Olimpia inguardabile, la Reyer ne approfitta con merito

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Semifinale di Coppa Italia, Milano contro Venezia, Messina contro De Raffaele: francamente ci si aspettava molto di più dal punto di vista della pallacanestro pura, tecnica.

In un tardo pomeriggio pesarese illuminato da un pubblico finalmente numeroso, ovvia dimostrazione di una città che vive di basket, che conosce e capisce il basket e che il movimento italiano non può e non deve rischiare di perdere, la Reyer prevale con merito sull’Olimpia, dopo una sfida che ha fatto imprecare più che esultare i tifosi delle rispettive squadre.

Delusione tecnica da un parte, conferme importanti dall’altra. Venezia quando c’è da lottare per un titolo non si tira mai indietro, mentre Milano rivede fantasmi del passato che sembravano nel dimenticatoio. Si può giocar male, succede, ma così è veramente difficile.

La nostra analisi negli abituali 5 punti, per provare a separare le situazioni principali che hanno portato al 67-63 finale.

  • Scarsa qualità o difese?

Bella domanda… Se è vero che entrambe le squadre mettono in campo un discreto sforzo difensivo è altrettanto vero che quel che propongono gli attacchi per almeno un totale combinato di una ventina di possessi è terribile. Dalle zingarate del Chacho con “spioventi al centro” di calcistico stampo, alle superiorità numeriche di Venezia abortite per ragioni misteriose, il campionario è veramente poco gradevole.

La risposta alla domanda è per noi chiara: partita di pessima qualità. Il che non vuol dire squadra di pessima qualità, anzi: ci si stupisce ancor di più perché certi interpreti possano fornire uno spettacolo così limitato. Ecco, magari eviteremo di tirare in ballo Grenoble o il Limoges che mette la museruola al Benetton, perché in quei casi i campioni erano veri e tanti, non si battevano mani sul petto perché erano impegnati a fare  botte con gli avversari.

  • Disastro Chacho: perché?

La peggior partita da quando veste la maglia biancorossa, soprattutto in rapporto all’importanza della stessa.

Un mix di esitazione e confusione, con scelte che non gli appartengono ed una totale mancanza di quella leadership sul campo di cui la sua squadra non può fare a meno, mai. Difficile comprenderne i motivi, perché anche se condividessimo le parole di Messina sul nervosismo derivato dai primi tiri sbagliati, beh, questo non ce lo si può mai aspettare da un campione di questa caratura e di questa esperienza.

La tripla apertissima non presa dopo un rimbalzo d’attacco è l’immagine della sua serata e fa il paio con diverse penetrazioni il cui obiettivo finale è ancora oggi sconosciuto ai più.

Stanchezza? Sovraesposizione atletica cui non era abituato? O forse, semplicemente, inizia ad avere un po’ di sfiducia in compagni che sono molto meno capaci di quelli che ha frequentato nelle stagioni precedenti? Altra bella domanda…

  • I tanti meriti di Venezia

Legati a questa gara non sono poi tantissimi i meriti dei lagunari, se non principalmente quelli di essere stati più solidi e determinati di Milano per una parte di gara percentualmente superiore a quella in cui l’Olimpia è stata efficace. Per il resto anche la squadra di De Raffaele ha provato a perderla diverse volte, ma questa Milano non è stata capace nemmeno di scartare regali.

Dove invece va riconosciuto grande valore e  merito alla Reyer è nella globalità del rendimento quando le cose si fanno serie. Il coach dà sempre una sensazione di grande equilibrio, rendendo il suo spogliatoio impermeabile alle critiche ed alle situazioni esterne. Ciò porta ad una tranquillità di prestazione che va oltre i momenti difficili ed allora arrivano le vittorie importanti come quelle su Bologna e Milano. Mentre queste due parlano, Venezia vince. Potrebbe essere il titolo ideale in casi di successo, per nulla scontato e semplice, contro Brindisi.

  • Buoni tiri che non entrano? Mah…

Lo abbiamo sentito più di una volta quest’anno da parte di Messina, come peraltro da parte di tanti altri Coach: «Abbiamo costruito tanti buoni tiri che non sono entrati. Ne sarebbe bastato qualcuno…».

Nella giornata delle domande, non condividiamo queste dichiarazioni per tre semplici ragioni, che portano appunto a domande che sarebbe bello rivolgere ai diretti interessati, certi che la risposta ci aprirebbe conoscenze che nel silenzio non possiamo avere.

Perché ogni volta che si parla di buoni tiri sbagliati si intende soltanto tiri da tre punti?

Perché se una squadra sbaglia una dozzina di triple, praticamente consecutive, insiste nel crearne un’altra dozzina, in una serata in cui i due lunghi (Tarczewski e Scola) combinano per un 75% dal campo? E’ lecito definire “buoni tiri” quelli costruiti o sarebbe meglio definirli “poco furbi” piuttosto che figli dell’incapacità di fare qualcosa di diverso?

Se infine lo scarso rendimento della squadra è derivato dal nervosismo causato dai primi errori, proprio la ricerca di qualche appoggio al ferro, di qualche soluzione in contropiede piuttosto che il rifornimento più continuo ai luoghi non avrebbe potuto essere traccia di un tema ben differente? Senza dimenticare che un tiro da vicino porta a  qualche libero in più…

Belle domande… Le risposte non toccano a noi.

  • De Nicolao: ha ragione Bianchini?

«Più lo vedo, più mi convinco che è il miglior playmaker italiano». Parola di Vate, uno dei pochi personaggi storici del nostro basket vincente in grado di leggere la pallacanestro di oggi senza crollare nella retorica e nel ricordo di tempi che non ci sono più.

Queste parole di Valerio Bianchini fanno riflettere ed allora se si guarda con un po’ più di attenzione il giocatore, si scopre che Andrea De Nicolao si muove bene, ha un atteggiamento sempre positivo, duro il giusto, e pare proprio quella figura di leader occulto ed allo stesso tempo pratico di cui ogni squadra ha bisogno (ad esempio a Milano un italiano così non esiste).

Se poi è serata da 4/5 da tre, allora è tutto ancor più chiaro.

(Photo : Camillo Ansalone)

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alberto marzagalia

Due certezze nella vita. La pallacanestro e gli allenatori di pallacanestro. Quelli di Eurolega su tutti.
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