Messina: Obiettivo Playoff quest’anno e Final 4 in tre stagioni. Voglio giocatori che rispettino le regole e creino la chimica giusta

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Come abbiamo scritto questa mattina Ettore Messina, Coach di Olimpia Milano, è stato ospite del bellissimo format “The Crossover”, splendidamente orchestrato da Joe Arlauckas.

Di seguito la traduzione quasi integrale delle parole dell’allenatore milanese.

Sull’inizio della carriera…

«Tonino Zorzi mi vide sbagliare liberi decisivi in una finale, avevo 17 anni. Il giorno dopo, visto che era anche il mio prof di educazione fisica, mi cazziò pesantemente  e mi disse chiaramente che non avrei potuto diventare un grande giocatore ma che mi aveva visto in palestra ad aiutare un altro allenatore coi giovani, proponendomi di intraprendere quella strada. Avrebbero pagato loro i corsi».

«Decisi in due giorni. Scelta giusta? Come fai a dirlo a 17 anni? E’ più questione di istinto. Oggi potrebbe sembrare stupido, visto che ho avuto la fortuna di iniziare la mia carriera proprio in quei momenti, ma mi manca il non aver potuto essere un giocatore. Ogni giorno, prima dell’allenamento, mentre i giocatori si scaldano, io tiro. Non posso farne a meno».

«Mi sono innamorato del gioco guardando le finale tra Varese (10 di fila!) ed il Cska o il Real».

Sulla fortuna di avere chi ti dà opportunità…

«A 17 anni mi hanno dato una squadra di 14enni, a 23 anni l’Avv.Porelli mi volle come assistente allenatore, poi come capo allenatore, nella stagione in cui battevo il Real in Coppa Coppe, purtroppo anno maledetto perché il basket perdette Fernando Martin. A 33 anni allenavo la Nazionale. Non ero pronto, come potevo esserlo… ma qualcuno mi diede quelle opportunità. Sai quanti ne conosco che sono bravissimi ma non hanno avuto la fortuna di avere l’opportunità giusta?»

«Poi quelle opportunità devi meritartele, perché anche  chi è stato “sponsorizzato”, se non lavora duro, resiste pochissimo».

Sulla Nazionale…

«Lavoro durissimo perché alleni poco, soprattutto da giovane inesperto, però ebbi la possibilità di seguire, grazie al tempo libero, Ivkovic, Obradovic, il Professor Nikolic e questo mi diede molto».

Su Bologna…

«Due avventure e due grandissimi squadre. I derby furono duri, più nel 1998 che nel 2001, con così tanti grandi avversari».

Sulla formula dei Playoff o delle Final 4…

«Sono un difensore dei Playoff, anche se capisco che la Final 4 sia attrattiva come null’altro. Nel 2001 eravamo senza Griffith in gara 1 e perdemmo. Se fosse stata una Final 4 sarebbe finita lì, invece potemmo recuperarlo e vincere in 5 partite».

Sui trionfi del 2001…

«Tra gara 1 e 2 e poi 3 e 4 passarono 12 giorni: in mezzo c’erano le finali di Coppa Italia.  Il proprietario di allora, che aveva investito una marea di soldi ma non aveva grande esperienza sportiva, volle parlarci prima della Coppa Italia: “Ragazzi, l’importante è non farsi male perché c’è poi l’Eurolega”. Il giorno seguente organizzammo una sorta di riunione segreta coi giocatori, Rashard, Manu e gli altri. Cosa facciamo? “Andiamo per vincere Coach”. E vincemmo, dopo un incubo nei quarti ai supplementari»

«Non posso immaginare il fatto di non competere al 100%, è impossibile per i giocatori. da fuori è difficile capirlo ed infatti non è che si sbagliasse il nostro proprietario, è che i giocatori sono così, vogliono competere sempre».

Sulla TOP 16…

«Forse la formula più dura. Un anno con Treviso non facemmo la Final 4 per differenza canestri in un girone con Siena, Panathinaikos e Barcellona, che avevano battuto due volte nonostante fossero campioni uscenti. Ogni possesso, ogni canestro era tremendo in quel format».

Sulle sconfitte…

«Si ricordano molto più delle vittorie. La Final 4 di Bologna resta indelebilmente nei miei rimpianti. +16 dopo 18′, finiamo male il primo tempo e poi… E’ ancora dura parlarne dopo quasi 20 anni.  Vai avanti, come dice Pop, ma resta pesantissima».

«Da allenatore, prima di chiudere gli occhi la sera, pensi sempre cosa faresti potuto fare di meglio. Pochi sono i cocciuti che pensano di aver fatto la cosa giusta e che sia solo colpa dei giocatori…»

«E’ sempre più facile mantenere la motivazione alta dopo le vittorie piuttosto che ricostruire dopo le sconfitte».

Su Treviso…

«A livello di processo è la stagione che ricordo come migliore. Non partivamo favoriti, ma vincemmo tutto in Italia e perdemmo la Finale europea con un Barça fortissimo. Quella sconfitta fu tremenda, perché la vivemmo come la fine del sogno. Eravamo convinti di potercela fare. E tre giorni dopo iniziavano i PO italiani: pronti via e perdiamo in casa con Reggio Calabria. Poi anche là ed ecco lo 0-2: devastante. Ma con gente come Tyus, Trajan, Marcelo ne uscimmo e vincemmo anche lo scudetto».

«Arrivai dopo Mike D’Antoni ed un sistema collaudatissimo e  vincente. Cambiai qualcosa, ma non tanto. Il “Pick and Pop” Garbajosa-Nicola resta una grande cosa tecnica di una stagione che ricordo come veramente speciale».

Sui ricordi in genere…

«Eurolega fa moltissimo per giocatori e coach, come le celebrazioni del 50mo anniversario nel 2008. Ad un certo punto ti guardi indietro e dici “io c’ero”, come per il titolo del 2001 con la Kinder, nell’unica finale 3 su 5 dell’era moderna».

Sul periodo vincente al Cska, con il drammatico ricovero del figlio nei giorni della Final 4 di Praga…

«Ero in una bolla. Allenavo e basta. Mia moglie, i miei assistenti, i miei giocatori… tutti straordinari. C’è molta gente che ha meriti molto più grandi dei miei. Eravamo già  a Praga, facevamo allenamento e mio figlio, di tre anni, ebbe una crisi virale. Il medico del Maccabi fu tra i primi ad aiutare per risolvere il problema del tremore, la febbre era altissima. Ripeto, gente straordinaria».

«Vittoria indimenticabile per tutti questi fattori assieme ed io provai grande soddisfazione perché vedevo gente che non vinceva da 35 anni che mostrava una gioia incredibile, mai vista prima. Col Maccabi eravamo “underdog”».

Su Theo Papaloukas…

«Lui era sempre in nazionale d’estate ed una volta gli chiesi nei primi mesi della stagione se intendesse fare qualcosa di buono per noi. La sua risposta fu semplice: “Coach, io arrivo a gennaio, lo sai”».

Sull’esperienza da assistente e le difficoltà ad accettare quel ruolo…

«Nessun problema perché sapevo di andare in un mondo molto organizzato. E’ stata esperienza grandissima anche per la mia famiglia. Pensa che stiamo completando le operazioni per diventare cittadini americani. Mio figlio è praticamente americano dopo tanti anni a scuola là».

«Io amo tutti gli allenamenti ma mi sono goduto poche partite da Head Coach. Da assistente ho potuto godermele molto di più».

Sulla differenza tra Eurolega ed NBA…

«Devi decidere ad un ritmo superiore, non puoi sbagliare nulla in un lasso di tempo brevissimo. Non è meglio o peggio, è diverso. Là c’è meno senso del dramma legato alla partita, anche nei Playoff».

Su Popovich…

«E’ il migliore nel prendersi cura dei suoi giocatori».

Sul livello attuale della competizione…

«E’ il torneo più duro che ci sia. Dalla regular season, ai Playoff, fino alle Final 4: c’è tutto fino alla questione di vita o di morte sportiva finale».

Sulla sfida di Milano…

«Siamo realisti: l’obiettivo sono i Playoff. Se li faremo sarà un grandissimo obiettivo raggiunto. E poi competere in una Final 4 nei prossimi 3 anni»

Sui cambiamenti del gioco…

«Oggi c’è molto più in mano ai giocatori. Devi avere la gente giusta che sappia parlare ai compagni, cosa molto più importante di quanto non possa fare un coach. Gente giusta per avere la chimica corretta. Se non sanno stare insieme, se non giocano insieme, è durissima».

Sulle sue regole intransigenti…

«Avrei dovuto imparare da Pop ad essere un po’ più flessibile ma ho sempre le mie regole che voglio siano rispettate. Ed ho bisogno di giocatori che lo facciano».

 

 

 

 

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alberto marzagalia

Due certezze nella vita. La pallacanestro e gli allenatori di pallacanestro. Quelli di Eurolega su tutti.
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