Xavi Pascual ed un ritorno a casa da incubo: Non abbiamo la certezza di fare la cosa giusta… (pt 1)

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Gli allenamenti senza giocare, la cancellazione definitiva della stagione in VTB, i momenti dell’attesa e poi quella decisione di Putin di chiudere gli aeroporti da lunedì.

Era obbligatorio muoversi subito, altrimenti sarebbe stato impossibile. Comincia così il weekend in pieno stile odissea di Xavi Pascual, Coach dello Zenit San Pietroburgo, subentrato al connazionale Joan Plaza in corsa.

Da domenica sera si trova nella sua casa catalana di Gavà,  a pochi chilometri da Barcellona, ed ha descritto il suo viaggio assai particolare e scioccante al Mundo Deportivo.

«E’ una situazione estrema, scioccante».

«Fino a giovedì scorso ci allenavamo regolarmente, poi hanno cancellato la stagione di VTB, dandoci il permesso di rientrare in patria. Putin ha deciso che da lunedì sarebbero stati chiusi gli aeroporti, bisognava organizzarsi in un giorno».

«Con Inigo Zorzano, amico ed assistente, abbiamo visto che l’unica possibilità era il sabato sera un volo San Pietroburgo-Mosca e poi la mattina Mosca-Madrid. In aeroporto pareva di essere in una film di fantascienza: controlli della temperatura, vigilanza sul fatto che indossassimo guanti e mascherine, obbligatori per tutti. Poi da Mosca un volo con non più di 10-15 persone verso Madrid, tutte sempre con guanti e mascherine.»

«Arrivati alle due del pomeriggio a Madrid scopriamo che non ci sono voli per Barcellona sino al giorno seguente: cosa facciamo qui? Restiamo in aeroporto? Prendiamo un hotel con tutto quello che sta succedendo? C’era un treno ad alta velocità alle 21, ma stare così tanto tempo in aeroporto e poi in treno, il rischio era lo stesso… Allora abbiamo deciso per il noleggio di due auto, Inigo per Logrono, io per Barcellona».

«In 600 km da Madrid a Barcellona ho incontrato solo camion e non più di 20 auto. Incredibile. fermarsi per un caffè che ti viene servito da una vetrina, poi due controlli di polizia. Ho spiegato la mia situazione, mi hanno riconosciuto, ma giustamente ho dovuto mostrare tutti i documenti necessari».

«Dopo 20 ore sono arrivato a casa, verso le otto di sera. Il giorno seguente ho riportato l’auto in aeroporto, mi sono venuti a prendere ed ora sono isolato a casa, in una situazione estrema cui ci dobbiamo adattare tutti».

«Il cambio di vita rispetto alla Russia è stato notevole. Là potevamo uscire, erano state chiuse le palestre, i teatri, il museo dell’Hermitage, ma fino a questo lunedì l’isolamento era limitato. Ben diverso da ciò che vivo qui in Spagna, arrivare a Gavà e non vedere nessuno in strada, dopo aver guidato in autostrade deserte, aver attraversato Zaragoza senza vedere una sola macchina… è scioccante, veramente».

«Da 5000km di distanza avevo tutte le informazioni sui miei parenti, specialmente quelli più anziani come mio padre, mia nonna, ma poi in realtà essere qui è uguale, non puoi vederli, non puoi abbracciarli… Ci sono molte contraddizioni».

«Tornare a casa, poi, non sai se è la cosa migliore. magari puoi contrarre il virus in viaggio e fai il male dei tuoi, non vi è certezza che si sta facendo la cosa giusta».

«Ero preoccupato per la gente del Barça, conosco tantissimi per cui il fine mese non è facile come per gli altri, penso agli impiegati ed a chi lavora nel club. Sono felice che la situazione si sia risolta e che, nella normalità dei tagli dei salari, si sia pensato ad aiutare chi ne valeva più bisogno».

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alberto marzagalia

Due certezze nella vita. La pallacanestro e gli allenatori di pallacanestro. Quelli di Eurolega su tutti.
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