Il crollo del Real Madrid e le conseguenze sul mercato

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Il quinto posto ottenuto nella fase finale di Liga Endesa da parte del Real Madrid ha già fatto molto rumore ed ancor di più è destinato a farne nei prossimi giorni.

Dopo aver tranquillamente dominato in patria coi successi di Supercoppa e di Copa del Rey, dopo aver gestito in tranquillità la stagione regolare, sempre nelle prime due posizioni col Barcellona, ed essere nelle prime tre di Eurolega senza grossi sbalzi di rendimento, è arrivato il crollo di Valencia.

Inatteso, impensabile, una bomba di cui non si sapeva nemmeno esistesse un timer col conto alla rovescia.

Formula particolare, sospensione di quasi 100 giorni, nessuna amichevole prima che le gare contassero doppio, il confinamento all’interno della splendida struttura valenciana… Tutto vero e tutto potenziale portatore di grandi sorprese, come anche accaduto in Germania al Bayern, tuttavia nulla di tutto ciò può essere considerato una giustificazione per questo Real Madrid.

16 uomini tutti a disposizione e tutti senza importanti problemi fisici, addirittura la scelta di lasciare a casa Salah Mejri per portare il giovanissimo Juan Nunez: nessuno stava apparentemente bene come il Real e nessuno disponeva di un roster tale da garantire le maggiori alternative in un torneo così concentrato nei tempi.

Il primo impegno è stata una passeggiata, cominciata con quarto surreale da 37 punti. Il decadimento della prestazione all’interno della gara poteva essere un segnale, ma tutti l’abbiamo interpretato come normale alla ripresa dopo il lungo stop.

Burgos è stato il campanello d’allarme vero e proprio. L’incapacità di imporre il proprio ritmo e la pesante caduta a rimbalzo (41-33) hanno detto di una squadra improvvisamente vulnerabile. Tavares da fortezza inespugnabile è diventato terra di conquista avversaria: bastava portarlo lontano dal ferro. Nessuna contromisura “merengue” e Penarroya che batte Laso in ogni scelta.

Il Valencia è stata battuto con esperienza e mille problemi, tra i quali un’altra sconfitta a rimbalzo, seppur solo 35 a 32. La prova leggendaria di Campazzo ha nascosto la polvere sotto il tappeto.

Andorra è stato il completamento del disastro perfetto. nessuna energia, nessuna concentrazione, nessuna capacità di prendere in mano la gara nelle tante occasioni in cui si sarebbe potuto e dovuto farlo. Abbiamo seguito la gara pensando che in ogni caso, al momento giusto, questa sarebbe andata verso la capitale. Errore madornale, forse commesso inconsciamente ma assai presuntuosamente dai giocatori madridisti.

Zaragoza conta solo per dare l’idea della professionalità di tali campioni. Quella non mancherà mai. I buoi, però, erano scappati da tempo.

Marca non fa sconti alla squadra di Laso: «Non ha scuse né merita perdono». L’analisi di Josè Luis Martinez è impietosa.

«Nemmeno il più pessimista dei tifosi avrebbe immaginato un rovescio simile… L’ultima volta accade 14 anni fa contro Malaga nei quarti… La macchia peggiore dell’era Laso».

«Perdere contro due squadre modeste come Burgos e Andorra, che arrivano a 5 e 4 milioni di budget, quello che più o meno guadagnano Tavares e Llull.. Fortunatamente nello sport uno più uno non fa sempre due e l’ambizione, la concentrazione, il desiderio valgono più di un conto in banca con tanti zeri…».

«Il Real in Spagna può perdere una partita contro il Barça, Malaga, Valencia o Baskonia, ma non contro un Burgos che fa la ACB da tre anni od un Andorra che era senza i luoghi Diagne e Musli».

«Contro rivali modesti puoi perdere una volta, se loro indovinano tutto, ma non due, soprattutto se ti stai giocando la sopravvivenza sportiva».

«Col Burgos il Real ha iniziato bene, poi perdendosi durante la gara. Molto peggio con Andorra, una pena, senza concentrazione, senza intensità e senza capacità di reagire».

«Era come se volessero tornare a casa, dopo un lungo sconfinamento. Anche il Barça è rimasto isolato, ma è in semifinale».

«Non ci sono scuse, è imperdonabile».

Molto più misurato il pezzo a firma Nacho Duque, sempre dalle colonne di Marca: «Contestualizzare il fallimento del Real».

«Soprattutto per una questione di età, l’attitudine non è stata la migliore, in questa strana normalità».

«Il fallimento deve essere contestualizzato, non scusato. Mai si sarebbe dovuto uscire in quel gruppo… Il merito di chi è passato va riconosciuto più per le circostanze che per il gioco».

«Nella normalità il Real aveva 45 vittorie ed 11 sconfitte, la terza miglior percentuale dell’era Laso, all’80,35%, pienamente in corsa per Liga ed Eurolega, dopo aver vinto Supercoppa e Copa del Rey».

«Alla ripresa è stato impossibile raggiungere il 100% della forma, nemmeno il 60% si è visto, al netto delle grandi prove di Campazzo e tavares contro Valencia e Zaragoza».

«Se chiedete ad un veterano vi dirà che non si ferma mai d’estate, al massimo una settimana, altrimenti ripartire è troppo difficile. Reyes (40), Jaycee (37), Rudy (35), Causeur (33) e Llull (32) si sono trovati in questa situazione. Correre in giardino ed allenarsi in casa è ben diverso dal lavoro di un giocatore».

«Taylor, Thompkins, Randolph e Laprovittola saranno nella trentina a fine stagione: l’età è da tenere in considerazione, ben lungi dall’essere un’attenuante per il club».

«L’attitudine non è stata corretta e questo è stato un errore. Vivere isolati in una bolla, senza le famiglie, se è vero che era uguale per tutti, per chi aveva vinto due trofei ha creato una sorta di auto-compiacenza. E come in tutte le squadre c’era chi non voleva giocare. Per una di queste ragioni, o per tutti insieme, qualcuno aveva la testa altrove, come se questa Liga con tanti asterischi non avesse il valore abituale».

«La peggior sconfitta dell’era Laso, sempre in finale da quando siede sulla panda madridista. L’allenatore chiede sempre alla sua squadra di essere competitiva, cosa che è mancata in due occasioni a Valencia, a volte rasentando il ridicolo. Ma analizzare solo gli ultimi dieci giorni è sbagliato, per chi aspirava tutto fino ad una settimana fa».

«Si parla tanto di fine di un ciclo, termine che piace, di rivoluzioni, di partenze… Carlos Alocen è l’unico rinforzo sinora, Laprovittola è in uscita: dopo i rinnovi di Rudy, Randolph, Thompkins e Carroll, con quello di Reyes in arrivo, il margine di manovra è limitato. Serve ragionare su un esterno creatore di gioco e con punti nelle mani. Qualcosa in più di quanto si pensasse dovrà esser fatto, ma parlare di rivoluzione è sbagliato perché non vi è stato nulla di normale, solo una fase finale eccezionale».

C’è tutto nelle critica della stampa madrilena e tanto è condivisibile.

Parlare di fine di un ciclo è una follia ridicola, interrogarsi su quanto serva nel breve è un dovere.

Gli anni passano e questo deve essere tenuto in considerazione di fronte ad un calendario sempre più fitto e col livello di Eurolega in netta ascesa.

Ancora col dubbio Campazzo, la cui uscita in direzione NBA determinerebbe l’assoluta necessità di andare sul mercato, Alberto Abalde sarebbe soluzione ottimale. Ma sull’asse Madrid-Valencia potrebbe verificarsi altro movimento, nella fattispecie sul nome di Nando De Colo. Il francese sarebbe perfetto per il sistema di Laso, sempre che non lo sia per qualunque sistema… A proposito di Laso, la forza e la certezza più grande che questo Madrid possiede ha il nome del Coach. Un fenomeno della panchina che ha perfettamente saputo ricoprire il ruolo di allenatore nel club più grande del mondo. Non era, non è e non sarà mai facile, perché ogni cosa “merengue” è più grande del tuo lavoro ed ogni tuo errore sarà sempre nell’occhio del ciclone perché commesso in un ambiente che non ha eguali.

A Madrid hanno fallito fior di allenatori, tra calcio e basket. Laso mai, sino ad oggi. Ma diciamo tranquillamente oggi compreso, perché dieci giorni non possono creare alcun dubbio su una gestione quasi decennale inappuntabile.

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alberto marzagalia

Due certezze nella vita. La pallacanestro e gli allenatori di pallacanestro. Quelli di Eurolega su tutti.
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