Mike D’Antoni ad Area 52: “In Italia ho vissuto emozioni uniche. Allenerò ancora? Il mio fuoco non si è esaurito”

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Ad Area 52, lunedì 14 febbraio, c’era tanta aria di leggenda e di pallacanestro con la “P” maiuscola: ospite della puntata il grandissimo Mike D’Antoni!

I temi toccati sono stati tanti e tutti ricchi di spunti, stimoli e colmi di tanti ricordi piacevoli che spaziano dalla Milano degli anni ’80, per poi passare alle esperienze da allenatore del cosiddetto “baffo” (anche se ora quei baffi tanti iconici non ci sono più).

Non sono mancate nemmeno tante sorprese per l’ex coach dei Phoenix Suns, anzi sono state ben tre e tutte di grande livello. Prima lo scambio di battute con Flavio Tranquillo, poi la chiacchierata con un altro gigante: Dino Meneghin. E’ sembrato davvero che il tempo non sia mai trascorso dai tempi passati in cui giocavano insieme all’Olimpia: i due infatti si sono imbeccati stupendamente a vicenda proprio come facevano in campo allora. Il tutto tra tanti ricordi che sono riemersi di episodi fuori e dentro il campo.

Il pick&roll D’Antoni-Meneghin, reso quasi immarcabile dall’estrema qualità dei due interpreti, non può non essere venerato da ogni vero appassionato di questo sport . Lo stesso Meneghin ha ricordato così quel gioco: “C’era Peterson in panchina e poi Mike che era il nostro allenatore in campo: era un computer. L’intesa personale in campo, poi, è basilare, oltre a quella tecnica. Se ci sono gelosie e attriti vari, anche se in campo hai tutti ultra-campioni, non si arriva a certi risultati”.

Infine c’è stato spazio anche per il saluto del GM Maurizio Gherardini con cui Mike ha lavorato alla Benetton Treviso ottenendo altri grandiosi traguardi. L’attuale manager del Fenerbahce così ha ricordato il suo ex compagno d’avventura: “Il suo modo di interpretare il basket e gestire le persone era avanti rispetto ai tempi. E’ stato uno degli allenatori che ha cambiato di più il basket mondiale. Il suo motto era ‘there are no problems, only solutions’: è stato un approccio determinante“.

E poi, ovviamente, tanto spazio alle domande vis-a-vis con una moltitudine di spunti e suggestioni. Riportiamo di seguito le migliori in modo che, mettendo nero su bianco, non si perdano e vengano fissate come meritano. Eccole di seguito.

Le domande rivolte a Mike D’Antoni a Area 52

Oggi in Eurolega vediamo un gioco che predilige tanti quintetti alti rispetto alla concezione di small ball creata a Phoenix ed ormai diventata normalità oltreoceano…come se lo spiega?

La pallacanestro cambia sempre: bisogna vedere i valori dei giocatori e creare un gioco con quello che hai. Poi “small ball” nel nostro caso a Phoenix voleva dire andare dove c’era più talento: se fossero stati i lunghi i più forti saremmo andati da loro. Poi in quel momento sotto canestro c’era Shaq (O’ Neal, ndr) e con lui non vincevi mai; quindi, abbiamo provato a costruire qualcosa di diverso. Poi in generale non sono un tifoso della pallacanestro lenta, ma se ti porta a vincere ben venga”.

In NBA non vengono considerati allenatori europei come Obradovic perché vorrebbero troppo controllo sulla squadra?

I giocatori in NBA hanno molto più potere…quando li paghi 40 mln è così. Obradovic è uno dei migliori al mondo, ma non è facile prendere la confidenza dei giocatori se uno viene dall’Europa e fa cose diverse. Una cosa simile è capitata a me: in Italia ci ho giocato tanto e ho potuto allenare subito perché sapevo bene come funzionava. I giocatori devono crederti: l’unica maniera in cui un europeo può diventare head coach in NBA è diventare assistente ed entrare un po’ in quel mondo, come ha provato a fare Messina…poi ci vuole anche un po’ di fortuna”.

Il tutto ripercorrendo intanto le tappe della sua carriera da allenatore. “Nel mio terzo anno a Milano ho fatto le prove per quelli che poi sarebbero stati i Suns. Avevo perso 6 gare di fila per pochi punti e dovevo cambiare; non potevo andare avanti così. I miei vice mi hanno guardato come se fossi matto quando gli ho detto che volevo giocare con Pittis da 4 e Portaluppi dentro: così il campo era molto più aperto per Djordjevic che è stato uno dei migliori play. Poi c’era anche Antonio Davis; sapevo che era uno dei migliori americani in Europa e lo ha dimostrato. Da quel momento abbiamo vinto 21 gare su 22: lì tutto è iniziato“.

E parlando in generale degli anni trascorsi nel nostro Paese…”Ho sempre avuto grandi vice, grandi dirigenti e grandi persone al mio fianco. Sono stato molto fortunato: ho trovato grandi società e grandi persone. Non ho mai avuto un feeling con le persone come in Italia“.

Ma continuando con le domande…nell’estate dell’89 hai vestito la canotta italiana. Che emozioni hai provato?

Mi dispiace perché quando l’ho indossata ero vecchio e non potevo dare molto, ma è stato un onore enorme“.

In sostanza, come cambia il tifo dall’Europa agli Stati Uniti?

Quello americano è più legato allo spettacolo. Ogni partita non ha la stessa importanza di una in Europa: a Milano e Treviso ho percepito qualcosa in più, si sente l’anima dei tifosi”.

Cosa ne pensi della tendenza di giovani giocatori europei che arrivano in NBA prima di aver dimostrato qualcosa di grande in Europa?

Sarebbe meglio restare a fare un po’ di esperienza in Europa, come per gli americani è meglio restare un po’ di più al college, per un miglioramento fisico e mentale. Ci sono delle eccezioni ovviamente, ma ogni giocatore deve essere intelligente da capire il proprio livello“.

E poi, infine, la domanda che tutti noi appassionati avremmo voluto fargli. Lo rivedremo ancora su una panchina da capo allenatore?

Certo, ho ancora voglia di allenare, mi manca la panchina. Se non succederà va benissimo così, ma il mio fuoco non si è esaurito“.

About Post Author

frcata7

Laureato in Lettere moderne e laureando in Italianistica presso l'Università di Bologna. Nel giugno 2023 ha pubblicato il suo primo libro di poesie, "La cenere e l'oceano" (Edizioni Effetto). Letteratura, cinema e pallacanestro sono le sue grandi passioni che cerca costantemente di coniugare.
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