L’anno che verrà e l’anno passato. Melli goes to Hollywood, Teodosic all’Aquafan e, naturalmente, Milano ed i suoi tifosi

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Durante il rinfresco natalizio redazionale mi era sembrato tattico imboscarmi il panettone e nascondermi nel presepe, ma il Direttore mi ha stanato lo stesso. Forse perché il presepe era in scala 1:50. Tant’è, il Direttore mi ha chiesto un bilancio annuale 2019, e un previsionale 2020, “a tuo modo”; espressione che credo significhi “un po’ a K…, che tanto a scrivere di basket in modo competente ci sono tutti gli altri”.

E allora via, con i cinque punti, partendo da lontanissimo per finire a Milano e ai suoi tifosi; insomma, come la sigla di Big Bang Theory. Il tutto, ovviamente, non per capodanno come richiestomi, ma appena in tempo per la Befana: del resto, nello scrivere a K c’è anche la totale assenza di puntualità.

 

Mondo. Il 2019 ha visto per la prima volta disputare (in Cina) un Mondiale in anno dispari. Anno dunque non bisesto ma comunque cestisticamente funesto, se mi é toccato assistere al trionfo di Rudy Fernandez, che come ormai sapete gradisco quanto i postumi di una scorpacciata di peperonata scaduta dal 1998.

Quanto all’Italia, si è celebrata la qualificazione ai mondiali dopo un paio di lustri e mezzo, dimenticando di ringraziare l’ampliamento a 24 squadre e le “finestre” FIBA che hanno cancellato la Croazia e la Slovenia di Doncic. E infatti in Cina, dopo aver superato le prestigiose rappresentative di Filippine e Angola (!), gli azzurri dapprima si sono stampati come Wil Coyote sulla muraglia serba, e poi sono riusciti a far resuscitare una Spagna fin lì traballante, lanciandola verso il titolo; per i nostri, l’ennesima delusione dal 2004 in poi.

Personalmente (per quanto ve ne possa importare), il mondiale resta comunque un godimento assoluto, avendo potuto assistere alla prima fase, e avendo avuto la fortuna di alloggiare nell’hotel delle 4 nazionali. Credetemi, ho visto cose che voi umani eccetera eccetera, come Jokic in mutande e ciabatte nel corridoio (decisamente, a parte l’altezza, non ha il fisico di un fenomeno NBA), e Bobanone Marjanovic accucciato per terra vicino agli ascensori per cercare di telefonare in pace, dimenticando che se Madre Natura ti ha disegnato come un elfo di 2 metri e 20 non puoi passare inosservato.

Nel 2020 ci aspettano le Olimpiadi, e quindi per la nostra nazionale il torneo preolimpico a Belgrado. Ovviamente ci saremo, sempre che Bobanone non riesca a ottenere una interdittiva contro quello stalker che lo ha tallonato praticamente fino in camera a Foshan. Facile immaginare come ci sentiremo durante la probabile finale Serbia-Italia, un po’ come “ma dovevamo proprio trascorrere le nostre vacanze visitando clandestinamente la Morte Nera?”.

In ogni caso, amici bolognesi, a fine campionato vi dispiacerebbe rinchiudere Teodosic ovunque riteniate? Discoteca, enoteca, birreria, Aquafan di Riccione, ma anche gli spogliatoi del Palafiera andrebbero benissimo. Poi, a inizio luglio, potete tranquillamente liberarlo. Grazie.

 

NBA. 2019. Poco prima di guidare la Spagna al titolo mondiale, “sei bellissimoScariolo si mette al dito (da vice-allenatore) l’anello NBA. Guardandolo nella foto che ritrae il tiro decisivo di Kawhi Leonard in gara 7 di semifinale, ogni italiano appassionato di basket ne trae orgoglio per la flemma e il raziocinio, in un contesto di folli; mentre il tifoso milanese-tipo trae conferma dei propri giudizi (?) maturati quando sedeva sul pino-Olimpia (“visto? Non si rende conto di nulla di quanto gli capita intorno!”).

Sempre con occhio strabicamente rivolto ai tricolori, la stagione 2019-2020 è quella del Nick goes to Hollywood, avendo Melli deciso -dopo crescita costante- il gran balzo dell’oceano. A quasi un terzo della stagione, ha una media di 5 punti in circa 15’: ogni augurio a un ragazzo che merita.

Allargando lo sguardo, dopo un MVP greco ci apprestiamo ad assistere ai successi -per ora individuali, poi si vedrà- di Luka Doncic. Gustando i suoi highlights, viene in mente Vlade Divac e il suo “non è impossibile giocare contro quei fisici: alla seconda finta sono tutti per aria e io posso tirare senza saltare”; solo che Luka ha anche il fisico.

 

Europa. Prima ancora dei trionfi -e dei più numerosi tonfi- il 2019 tramanderà il timeout in cui Obradovic in tinta rosso-porpora manda a “fu@@-off” l’intera squadra: proiezione obbligata in tutti i corsi di formazione aziendale, team building, coaching e classi elementari con didascalia “cosa succede se la maestra si arrabbia”.

Al capitolo “trionfi”, ovviamente Daniel Hackett che, da protagonista, solleva con il CSKA la coppa EL. Tra i tonfi, purtroppo Milano che nei primi mesi del 2019 vanifica la buona partenza precedente con un frontale contro un muro segnalato da ogni genere di avviso; emblematico del sereno clima di gruppo (molto più che del giocatore) il time-out durante il decisivo incontro con il Pana, con Mike James con le braccia conserte a metri di distanza, e Pianigiani che parla a non si sa chi senza batter ciglio.

Capitolo a parte per David Blatt, che in una lunga lettera informa il mondo cestistico (e non) della propria grave malattia, a ricordare che in campo è solo basket, meravigliosamente leggero rispetto a quello che può capitare nella vita.

Un unico pensiero per il 2020: ok, è anno bisesto, ma ti prego ti prego ti prego non una finale con Rudy da una parte e Ataman dall’altra. Ti prego…

 

Italia. Già a febbraio il 2019 consegna la coppa Italia a Cremona e a Meo Sacchetti, quello che “sì, divertente il suo basket, ma non potrà mai vincere nulla”. E invece…

Qualche mese dopo, nei 75 gradi di un Taliercio coerente con le peggiori profezie sul climate change, in gara-7 Venezia conquista il tricolore superando una Sassari a trazione italiana meravigliosamente trasformata da Pozzecco, al quale é mancato davvero pochissimo per smentire la tradizione per cui nessun “subentrato a stagione in corso” ha mai vinto lo scudetto.

Per il 2020 gli appassionati si godono gli effetti delle super-stelle appena arrivate nel nostro campionato, oltre alla splendida conferma di Sassari. Senza nulla togliere alla banda-Poz, il desiderio espresso alla befana è di una serie di finale play-off al meglio delle 21 tra il Chacho e Teodosic, ciascuno con 11 compagni scelti a caso come al campetto di via Dezza.

 

Milano. Capitolo dolente per il 2019: anno cominciato con l’Olimpia teoricamente ancora in corsa su tutti i fronti, ma con navigazione sinistramente simile a quella del Titanic, con orchestra festante e iceberg in avvicinamento veloce. Lo 0-3 inferto da Sassari in semifinale scudetto ha, se non altro, il merito di sancire la fine di un ciclo quasi decennale largamente inferiore ad attese e budget, con il definitivo saluto (oltre che di un Pianigiani mai entrato nei cuori biancorossi) di Sua Eleganza Proli.

Per questo, il 2020 rappresenta una svolta, in termini di impostazione, comunicazione e  prospettive: che non sono il vincere subito qualcosa, ma la costruzione di una piattaforma necessaria per competere stabilmente ad altissimo livello.

Discorso ostico per i tifosi milanesi, specie affetta da una singolare forma di “bipolarismo catastrofista con sindrome da rimpianto cronico”: il tempo per passare dalla quiete emotiva per una serie di vittorie alla più cupa disperazione per una sconfitta (o una vittoria faticosa) è misurato in micron. E nella disperazione si elevano ululati di nostalgia per chiunque abbia ormai spedito le labbra a un indirizzo nuovo, compresi tutti quelli vivacemente vituperati fino al giorno prima.

Ah, l’amour…

 

 

 

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