Barca-Real è un k.o. tecnico. Catalani di nuovo campioni dopo 7 anni

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E venne finalmente il giorno. Il Barca di Sarunas Jasikevicius si laurea nuovamente Campione della Liga Endesa, interrompendo un’attesa che si prolungava dal 2014. Nel mentre, i catalani hanno visto festeggiare i rivali di sempre della Capitale per ben 4 volte. Così come Valencia (2017) e Baskonia (2020).

Ci riesce in grande stile, mettendo in piedi una dimostrazione di potenza, l’ennesima, che brilla di una luce potentissima in un match mai in discussione, fin dal break iniziale di 7-0. Un 92-73 che acceca un Real Madrid che ha avvertito, tutto d’un colpo, il peso delle fatiche di una stagione nella quale la parola stabilità non è stata certamente di casa.

Ai ragazzi di Pablo Laso va concesso il più meritato degli onori delle armi. Per la loro resilienza e capacità di affrontare cambiamenti e imprevisti di ogni tipo da Campioni Veri. Oltre il risultato. Annata che si conclude comunque con un trofeo in bacheca, quello inaugurale. Ovvero la Supercoppa di Tenerife, con Facundo Campazzo a stoppare il Barcellona di Jasikevicius nel finale di partita.

Di acqua ne è passata sotto i ponti da allora, per entrambe le squadre. Allora andiamo ad approfondirne l’ultimo atto.

Difesa bunker

Il Barca mette le cose in chiaro fin dai primissimi possessi. Merito di un lavoro irreale nella metà campo difensiva. Una intensità assurda che toglie praticamente tutte le opzioni al Real in attacco. Partendo da una pressione sul perimetro quasi ossessiva, cui seguono raddoppi sistematici sul primo ricevitore della squadra di Laso.

Il pitturato blaugrana è un autentico bunker di cemento armato. Inaccessibile per un Real che, non a caso, viene limitato a un 9/20 da due e un 3/9 da tre, nel primo tempo, che suonano come una condanna senza appello. Non restano che le forzature individuali. Efficaci in alcune occasioni, con Abalde, Carroll e Causeur a bucare il Barca, ma che hanno peso relativo sull’andamento di una sfida che vede i padroni di casa volare ben presto oltre la doppia cifra di vantaggio, con un picco sul +18.

Impossibile non menzionare, in particolare, un Brandon Davies magistrale nel costringere Walter Tavares a ricezioni statiche, spalle a canestro e lontano dagli ultimi due metri di campo, zona in cui sarebbe incontenibile per chiunque, a queste latitudini. Ad aiutare il centro ex Varese e Zalgiris anche una capacità di tenere fisicamente la posizione, coprendo la linea di fondo, che segna l’enorme salto di qualità compiuto negli anni da questo ragazzo. Nessun passo indietro contro nessuno. Totale consapevolezza dei propri mezzi.

Nikola Mirotic, Barca | Eurodevotion
a Mirotil

Nikola Mirotic

Se gara 1 era stato il giardino di casa di Cory Higgins, il decisivo secondo confronto è stato cannibalizzato da un Nikola Mirotic formato deluxe. Senza dubbio una delle migliori serate della sua carriera, in cui si è potuto ammirare la quintessenza del talento trasportato su un parquet di pallacanestro.

I 27 punti, 5 rimbalzi e 2 stoppate testimoniano la sua consueta capacità di colpire l’avversario con un ventaglio di soluzioni praticamente sconfinato. Ciò che ha maggiormente impressionato della prestazione dell’asso del Barca è stata piuttosto la cattiveria che ha messo su tutti i 28 metri del campo. Quella che, in taluni frangenti, gli è mancata ed è stato anche il piccolo passo venuto meno per scrivere una carriera da vincente non sempre riconosciutagli dall’esterno.

La volontà di non andare sotto nell’1vs1, i piedi mossi con una rapidità sorprendente rispetto alle abitudini, la presenza nel tagliafuori a rimbalzo, le letture delle linee di passaggio e gli aiuti. Tante piccole cose che fanno da corollario a 23’17” di dominio assoluto.

Termine che si addice perfettamente anche alla partita di Nick Calathes, che si è seduto dietro la cattedra e ha controllato le dinamiche della partita con una facilità irrisoria. E che dire dei 20 minuti giocati da Pau Gasol?

La parola che viene da associare a entrambi è clinic.

Barca Campeon

“I don’t like how we started”

Frase urlata da Sarunas Jasikevicius ai suoi in un time-out chiamato dopo poco più di due minuti di gioco nel terzo quarto. Sopra di 20. Oggetto della “furia” del coach lituano due tagliafuori su Walter Tavares trascurati. Segni chiari dell’unico, piccolo caso di tensione nella partita del Barca.

Cornice che ci è utile a raffigurare l’ossessione cestistica del condottiero blaugrana. La sua maniacale attenzione al dettaglio che è stata la base della sua capacità di convincere un gruppo di stelle a sintonizzarsi sulla sua stessa lunghezza d’onda e suonare lo stesso spartito. Questo il suo più grande merito.

Laddove aveva fallito il suo predecessore Svetislav Pesic. Certo, il Barca non è stato il team più appagante, dal punto di vista estetico, nel proprio sistema offensivo. Altrettanto certamente è mancata la consacrazione definitiva e totale, con la vittoria della Turkish Airlines Euroleague, portata via dall’Efes di un Ergin Ataman in missione.

Però una Copa del Rey dominata, una Finale di Eurolega e la ciliegina finale di una Liga Endesa che ritorna tra le mura del Palau, dopo anni di inseguimenti e investimenti vani, sono un punto di partenza di assoluto valore alla prima stagione in un club che sente suo come pochi altri. Con il relativo carico di responsabilità percepito, che può anche diventare fardello.

Sarà curioso vedere il nuovo Barca ai nastri di partenza di una stagione in cui il focus sarà (ancora di più) l’Europa con il Real che, dal canto suo, ricostruirà per provare a ribadire la sua recente egemonia in Spagna.

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