Le parole di Ettore Messina aprono a diverse riflessioni

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Ettore Messina ad inizio settimana è stato a disposizione di una parte di stampa ed ha toccato diversi argomenti interessanti in apertura di stagione.

Di seguito la versione integrale video delle risposte date alla stampa.

Argomenti di grande attualità, consapevolezza del valore di Olimpia Milano oggi ed anche una certa chiarezza sulla maggior rivalità nazionale, che da quest’anno diventa anche europea.

Ma cosa ci lascia questo intervento del Coach milanese? Di certo apre riflessioni di un certo rilevo. Proviamo ad entrare nei vari temi, perchè quando parla uno come lui, da 30 anni il maggior protagonista del basket italiano, serve ascoltare e provare a ragionare. Magari poi confrontandosi per apprendere dettagli maggiori.

Così Messina sugli obiettivi Scudetto e Final 4…

«Non lo dico io, lo dice la storia dell’Olimpia Milano. Potrei fare discorsi su bel gioco e crescita, ma farei ridere. Quindi, quando ti metti su questa canotta, l’obiettivo è vincere. Dallo Scudetto, il trentesimo, alle Final Four, sapendo che non c’è nulla di scontato. Parlando proprio delle Final Four, dovremo conquistare i playoff prima: 8 posti disponibili su 18 squadre al via, niente di semplice». 

Perfettamente d’accordo con il Coach. Questa Milano, per il tipo di investimenti, per la società che il suo lavoro (e quello di Stavropoulos) l’ha resa e per i profili di campioni a roster non può certo nascondersi. Ricordandoci, e vale per Milano come per Efes, Real, Barça e tutte le grandi, che vince uno solo e che non farlo non può essere mai sinonimo automatico di fallimento. La prestazione ed i valori mostrati in campo sono le cose che contano di più e sulla base delle quali si può valutare una squadra ed il lavoro del suo allenatore.

Sui biancorossi ad Eurobasket…

«Una grande soddisfazione, per loro e anche per noi, che segue un playoff LBA, e una finale scudetto, in cui il gruppo italiano ha inciso maggiormente. Ora è arrivato Stefano Tonut, ad alzare ulteriormente il livello. Ovviamente, c’è la massima attenzione di tutti affinchè i loro giocatori non incappino in infortuni o altro. Abbiamo anche noi la speranza che tutti rientrino qui in condizioni decenti».

Ovvia la soddisfazione ma serve anche un distinguo sul valore dei protagonisti ed è tema che si lega ai regolamenti italiani. Alcuni atleti italiani vestono la maglia milanese (ma anche altre) solo per regolamento, questo non lo possiamo dimenticare.

Sul tema dei troppi impegni…

«Quando ne ho parlato mi sono preso le pernacchie. Quindi non ho molto da aggiungere. Se non ci si siede tutti intorno ad un tavolo pronti anche a rinunciare a qualcosa, avremo sempre questo calendario problematico. Il problema degli infortuni è ormai pacchiano: a prescindere dalle competizioni in cui si è impiegati, i giocatori vanno in campo stanchi. E quando giochi stanco, ti rompi».

Qui c’è una parola chiave ed è “rinuncia”. Giusto che venga menzionata ed allora è tutto chiaro: il giorno che intorno a quel tavolo ci si siederà tutti insieme, i partecipanti saranno disposti a rinunciare a qualcosa anche di significativo in termini economici per avere benefici differenti quali meno infortuni, prestazioni più qualitative concentrate in un minor numero di impegni etc? Il mercato di queste ultime stagioni, dopo una crisi che già esisteva e che è stata aggravata dagli eventi pandemici ci ha detto il contrario, con costi alle stelle ed investimenti ben poco autosostenibili da parte di moltissimi club. Il nostro dubbio, quindi resta evidente.

Sull’Olimpia 22/23 che potrebbe essere la più forte dal suo arrivo…

«Potrebbe essere la più forte e la più profonda da quando sono a Milano. Mi auguro ci permetta di fare lo step successivo. La problematica può essere legata ai minuti. Quando ci sono gli infortuni, ce ne sono per tutti e sono tutti contenti, anche perché quelli che stanno fuori possono così recuperare e ritrovare una squadra in buona posizione. I problemi nascono quando sono tutti sani e qualcuno deve star fuori e bisogna avere l’onestà di dirlo e fare chiarezza. Quanto noi saremo capaci di avere autodisciplina, come successo l’anno scorso nei playoff, supereremo grazie alla profondità gli infortuni e giocarcela fino alla fine. Abbiamo più atletismo. Giocatori come Mitrou-Long, Davies e Thomas ci danno un atletismo particolare ed anche molta capacità realizzativa. Naz può fare molto da questo punto di vista e Davies è un pivot realizzatore».

Verissimo, potrebbe esserlo, e di certo è la più profonda. Dopo decine di stagione analizzate ci resta sempre la necessità della prova del campo, unico giudice reale. Il problema della distribuzione dei minuti, anch’esso reale, ci ricorda però che diversi Coach in tanti sport hanno sempre dichiarato che è meglio avere problemi di abbondanza piuttosto che di mancanze a roster. Poi essere squadra è sempre una cosa differente: dipende dai protagonisti e da chi li gestisce. Qui Milano dovrebbe essere in una botte di ferro.

Su Voigtmann ed anche Mitoglu…

«Stiamo aspettando il verdetto della Fiba, dopo quello positivo avuto da Pangos. Noi avevamo fatto un accordo con il giocatore, che prevedeva fosse libero ed ora stiamo aspettando la decisione della Fiba per quanto riguarda Voigtmann. Noi ci guardiamo intorno sempre, come tutte le società di Eurolega, però siamo fiduciosi che la cosa si risolva positivamente. Non mi sembra normale, non è giusto nei confronti dei giocatori. Così come per il caso Mitoglou che, pur avendo sbagliato gravemente, ha diritto ad una sentenza».

Tanto vero quanto purtroppo inaccettabile. Non è possibile che si debba attendere così tanto tempo per situazione simili. Sembra un processo civile italiano, evidentemente non siamo gli unici a dover affrontare queste situazioni. Ma la domanda che sorge spontanea è: club, federazioni e tutti i protagonisti, perchè non fanno nulla per cambiare i responsabili di queste nefandezze? Perchè denunciare è giusto, ma come sempre l’opposizione è più semplice del governo.

Su Peppe Poeta…

«E’ una persona che ha la competenza figlia di una bella carriera, l’atteggiamento positivo di chi lo ha preceduto, la capacità di avere buoni rapporti con chi sta in campo e chi sta fuori, e mi auguro che, se non diventa anche lui CT, possa restare con noi a lungo».

Chiarissimo, la carriera parla per lui. Quel “se non diventa anche lui CT” oggi è decisamente particolare. No?

Sul NO a Gandini…

«No, noi abbiamo votato no, loro si sono astenuti. Non facciamo tante cose in comune con la Virtus. Nel rispetto della persona e del dirigente, ci sono state delle cose che non abbiamo condiviso, e che abbiamo chiarito con Gandini pochi giorni fa. E’ stato gentile da venire a trovarci qui in sede. Posso dire che da un punto di vista operativo il nostro appoggio non è mancato mai. Altre cose non le abbiamo condivise, abbiamo chiarito con onestà la nostra posizione, e oggi si vuole riprendere a collaborare nell’interesse di tutti».

Faccenda complicata, ancor più da quel “non facciamo troppe cose in comune con la Virtus”. La Lega ha fatto ben poco per la pallacanestro italiana, partendo da quelle piccole cose che la pongono nelle retrovie anche rispetto a federazioni che solo pochi anni fa ci guardavano dal basso, quindi ci pare ovvio che Milano non abbia condiviso una parte dell’operato. Che però si faccia poco in comune con Bologna ci lascia perplessi, visto che il traino viene da quest’asse di rivalità. Non si può sostenere che solo da qui debba partire la riscotruzione di un modello basket italiano che è a pezzi da 18 anni, ma vista l’importanza degli investitori coinvolti crediamo che un pensiero comune, nei limiti del civile confronto di idee, sia fondamentale. Altrimenti evitiamo di parlare di bene comune, la parola più abusata e meno reale dell’ultimo ventennio di pallacanestro dello stivale.

Su Tommaso Baldasso…

«Baldasso ha avuto l’occasione grazie all’obbligo dei 6 italiani ed è riuscito a sfruttarla. Da questo punto di vista la regola ha avuto un suo valore e di Tommaso non posso che parlarne bene. Ma sono tutti come lui, che hanno questa fame e voglia, o ce ne sono che vivacchiano un po’ per il posto garantito?. Io posso permettere di prendere un Baldasso, avendo i Datome, Melli e gli stranieri forti, e rischiare di vedere se lui ce la fa, come con Alviti che spero faccia un passo avanti. In un’altra società hai bisogno di prendere giocatori che ti permettano di raggiungere i tuoi obiettivi e fai fatica a prenderti un rischio, solo perché ti obbliga la regola. In più, la regola ha portato ad un aumento del costo degli italiani e, secondo me, questo non è giusto dal punto di vista della società. È un dibattito aperto e legato caso per caso. Lui ha avuto il carattere per sbattere contro il muro, perché i primi giorni ha fatto fatica, e poi reagire e ritagliarsi uno spazio importante. Tanto che ora l’ha portato in Nazionale, credo con pieno merito. Sono tutti così? Non lo so».

Non è questa la sede per discutere il valore del giocatore, quello l’ha già detto il campo. Ciò che ci fa riflettere e ci riporta a quanto detto in precedenza è quel “ha avuto l’occasione grazie all’obbligo dei 6 italiani”. Ecco, già chiaro di così… Baldasso gioca nell’Olimpia solo per una regola che impone una certa presenza numerica. Siamo così certi che sia la via per far crescere tecnicamente un movimento?

Sul valore del campionato italiano…

«Sta continuando a crescere progressivamente. Ogni anno un po’ più forte, arrivano giocatori che possono incidere. Leggevo gli adeguamenti di Reggio Emilia, che già aveva fatto un bellissimo campionato l’anno scorso. Brescia ha fatto una squadra diversa ma più profonda, Tortona sarà lì, Venezia ha rifatto la squadra, Sassari è sempre una squadra difficile da affrontare. Quando vai in trasferta rischi sempre di perdere contro tutte, come a noi era ad esempio capitato a Cremona, quando siamo andati alle Final Four. Sta diventando piano piano una lega più fisica. Tre anni fa era una lega piccola fisicamente, le guardie giocavano ala, le ali piccole come ali grandi e le ali grandi da centro. Ora stanno arrivando giocatori più di ruolo. L’atletismo e la fisicità delle squadre è sempre più proiettato alla competizione europea. Non solo per noi, ma anche per chi fa Eurocup, Champions League. Ora non siamo più così sottodimensionati fisicamente, che è la cosa di cui hai bisogno per competere in campo internazionale».

Non pretendiamo certamente che il vincitore di un torneo ne sminuisca il livello, è ovvio. Qualche passo avanti c’è ma siamo ad anni luce dai livelli degli anni ’80-’90 ed anche di inizio millennio. Serve un lavoro di ricostruzione ben più profondo dalla base e l’uovo di oggi non potrà mai essere più importante della gallina di domani.

Sui diritti TV…

«Puntavamo anche ad una fruibilità più semplice. Sarò vecchio, ma mi piacerebbe avere un solo riferimento su cui schiacciare e avere campionato ed EuroLeague. A questo ci siamo arrivati, ora vediamo che succederà con i diritti tv e pay».

Andiamo oltre alle considerazioni condivisibilissime del Coach. Ad un giorno dall’inizio di un’edizione di Eurobasket che gioca uno dei suoi 4 gruppi a Milano, il maggior quotidiano sportivo nazionale è uscito con un numero in cui non si è trovato lo spazio per un solo trafiletto che parlasse di pallacanestro. Da questa situazione pensiamo di poter ricavare denaro ed interessi per i diritti del campionato di quel paese?

Sul Chacho ed il suo ruolo che ora toccherà a Pangos…

«Come con Kyle avevamo avviato le negoziazioni molto presto, la società ci aveva dato un segnale molto preciso. Ma lui ha pensato anche al suo futuro. Ha firmato per un anno, significa che forse sta programmando il suo futuro».

«Questo (Pangos, ndr) è quello che lui ha fatto con Zalgiris e Zenit, al Barcellona ebbe quella stagione in cui si ruppe il piede e non ebbe modo di incidere. Il Chacho ci ha sempre dato grande gioia, dentro e fuori dal campo e con i tifosi. Era il senso di poter provare a vincere. E ci ha fatto divertire molto, con quel gioco sempre al limite del rischio. Se Kevin riuscirà a creare questo feeling con il pubblico potrà fare molto meglio. Non sarà facile».

Semplicissimo: da un’inarrivabile leggenda ad un ottimo giocatore che ha l’occasione per diventare campione. A Milano si può fare.

Sul valore della prossima stagione di Eurolega…

«Con lo staff facevamo fatica a trovare 10 squadre da lasciare fuori dai playoff. Un esempio: il Panathinaikos, l’anno scorso in difficoltà, quest’anno si è rafforzato molto. La Stella Rossa ha aggiunto un numero enorme di giocatori. Il Partizan ha un coach come Obradovic, gente come Punter, Avramovic e Papapetrou. E un pubblico importante. Potrebbe abbassarsi la quota playoff, non essendoci squadre di un livello sensibilmente più basso. A questo si aggiunge un playoff dove le possibilità di vittoria di chi non ha il fattore campo a favore, storicamente, sono molto  basse. Questo significa arrivare nei primi quattro, in una lega dove si fatica a trovare 4 squadre che stiano fuori».

L’edizione in partenza più competitiva della nuova era, senza alcun dubbio. C’è un numero mai visto di pretendenti reali al titolo, un gruppetto più sparuto di squadre che ambiscono ad arrivare alla postseason ed appunto una quota Playoff che potrebbe abbassarsi. Ma su un paio di cose ci sentiamo di porre un accento di diversità. Arrivare nelle prime 4 è importante e lo dicono i numeri. 11 delle ultime 12 serie Playoff sono state vinte dalla squadra col vantaggio del fatto campo, 16 su 20 guardando alle ultime 5 edizioni del torneo. E 3 di quelle 4 vittorie di chi aveva l’eventuale bella puoi sono arrivate tra il 2017 ed il 2018. Ma proprio 3 di quelle squadre che hanno ribaltato il fattore campo hanno poi vinto il titolo: Efes 2022, Real 2018 e Fener 2017. Essere pronti quando conta è più importante di un cammino semestrale di altissimo livello che poi può interrompersi nei giorni chiave: il Cska 2018 ed il Fener 2019 lo dimostrano chiaramente. Poi almeno 4-5 squadre di livello decisamente inferiore pare proprio che ci siano. Il resto, davvero, è una tonnara.

Su Simone Fontecchio…

«No, non mi aspettavo questa crescita, a partire dal lavoro comune in Nazionale nel 2017. Ha fatto un salto enorme. Nicolò Melli ha dovuto andare al Bamberg per diventare Nicolò Melli, esattamente come Simone Fontecchio ha dovuto andare all’Alba Berlino per diventare Simone Fontecchio. Evidentemente qui non è stato abbastanza aiutato nel suo percorso, e nella lista mi ci metto anche io. Quando nel 2020 parlammo, nella mia testa non credevo di potergli concedere più di 5’, 10’, visto che c’erano Micov o Brooks. Veniva da una stagione a Reggio Emilia, e anche lì non si era ancora espresso ai suoi livelli. Invece, in primo luogo io, dovevo dare magari meno minuti a Micov o Brooks e mandare in campo Simone Fontecchio. Credetti di agire nel suo interesse dicendogli questo. Lui scelse Berlino ed esplose».

Pochi se l’aspettavano ed anche chi ne era convinto (Repesa il primo a crederci veramente nei fatti) non avrebbe mai pensato al livello odierno da superstar. Serve solo complimentarsi col giocatore e con chi lo assiste: programmi chiari e voglia di emergere condivisa attraverso un percorso divenuto realtà lontano dall’Italia. Ahimè.

Su Obradovic…

«Ha vinto più di tutti, lo consideriamo tutti il più bravo e sicuramente il suo ritorno è un fatto positivo per tutta la competizione europea».

Nulla da aggiungere, il più grande ed anche di parecchio.

Su Mitrou-Long…

«Le potenzialità le ha. Ha atletismo, tiro, ha grande voglia, si vede da come si impegna in allenamento. Spero faccia un percorso simile a quello di Shavon e Devon. Loro due sono arrivati a giocare in squadre forti, lui potrebbe trovarne una ancora più forte. Da un lato questo significa maggiore concorrenza, dall’altro una situazione che gli dà più sicurezza. Dipenderà da come evolverà la squadra».

Grande curiosità soprattutto perchè per una volta non è profilo che arriva in una grande dopo un percorso di crescita all’estero. Una sua buona stagione darebbe forza alla lega italiana, diversamente da quanto avvenuto per tanti altri.

Sulla rivalità con la Virtus e l’eventuale acredine…

«Non c’è stata acredine, c’è stata maleducazione, è diverso. Vi sfido a trovare una qualche frase che dimostri acredine da parte nostra?».

Soprassediamo sui rapporti tra i due club e lasciamo la parola ai protagonisti. Ci permettiamo solo di pensare, con qualche dettaglio che ci è noto, come la prima pietra di questa accesa rivalità, poi trasformasti in acredine o maleducazione che sia, sia da ricercarsi nella stagione COVID. Oggi quello che vorremmo vedere è una sfida Milano-Bologna che diventi perno della ricostruzione di un mondo che è crollato da anni, come si diceva. Perchè se queste due eccellenze guardassero solo al proprio interesse, e sarebbe perfino legittimo farlo purtroppo nel contesto nazionale, il futuro del basket italiano sarebbe relegato alla periferia del gioco.

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alberto marzagalia

Due certezze nella vita. La pallacanestro e gli allenatori di pallacanestro. Quelli di Eurolega su tutti.
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