DOPO L’EUROPA, ALLA CONQUISTA DELL’AMERICA
I Mondiali di Indianapolis sono un altro passaggio fondamentale in ottica NBA: chi può restare insensibile ad un talento e ad un potenziale di quella portata?
Non mancano però i problemi all’inizio dell’avventura NBA. Come superarli? Con un grande lavoro di squadra e di comprensione reciproca con Coach Popovich, uno che non gli risparmia nulla, nemmeno i trattamenti più duri, ma solo e soltanto perchè vede caratteristiche umane e tecniche in grado di eccellere.
7,6 punti ed 1,4 recuperi sono il fatturato della prima stagione, prevalentemente da sesto uomo. Arriverà il titolo, grazie ad un Duncan MVP che domina i Nets 4-2.
12 punti, 3,8 assist e 4,5 rimbalzi dicono di una netta crescita l’anno seguente. E’ la stagione che si chiude contro i Lakers, in quel 2-4 indelebilmente segnato dal famoso tiro di Derek Fischer con 0,4 secondi sul cronometro. Gli stessi Lakers crolleranno inopinatamente in finale coi Pistons, in una delle loro edizioni più forti e più discusse.
I punti diventano 16 nel 2004/05, arriva la convocazione all’ASG, ma soprattutto il secondo titolo, quello in cui è protagonista assoluto delle finali con i Pistons. Lo “star system” americano non è ancora pronto per un MVP argentino (nel biennio 94-95 era toccato ad Olajuwon, sì nigeriano ma molto più americano di quanto dicesse il passaporto…): Tim Duncan, caraibico anch’egli molto a stelle e strisce, viene eletto MVP. Ingiustizia. Manu è fenomenale.
Il terzo titolo arriva contro i Cavs nel 2007. L’avversario è un certo Lebron james, che viene asfaltato 4-0.
La miglior stagione individuale è probabilmente quella 2007/08, quando è “sesto uomo dell’anno” a 19,5 di media. Il Lakers non sono d’accordo nel celebrarlo e fanno fuori gli Spurs nella finale dell’Ovest.
La carriera prosegue ad altissimo livello, San Antonio scrive la storia delle partecipazioni consecutive ai Playoff e nel 2014, dopo la tremenda delusione del 2013, condita da tante critiche per il campione ormai 36enne, arriva il poker a livello di titoli.
E’ così storia, per i “big three” e per lo stesso Manu, ormai icona mondiale del gioco. Ciò che sorprende maggiormente è la capacità di eseguire le giocate chiave, di essere ancora assai produttivo a livello di numeri e di saper gestire al meglio i ritmi di un torneo massacrante come quello NBA. In questo caso è fondamentale l’utilizzo che ne fa Coach Popovich, anche a costo di qualche multa dalla lega per l’eccessivo riposo concesso ai suoi campioni.
Il 27 agosto 2018, 41enne, dopo 16 anni di NBA e 23 di carriera agonistica, Manu dice stop. Si abusa del termine leggenda? Nel suo caso proprio no ed il soffitto dell’arena degli Spurs ne è chiara testimonianza.
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