocoforza una regia condivisa e che sta ritrovando in Baron fondamentale miccia, mentre sotto le plance Davies ha una dimensione finalmente impattante e di coinvolgimento rilevante, tutte cose che si sono costruite nel passato più prossimo.

Messina ha ruotato ad 8, con Voigtmann e Thomas sostanzialmente marginalizzati. Perdere pezzi per strada non fa certo bene, mollare su giocatori di indiscutibile valore altrettanto, ma la strada per uscire dal pantano passa anche e purtroppo da una restrizione di rotazioni che chiarisca ruoli e responsabilizzi gli individui.

Mediare tra questi due necessari approcci è dovere, per una Milano che deve trarre sollievo e fiducia per provare ad essere quello che ancora non è.

Con una terra serba ancora sorridente in due delle più convincenti prove stagionali, da Belgrado sponda Partizan, a Belgrado sponda Red Star, l’Olimpia cerca sè stessa nel fuoco dell’inferno.

Stella Rossa, Petrusev e Nedovic non bastano

Si interrompe la striscia positiva della Stella Rossa di Ivanovic, fino poche ore fa lanciatissima protagonista di una cavalcata sorprendente. La sconfitta prima o poi sarebbe dovuto arrivare, il focus deve solo essere riprendere il percorso il prima possibile.

Come affronteranno l’inciampo ci dirà di più del loro futuro in una corsa playoff tanto agguerrita quanto nebulosa, nella quale i serbi avranno certamente spazio.

La verità è che la squadra di Dusko è realmente una squadra con un talento a disposizione davvero esiguo. Al di là di Nedovic, Vildoza e Petrusev, giocatori dotati di tecnica sopraffina, il resto del roster è composto da lottatori ruvidi, veterani, volponi di scuola serba che, indirizzati dal diabolico tecnico montenegrino, possono stupire.

La Red Star si caratterizza quando va al triplo degli altri, per voglia e ardore, ma la Belgrado delle hustle plays si è vista oggi in momenti più ridotti del recente passato, magari nelle primissime battute di gara e negli altri casi più favorevoli.

La prima parte di gara ha visto la prima serie di possessi ben gestite, nel punire i cambi della difesa meneghina, sfruttando il gioco dentro-fuori ed una buona riuscita dall’arco. Poi, qualche difficoltà di troppo, tanto che Ivanovic, in cerca di alternative, ha persino scongelato un Raduljica non proprio all’altezza del compito.

Il rientro finale ha coinvolto una difesa più aspra, riuscendo anche a caricare di falli gli avversari e macinare punti dalla lunetta, finchè Petrusev e Nedovic hanno illuso il tifo serbo con giocate di grande classe.

L’ex Efes ha giocato la miglior gara in carriera in Eurolega, con un apporto offensivo a trecentossessanta gradi (20+12), sfoggiando tutto il suo potenziale, mentre il giustiziere del Partizan ha tentato di riscattare una gara opaca con delle giocate incredibili nel finale. Recupero gettandosi a terra e 2+1 a segno nell’altra metà campo, per poi scagliare una fantascientifica bomba del momentaneo -2.

Non è bastato, ma la corsa della Stella Rossa continua.

Photo credit: Olimpia Milano Facebook, euroleague.basketball.net

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