LA PAZZA GIOIA

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L’Olimpia Milano conquista il ventinovesimo titolo della sua celebrata storia, esplode incontenibile la gioia del popolo biancorosso

E’ successo, la società meneghina ha aggiunto un’altro tassello alla sua leggenda. Lo ha fatto ancora una volta con volti diversi, con campioni diversi, vivendo imprese nuove ed indimenticabili.

Un trionfo che mancava dal 2018 di Goudelock e Pianigiani, da The Block sembrano passati ormai secoli visto tutto quello che è accaduto nel mezzo. Nelle nostre vite e nella storia dell’Olimpia, è cambiato tutto, diametralmente.

Un attesa, trepidante, acuita dal fulmineo assurgere di una potenza, quella della Virtus, che ha squarciato nei recentissimi anni la posizione di preminenza dei biancorossi nel basket italiano scaturita dal post-Siena. Egemonia che è sempre stata dal 2014 più teorica che reale, ma che sulla carta non aveva mai presentato un avversario che potesse ai blocchi di partenza giocarsela alla pari con i mezzi, l’appeal e lo storia delle scarpette rosse.

E allora ecco che il popolo biancorosso è tornato ad unirsi, è tornato ad esaltarsi ed è andato in trincea con la squadra, come solo contro l’acerrimo rivale senese aveva fatto. Fianco a fianco, gomito a gomito.

Così ieri, dopo sei agguerritissime battaglie, è deflagrata la pazza gioia biancorossa, incanalata nel fiume biancorosso che si è riversato in campo a gara conclusa, un’invasione di campo carica di significati come quella di otto anni fa.

Invasione, gioia biancorossa - Eurodevotion

Un’emozione particolare, in una notte magica, quella di Gara 6, che è stata il culmine di una serie vissuta meravigliosamente nell’ambiente speciale del Mediolanum Forum.

L’arena biancorossa si è presentata pronta all’ultima battaglia stagionale tra le mura amiche, caldissima sin dalla palla a due. Un pubblico carico, pronto a sognare, a combattere, a gioire. Fedele compagno della truppa di Messina per tutto il corso dei 40′ minuti, è stato ancora una volta parte integrante del successo milanese, espresso in dominio nell’ultimo episodio della serie.

Come in tutte le serate magiche, ci sarebbero un’infinità di momenti da richimare, raccontare e celebrare.

Ma come si fa a descrivere un’emozione? Come è possibile rinchiudere in inerti parole la fibrillazione del cuore, il luccichio degli occhi, il tremare delle membra, la pelle che si increspa? Come si può donare dignità a sentimenti che solo quando vissuti possono restituire a pieno la loro incredibile forza e intensità?

Non può uno scoglio arginare il mare, diceva il maestro. E’ impossibile, è quasi supponente tentare di circoscriverli, riduttivo imprigionarli.

Tuttavia è necessario, necessario perchè parliamo di sentimenti eterni, di sentimenti immortali, laddove la vera e unica immortalità esistente è il ricordo. E noi proveremo ad essere parte di questo ricordo.

Il ricordo non può quindi che ripercorre una serata in cui l’Olimpia è partita consapevole di doversi prendere la propria gioia scudettatta hic et nunc.

Qui e ora!” sembrano gridare i numerosi parziali. “Qui e ora!” sembra gridare l’inizio vorace del primo quarto. “Qui e ora!” urla l’inizio strepitoso di terzo quarto. “Qui e ora!” strepita l’incredibile rabbiosità con cui l’Armani Exchange si scaglia nel recuperare palla, nel volare in contropiede.

“Qui e ora!” sembra sbottare Shavon Shields con il suo gagliardo approccio alla sfida. Il danese, dopo tre finali perse in LBA, due volte con Trento e una nello sciagurato epilogo dell’anno passato, dopo una gara 5 di sole ombre, difficoltà e frustrazioni, è colui che sblocca la sfida, uno dei primi a scendere in battaglia e, infatti, intascherà un meritatissimo MVP delle Finals.

Un giocatore meraviglioso, un uomo squadra impagabile, un talento cristallino. Un top player in the making.

“Qui e ora!” intima la “faccia cattiva” di Sergio Rodriguez, dopo aver infilato una fantascientifica tripla sullo scadere dei 24”. E’ lui il cuore vivido, pulsante dell’Olimpia di questi anni, è lui il più grande leader di popolo dell’era Armani, alla stregua del solo Alessandro Gentile.

Una serie non facilissima per il folletto delle Canarie, sempre braccato dalla instancabile intensità di Pajola e di Hackett, che si chiude però con due gare fenomenali, simbolo della grinta di un eterno campione che non vedeva l’ora di lasciare un’impronta indelebile nell’albo d’oro biancorosso.

Ma El Chacho la sua orma, profonda e incancellabile, l’aveva già lasciata, nei cuori e nelle menti di chiunque lo abbia ammirato in questi anni. Nel suo triennio meneghina ha rappresentato tutto quanto di buono l’Olimpia ha saputo essere e, probabilmente dopo l’ultima sua notte da biancorosso, possiamo dire che la lascerà migliore di come l’ha trovata.

“Qui e ora!” ha strillato Jerian Grant, il vero “fattore X”, come l’ha definito Melli, del successo di Milano. Sottovalutato e giustamente criticato per una stagione non all’altezza, ha superato i suoi limiti e colto le occasioni giuste per trasformarsi da zimbello a leggenda. Una metamorfosi kafkiana, al contrario.

Anche ieri sera, un apporto sostanziale, con tanto di giocate folli, tra cui l’uno-due strepitoso che è iniziato con una tripla e si è concluso con jumper cadendo all’indietro a fil di sirena, ovviamente dopo aver messo a sedere Shengelia.

L’eroe che non ti aspetti, la cinderella story che è più delizioso contorno della portata scudetto. Chissà che il play di Silver Springs non si sia guadagnato la riconferma…

“Qui e ora!” implora anche il gesto di uno stupendo campione come Sir Kyle Hines, nel cercare la fine di un clima invivibile che si è respirato negli scorsi giorni. L’abbraccio con uno Jaiteh distrutto, in lacrime, è simbolo immenso di sportività, fair play e signorilità e mette un punto (purtroppo, credo, solamente momentaneo) sulle squallide polemiche dei giorni scorsi, che hanno ammorbato e rovinato un’atmosfera che doveva essere solo e soltanto celebrazione del gioco della pallacanestro nella sua dimensione più pura e celestiale.

“Qui ed ora!” è stato anche per il talento di Sicklerville, che ora, a 14 anni dall’inizio di una splendida carriera, e qui, a 600 chilometri da Veroli, celebra il raggiungimento della vetta di quel campionato che, da esordiente in A2, guardava come riferimento. Un cerchio che si chiude, ma una storia in Olimpia che ha ancora tanti capitoli da scrivere.

“Qui e ora!” esclama Gigi Datome, nel successo che più ha desiderato in carriera, forse insieme all’Eurolega. Un volto, se non “il” volto della pallacanestro italiana dell’ultimo decennio, un atleta dal carisma e dallo spessore pazzesco, che si gode un trionfo meritatissimo dopo un playoff di livello spettacolare.

Le lacrime profonde e sincere all’uscita dal campo, la gioia immensa, l’esultanza in prima fila durante la premiazione. Il suo è il coronamento di un sogno, ma è, ancor di più, il raggiungimento di un chiaro obiettivo.

Nella mia carriera ho avuto la fortuna di vincere tanti titoli importanti, ma mi mancano in Italia da giocatore vero. L’obiettivo come abbiamo detto è cercare di crescere anche in Europa, però vincere in Italia da giocatore utile alla causa è qualcosa che mi manca e vorrei aggiungere alla mia carriera

Gigi Datome, 14/09/2020

“Mark my words” si direbbe da qualche altra parte. Detto, fatto e il capitano in pectore dell’Italbasket ha mantenuto la parola: nel ventinovesimo trionfo dell’Olimpia, c’è tanto di suo.

“Qui e ora!” proprompe anche Nicolò Melli, il minimo comun denominatore del tripudio di oggi e di otto anni fa. Lui, che incarna tutto il valore positivo di quest’era della storia dell’Olimpia, lui che ne è stato anche simbolo di tutte le contraddizioni e problematiche.

L’ala reggiana chiude una stagione strepitosa, si regala un trionfo che può celebrare a pieno titolo e nel totale riconoscimento del mondo Olimpia, che non sempre era stato giusto con lui nella sua prima esperienza meneghina. Un uomo maturo, un vero capitano, un leader emozionale.

Iconici sono e saranno tutti i suoi abbracci nel finale di partita. Con Messina, che invita a godersi il successo acquisito e con il quale celebra un forte sodalizio. Con Datome, il suo gemello diverso, che abbraccia e sostiene nel momento di emozione più grande. Con Shields, che insieme a lui è e sarà leader tecnico di questa squadra. Con Rodriguez, che con lui è stato capitano del ventinovesimo.

Qui e ora, Nicolò, Milano è ai tuoi piedi.

“Qui e ora!” declama il trionfo di Ettore Messina. Un allenatore da record, da leggenda, che si conferma tale ancora una volta. Conquista l’agognato scudetto, che, se perso, avrebbe fatto oscurato il valore straordinario di quanto fatto sotto la sua gestione di questo triennio.

Il più grande valore è la credibilità, in particolare internazionale, che il coach catanese ha saputo restituire all’Olimpia Milano, uno dei club più importanti d’Europa. Ha coinvolto grandi campioni e professionisti, ha riportato l’entusiasmo del pubblico, che troppo spesso era mancato nella disaffezione verso le gestioni societarie precedenti.

Raccoglie e dispensa abbracci come un padre ad ognuno dei giocatori che ha scelto, stimolato, talvolta catechizzato, ripreso, ma anche coccolato, in una dinamica bastone/carota che ha consentito loro di crescere e di arrivare alla vittoria. Questo successo è il suggello del capolavoro di Messina, in una fame e ambizione insaziabile che già ieri ha vissuto il rilancio degli obbiettivi del club per il prossimo futuro.

Qui e… ancora, infine, per Giorgio Armani. “Lo scudetto più bello” è il quarto dell’era dello stilista piacentino come patron delle scarpette rosse. Un uomo straordinario, con un passione e un impegno altrettanto fuori dal comune, che si emoziona come la prima volta per un successo che è di squadra e di popolo, di resilienza alle difficoltà e di ardore agonistico.

La felicità di vedere la propria creatura sul tetto d’Italia, la consapevolezza di averla messa in ottime mani, anche per gli anni avvenire. Un grazie e un tributo sincero a Re Giorgio.

Il ventinovesimo è già storia, adesso è il momento della celebrazione. Spopola la pazza gioia biancorossa.

Photo credit: Olimpia Milano Flickr

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