Scrimmage serio e di classe: #italbasket a valanga sulle Filippine

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Doveva essere la gara spauracchio per tante ragioni. Perché l’esordio è sempre delicato, perché c’era una preparazione a singhiozzo per due uomini chiave e perché, se mai non fosse bastato tutto ciò, Petrucci ci aveva messo un carico di pressione ulteriore con quel «voglio la finale» il cui significato e la cui utilità  francamente nessuno ha nemmeno lontanamente capito.

Poi a volte la notte è meno buia di quanto te l’hanno descritta ed allora ecco che le Filippine restano… le Filippine, un paese appassionato di basket alla follia, fin dagli anni in cui il giovedì sera il Palalido era “sold out” per i tornei tra tutti i cittadini asiatici che vivevano nel capoluogo milanese e non solo. Ma per un Mondiale ci vuole di più.

108-62: poco da dire. Azzurri che fanno il proprio dovere al meglio.

  • La gara finisce dopo la palla a due, se mai si pensava che potesse essere veramente un confronto aperto. Le sei sconfitte di fila, soprattutto quella con la Nuova Zelanda, ci avevano fatto pensare malissimo. Realismo ed equilibrio: queste sono le chiavi. In campo come nei giudizi. Troppe volte il sogno è diventato incubo ed altrettante abbiamo sottovalutato il fatto che qui c’è talento, anche tanto. Bisogna usarlo in 5, dando tutti qualcosa in più che sia anche non esattamente appartenente al proprio arsenale. Quello che arriverà dipenderà assolutamente da spirito di sacrificio, dal saper stare bene insieme (principio “datomiano” se ce n’è uno) e dal muovere la palla.
  • MVP è appunto quel movimento di palla, spesso notevolissimo. Vero è che tra skip e ribaltamenti vari spesso c’era davanti uno che donava generosamente 15cm, tuttavia se questa è la voglia di fare, un po’ di discesa la si può vedere. Soffrire a tratti la fisicità di Fajardo è un campanello d’allarme ed allora arriviamo ad un punto importante, ormai da fine luglio.
  • La nota tecnica più significativa è la volontà, spesso accompagnata dal buon risultato, di Paul Biligha di non fare arrivare la palla in post. Ovvio che non ci siano lì né Marc Gasol, né Boban Marjanovic, tuttavia è segnale di un percorso tecnico che si segue da Pinzolo. Poi, come dice Gigione, bisogna fare una fatica bestiale in 5, altrimenti con quelli forti è notte fonda.
  • Gli azzurri devono crescere ancora, non c’è dubbio, tuttavia pare lampante che vedere equilibrio e morbidezza nel rilascio di Gigi e del Gallo, tutto proveniente da una condizione e da gambe che salgono di livello, è molto confortante.
  • Meo Sacchetti alla vigilia aveva positivamente sottolineato un maggior coinvolgimento “vocale” di tutti i ragazzi durante gli ultimi due allenamenti. Ci piace pensare che sia un po’ la versione comunicabile di quel “darsele di santa ragione” che avevamo auspicato dopo la pessima gara coi volonterosi neozelandesi. La durezza mentale e quella fisica sono tutto ciò di cui ha bisogno questo gruppo, ormai da anni, dopo tante parole e poche soddisfazioni reali sul campo. Il Gallo a pugni chiusi verso Filloy, che ha mancato il colpo del +41 sulla sirena di metà gara, è un segnale che ci piace.

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alberto marzagalia

Due certezze nella vita. La pallacanestro e gli allenatori di pallacanestro. Quelli di Eurolega su tutti.
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