Malcolm Delaney e Olimpia, storia di un amore incompiuto

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IL LASCITO DI FOE

Foe“, lo pseudonimo con cui si fa chiamare sui social, raccoglie perfettamente la sua essenza.

Da una parte, come da traduzione letterale, “nemico”, “avversario”, ci richiama il suo lato sicuramente polemico, spavaldo e sicuro di sè, a volte persino testardo e controverso, dall’altra, nel significato dell’acronimo, “family over everything“, ricorda un ragazzo con profondo senso d’appartenenza e propensione al sacrificio.

Un dualismo che racconta i sentimenti contrastanti che suscita questo giocatore, una dicotomia che racchiude molto bene cos’è stato Delaney a Milano.

Un uomo che ha fatto discutere, ma che nonostante tutte le sue difficoltà si è calato profondamente nella realtà Olimpia ed è stato una delle anime del gruppo squadra, pienamente in sintonia con coach e compagni.

Crudele, che si debba mettere un punto senza neanche permettergli un riscatto.

Per definire il percorso del nativo del Maryland, allora vi propongo una provocazione. Delaney ha rappresentato lo spirito Olimpia?

Secondo me si. Certo, di primo acchito non sembra il tipico giocatore di lotta, di sudore, di lacrime e sangue, ci sono state situazioni in cui è apparso indolente o supponente, che non vanno dimenticate e soppresse.

Però nel sacrifico, nell’attaccamento alla squadra, il 33enne di Baltimore ha lasciato qualcosa, tra i suoi mille problemi a Milano ha snaturato sè stesso, piegandosi a fare alle volte un ruolo quasi unicamente da stopper difensivo, laddove era stato prima donna e privilegiato fromboliere in attacco per tutta la sua carriera. E’ stato necessità più che scelta? Indubbiamente, ma ha comunque comportato sofferenza e impegno.

Allora, dato quanto abbiamo visto, si tratta di un rimpianto che replica il caso Nedovic del biennio precedente? Sicuramente si, soprattutto per le ottime premesse che si sono via via sfaldate con il logorio fisico. C’è però da dire che le giocate di Foe, anche favorito da un contesto di squadra ben più solido e fornito, hanno inevitabilmente lasciato un’impronta più importante di quella dl serbo sul percorso di Milano.

Alla luce del suo contributo è stato un acquisto sbagliato? Credo di no, date le premesse la scelta aveva un suo senso. Il giocatore era valido e il suo degradamento era difficilmente ipotizzabile, anche se sicuramente era illusorio pensare di trovarsi in casa il fenomeno dei tempi di Kuban.

Nonostante questo, il suo percorso ha comunque avuto molti momenti positivi favoriti dal solidissimo legame che lo ha vincolato ad Ettore Messina, che ha avuto i meriti di saperlo far rendere nonostante gli acciacchi. Si è affidato a lui in tante occasioni, conscio del ruolo di peso che aveva pensato per l’americano agli albori di questo ciclo, talvolta persino troppo convintamente, ma nell’unico modo per drenarne le possibili e necessarie risorse.

L’Olimpia dovrà sicuramente fare un passo avanti nel ruolo, cercando maggiore affidabilità e soprattutto capacità di creazione ed inventiva, che Delaney non ha saputo provvedere con costanza.

Il suo futuro? Difficilmente lo rivedremo in Eurolega e, a questo punto, è anche faticoso ipotizzare con certezza un più generale ritorno sul parquet.

Lo statunitense saluta così con MVP di Supercoppa e di Coppa Italia, tre trofei, una Final Four e un playoff di Eurolega, ma soprattutto con un addio che sa di incompiutezza e che lascia sicuramente spazio a rimpianti.

Photo credit: euroleague.net, olimpiamilano.com, eurosport.it

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