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2004: La finale senza storia

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La finale del 2004 mi riporta immediatamente alla memoria il 27 maggio 1985 quando, da bambino tifoso dei Lakers, dovetti assistere, in gara1 di finale Nba, a quello che venne sportivamente ricordato come il “Massacro del Memorial Day”. Boston si impose per 148 a 114 prendendosi il primo punto della serie ed in pochi avrebbero immaginato, due settimane dopo, che sarebbero stati i Lakers a vincere il titolo e la serie per 4-2. La notte del 1 maggio 2004, a Tel Aviv, è andata un po’ allo stesso modo: una squadra assoluta dominatrice e l’altra in balia delle ondate avversarie. Il Maccabi si impose sulla malcapitata Skipper Bologna per 118-74 in una contesa che durò praticamente solo qualche minuto. Dopo centoventi secondi l’azione simbolo della serata. Vujanic, sul punteggio di 3-2, ruba palla e si appresta a segnare un comodo sottomano senza fare i conti con il recupero di Parker che lo stoppa dando vita alla transizione conclusa da Jasikevicius per la “tripla” del 6-2. Un momento, che rivisto ieri dopo tanti anni, simboleggia una differenza di valori, di energia che ha avuto come logica conseguenza il divario di 44 punti alla sirena.

Una analisi tecnica sarebbe ingenerosa per la Fortitudo Bologna, l’ultima squadra italiana ad aver disputato, sedici anni fa, la finale di Eurolega. Un ultimo atto all’insegna delle similitudini con l’anno precedente vista la vittoria della squadra ospitante, in una finale con una squadra italiana, con Sarunas Jasikevicius in campo a bissare l’impresa di Bodiroga, campione in due anni consecutivi, con due squadre diverse.

Il Maccabi di quel periodo storico è probabilmente una delle squadre più forti degli ultimi 20 anni insieme alla Kinder Bologna del 2001 e il Panathinaikos del 2009. Una opinione formulata dal nostro direttore Alberto Marzagalia che mi trova perfettamente in sintonia. Il quintetto composto da Jasikevicius, Burnstein, Parker, Vujcic e Baston era un mix di talento ed esplositività con l’asse play-pivot perfetto emblema della combinazione creatività e fisicità. “Jasi to Baston” è stato spesso, in quell’arco temporale, un classico nelle top ten della manifestazione.

Il giocatore di cui ero personalmente innamorato era però Anthony Parker, visto anche a Roma nella stagione del 2003. Una guardia-ala di neanche due metri che ha fatto la storia dell’Eurolega diventandone mvp per due annate. Il classico elemento elogio della completezza, pericoloso in attacco e buon difensore.

La finale ebbe poca storia, difficile competere a Tel Aviv contro quella corazzata in una serata da quasi 70% al tiro e 31 assist. Una partita che, senza il miracolo di Derrick Sharp nell’ultima partita di Top 16, gli israeliani non avrebbero nemmeno disputato. Sul punteggio di 91-94, contro lo Zalgiris di Kaunas, il folletto statunitense naturalizzato israeliano impattò sulla sirena forzando la gara al supplementare poi vinto dal Maccabi. La dimostrazione che a volte alcune squadre riescano ad entrare nella leggenda, non solo per i campioni, ma anche per la classe operaia.

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