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Troy Daniels, una sentenza dall’arco per i sogni di Milano

Troy Daniels
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Troy Daniels è un giocatore dell’Olimpia Milano, ufficialmente dalla mattinata di oggi.

LE ORIGINI

E’ il 15 luglio del 1991 quando il piccolo Troy vede la luce a Roanoke, Virginia, cittadina di poco meno di centomila anime nella Roanoke Valley ad ovest di Richmond, capitale dello stato.

Divisa dal Roanoke River, fiume di 660 km, inizialmente si chiamava Big Lick. Il nuovo nome, del 1884, fu introdotto per rispettare la terra e la cultura dei nativi, in una parte di America in cui si intrecciavano diversi dialetti.

Durante il periodo coloniale quella terra divenne importantissima come centro di passaggio per merci ed immigranti.

Da sempre una delle poche zone a larga maggioranza democratica in uno stato di repubblicani, è circondata da vitigni che divengono speciali grazie alle particolari condizioni climatiche della zona.

Il piccolo Troy, divenuto adolescente, frequenta la William Fleming HS della città natale, una delle uniche due scuole pubbliche della città.

Che il basket sia il suo futuro si vede subito. Fa incetta di premi e riconoscimenti, tanto che VCU gli mette gli occhi addosso.

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Il ritiro della maglia alla HS

VCU RAMS, IL PONTE VERSO IL FUTURO

E’ il 2009 quando Coach Shaka Dingani Smart, oggi sul pino di Marquette, lo vuole in “black and gold” a Richmond, sede del campus.

La grande cavalcata del 2011, quando i Rams divengono la prima squadra della storia a compiere l’intero percorso dalle “first 4” alle “final 4”, ovvero dai preliminari che sono una sorta di “play in” per ridurre il numero di squadre partecipanti al torneo da 68 a 64 sino al grande atto finale, lo vede protagonista molto marginale.

Le prime due stagioni sono difficili, gioca abbastanza raramente, ma da “junior” diventa parte fondamentale del famoso sistema “Havoc”, basato sul caos che si vuole introdurre nei meccanismi avversari. Coach Smart lo definì alla perfezione nella prima conferenza stampa al suo arrivo. Pochi gli credevano, tanti hanno dovuto cambiare idea.

10 punti a gara da junior quindi, prima che l’anno senior, il 2012/13, dicesse 12,3 con la perla dell’entrata nella storia di VCU e della Atlantic Coast Conference. E’ il 2 gennaio 2013: 11 su 20 da tre, 33 punti e 10 rimbalzi per demolire East Tennessee State.

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Daniels in maglia VCU

UNDRAFTED”, QUELLA MALEDETTA PAROLA…

Il Draft 2013 è quello che vede ai primi cinque posti Anthony Bennett, Victor Oladipo, Otto Porter jr, Cody Zeller e Alex Len. Ecco, parrebbe nulla di che, se non fosse che alla 10 va via CJ Mc Collum, alla 12 Steven Adams ed alla 15 un certo… Giannis Antetokounmpo. Per trovare Rudy Gobert bisogna scendere sino alla 27. Che il draft sia la cosa più incomprensibile e difficile del mondo resta una certezza assoluta.

Gente che affronterà con la maglia dell’Olimpia? Non manca, e di peso. Shane Larkin #18, Sergey Karasev #19, Livio Jean-Charles #28, Nemanja Nedovic #30, Alex Abrines #32, Nate Wolters #38, Lorenzo Brown #52, Joffrey Lauvergne #55, Peyton Siva #56, Bojan Dubljievic 59 ed infine Janis Timma alla #60.

Summer League coi Bobcats, ma taglio immediato a settembre, firma coi Rockets ed altra delusione prontissima. Arriva così Rio Grande, lega di sviluppo, famiglia texana dei Rockets.

Un anno e due giorni dopo quel 2 gennaio delle 11 triple ne mette 10 contro Idaho: ecco la convocazione per la partita delle stelle della NBA D-League.

Il sogno NBA è ancora da realizzare.

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Houston, tutto comincia qui

I ROCKETS, L’INIZIO

Il 21 febbraio 2014 è la data spartiacque. Il contratto con Houston, anche se immediatamente rispedito ai Vipers, porta al debutto di marzo nella lega allora di Davide Stern.

Poco più di un minuto e mezzo contro i Magic, ma comincia tutto lì. Un paio di ritorni al piano di sotto, ma ci siamo.

La primavera del 2014 vede sbocciare il vero Troy Daniels.

La sua personalissima “liberazione” giunge il 25 aprile di quell’anno, con la tripla che porta avanti i suoi Rockets in gara 3 di Playoff contro Portland.

Sarà ancora Houston, poi Minnesota, dove non andrà benissimo. Due mesi dopo ecco Charlotte ed ecco i 24 contro Toronto, che verranno superati dai 28 dell’anno seguente, sempre in maglia Hornets. Ed in quell’occasione la retina viene scossa ben otto volte dalle conclusioni oltre l’arco.

L’aggiornamento del “career high” è siglato vestendo i colori dei Grizzlies, con cui firma nel luglio 2016. 31 con sei triple che saranno 7 tre giorni dopo quando dirà 29. E 29 diventa un numero magico in termini di date: quel giorno di dicembre ne mette 22 nell’ultimo quarto contro i Thunder, pareggiando il record di Greg Anthony. Sì, quello della leggendaria UNLV dello “squalo” Jerry Tarkanian, quello che giocò la memorabile stagione 1990 con la mandibola rotta e fu determinante nell’indimenticabile trentello rifilato alla Duke di Coach K e Christian Laettner.

La stagione seguente a Phoenix segna la miglior media punti (8,9) ed i maggiori minuti giocati (20,5). Piovono triple e record di franchigia anche qui, pareggiando gente del calibro di Gerald Green e Shannon Brown. E si aggiorna di nuovo il “career high”, 32, con altra seratina da 7/10 oltre l’arco. 27 gare di fila con almeno un tiro da tre vogliono dire superare Wesley Person, non uno a caso da quelle parti.

Infine i Lakers, parentesi non delle più esaltanti, sebbene gli venga dato l’anello del 2020 nonostante il taglio di marzo. La parte più bella? Il rispetto di Lebron e di tutta la franchigia, che lo taglia prima della “deadline” per i Playoff, in modo da garantirgli una possibilità in più. Che sarà Denver.

Con Lebron si parla di futuro

«Che onore essere stato parte di un’organizzazione straordinaria come i Lakers». Non tutti parlano così dopo un taglio.

Denver è parentesi poco significativa, sebbene ci siano i Playoff, prima di un anno di inattività che chiuderà proprio questa settimana con la firma per l’Olimpia.

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A Phoenix si aggiornano i record

HE CAN SCORE…

«Sa diventare letale dall’arco grazie ad un rilascio molto rapido. Senza paura, è tiratore vero».

«Possiede un “range” di tiro senza limiti».

«E’ discreto a rimbalzo nonostante la taglia fisica, potrebbe beneficiare molto da un miglioramento nelle conclusioni dal “mid range”».

«E’ una “three point specialist combo guard”».

Così SportsForecaster.

«Ha dimostrato di poter giocare in NBA… è un cecchino che permette di aprire il campo… ha margini di miglioramento». E’ la descrizione di Daniels fornita 5 anni fa da Swarmandsting.

Nel dicembre 2020, l’anno pandemico, nel pieno dell’attesa per la “next opportunity”, il nativo della Virginia ha parlato così a HoopsRumors.

«Alti e bassi pazzeschi, non solo per la pandemia. I Lakers, Denver…».

«E’ sempre stato così per me ed anche quest’anno dimostrerò come posso superare ogni difficoltà».

«Ho un tiro di altissimo livello, il massimo possibile. E sono uno che non crea problemi, che non discute con la dirigenza… Lavoro, aiuto i più giovani, come deve fare un professionista vero. L’ho sempre fatto, dal college ai pro, ho costruito una carriera su questa mentalità».

«Durante l’inattività ho lavorato sul mio corpo e sulla mia nutrizione per arrivare nella miglior forma possibile, molto meglio del passato. Senza le partite è dura essere al top, ma stavolta voglio esserlo e tutto il mio lavoro è in quella direzione».

«Ho lavorato anche sul mio atteggiamento mentale, che è fondamentale per poter essere al meglio quando mi alleno e gioco. Senza quello, senza la giusta meditazione, è difficile».

«Devo iniziare ogni partita come se non la giocassi. Ma se poi tocca a me, devo essere pronto. Così posso tirare al meglio e dare il massimo».

«In Nba ci sono poche superstar, il resto sono “role players” che devono essere pronti quando chiamati».

«Non ho mai avuto il privilegio di scegliere dove giocare, ma ho sempre avuto quello di poter dirmi pronto».

Probabilmente tanto di tutto ciò è stato alla base della scelta di Messina.

Squadra, lavoro, attitudine… Con un passo in più da compiere a Milano: non sarà solo questione di essere pronto per qualche minuto, perchè il pallone, anche quando scotterà, è probabile che transiti spesso oltre l’arco nelle mani di quello che è «uno dei migliori tiratori della NBA. Grande attitudine, grande lavoratore, un uomo squadra». parola di Jamal Crawford, uno dei magnifici otto che hanno giocato almeno 20 stagioni nella lega. Gli altri? Kobe, Kareem, Vince, KG, Dirk, “The Chief” e Kevin Willis.

Il tiro? Letale.
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