Come battere il Barcellona: il Maccabi spiega, Milano studia

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Il Maccabi Tel Aviv è stata la prima squadra a fermare la corsa del Barcellona: come ha fatto e cosa Milano può replicare in vista del big-match di giovedì.

Anche l’ultima squadra imbattuta è caduta. Forse nel momento sbagliato, perché giovedì sera, nel big-match del Forum, il Barcellona avrà una fame assatanata di rivincita. Ma forse nel momento giusto, perché l’Olimpia potrà studiare quanto fatto dal Maccabi e cercare di replicarlo con gli ovvi aggiustamenti al suo stesso roster.

Il Maccabi non ha soltanto vinto. Ma ha vinto straordinariamente bene. Certo, con una grossa differenza tra primo (56-36) e secondo (29-32) tempo. Il +20 dell’intervallo lungo è frutto di una combinazione perfetta di fattori e situazioni che hanno esposto le (piccole) debolezze del Barcellona. Probabilmente è irripetibile. Quantomeno, in due gare consecutive. Ma resta comunque una miniera di informazioni cui attingere per costruire il game-plan che potrebbe lanciare Milano in vetta solitaria dopo otto giornate.

Il Maccabi ha giocato un primo tempo indemoniato. Toccando livelli di intensità, fisicità e velocità straordinari. Impossibile mantenerli sui quaranta minuti, ma l’effetto sorpresa è stato devastante. E si sa quanto conti l’approccio nei big-match, specialmente nelle gare casalinghe. Lasciare che il Barcellona detti il ritmo equivale a una morte certa. Il Maccabi ha giocato velocizzando le situazioni, up-tempo, con grande movimento di palla in attacco.

Le letture, in generale, sono state perfette. Soprattutto nell’attaccare il pick’n’roll centrale, dove Scottie Wilbekin ha gestito la squadra da generale vero. La difesa del Barcellona, asfissiante e perfettamente coordinata, lascia soltanto una frazione di secondo per le scelte. Perdere quell’attimo, o, peggio ancora, non accorgersene, è fatale.

Maccabi-Barcellona
James Nunnally, autore di una grande prova da 17 punti contro il Barcellona

Nikola Mirotic è l’anello debole del sistema difensivo di coach Jasikevicius. E va attaccato in ogni occasione possibile. Il Maccabi lo ha fatto molto bene con Derrick Williams, sfruttandone atletismo e rapidità. Milano può farlo, in maniera differente, più statica da post-up o coinvolgendolo sugli sviluppi dei pick’n’roll, con Nik Melli e Dinos Mitoglou. Ma Mirotic va tenuto sempre occupato, costretto a spendere energie fisiche e mentali altrimenti conservate per la metacampo offensiva. E, perché no, per provare a metterlo anche in difficoltà con problemi di falli.

La difesa non può concedere nulla. Deve estendersi ovunque, coprendo l’intero campo come i tentacoli di un polpo. Perché il Barcellona ha talmente tante armi in faretra che nessun giocatore, in nessun momento, può ricevere il lusso di essere battezzato. Il Maccabi ha lavorato con un’intensità straordinaria, aggredendo, in primis, il pallone. Wilbekin ha dato l’esempio, difendendo su Nick Calathes come un ossesso.

A livello collettivo, il Maccabi ha retto su ogni cambio difensivo, chiedendo fisicità agli esterni sui mismatch ed enorme attenzione al lato debole, per agire in aiuto partendo già da una posizione vantaggiosa (ma rischiosa) di pre-rotazione. Sono dettagli molto complicati, da sistema difensivo super-avanzato, ma l’Olimpia ha proprio in questa compattezza generale una delle sue forze più grandi. Certo, mancherà, e tanto, il lavoro di Malcolm Delaney sul pallone. Sarà Devon Hall a dover fare gli straordinari, magari in una staffetta iper-combattiva con Shavon Shields.

Cory Higgins in palleggio contro Derrick Williams

Il Barcellona ha una forza straordinaria nel verniciato, resa ancor più temibile dal mix di caratteristiche complementari dei giocatori che compongono il front-court. Il Maccabi non ha soltanto pareggiato questa forza, ma l’ha superata in termini di fisicità, presenza, atletismo e concentrazione. Perdere la lotta a rimbalzo, non reggere i contatti, farsi schiacciare lentamente dalla qualità dei lunghi blaugrana equivale a una sconfitta.

L’area va protetta, difesa come un quadrato. A rimbalzo serve un lavoro collettivo, di aiuto da parte degli esterni e del lato debole. E, dall’altra parte, vanno cercati, trovati ed esplorati quei minimi spiragli per essere efficaci anche vicino a canestro. Il Barcellona non si batte limitandosi a giocare sul perimetro e affidandosi alle percentuali dall’arco. Ma va fatto muovere, correre, lavorare finché non commette un errore. E lì, ricollegandoci alla qualità e al tempismo delle letture, va punito con la scelta giusta.

L’ultimo fattore è l’ambiente. La Mivtachim Arena di Tel Aviv, ormai aperta con capienza completa, è tornata a essere un inferno. E sono lontanissimi i tempi della scorsa stagione, quando, nel vuoto della pandemia, uno dei parquet storicamente più terribili d’Europa si era trasformato in terra di conquista per tante squadre, Milano compresa. Il Forum non ha mai avuto lo stesso calore e, con le leggi ora in vigore, non potrà nemmeno vantare la stessa quantità di pubblico. Ma la “scrematura naturale” che in queste prime partite ha riportato al palazzo i tifosi più appassionati ha contribuito a costruire un ambiente differente. Il Forum ha perso “l’effetto acquario”. Ora è vivo, empatico, partecipe.

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