Ettore Messina, il condottiero di una Milano finalmente europea

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La notizia ha iniziato ad essere nell’aria nei giorni di Vitoria. La rivoluzione milanese nel nome della competenza, dell’organizzazione e della condivisione di responsabilità precisamente individuate necessitava di un profilo di altissimo livello. Se le prime voci, già dalle settimane precedenti, indicavano in David Blatt il candidato numero uno, il vero esordio della gestione di Leo Dell’Orco ha individuato in Ettore Messina l’uomo perfetto per una Milano che vuole finalmente essere competitiva a livello europeo e dominante in Italia. In pochi giorni, tra venerdì 7 e martedì 11 giugno, il cerchio si è chiuso e sono arrivate le ufficialità.

“Coach and President of basketball operations”. La formula è quella tanto nota in NBA, la traduzione dalle nostre parti è “carta bianca”, detto grossolanamente, oppure responsabilità della gestione sportiva legata al campo e fuori, per essere un filo più precisi.

Dopo progetti biennali regolarmente abortiti, seppur in alcuni casi con coach di notevole valore (in altri, no), l’Olimpia di Leo Dell’Orco parte forte e punta dritto all’obiettivo: Turkish Airlines Euroleague da protagonisti. Nei fatti, senza spazio per parole o scuse veramente pessime, come alcune di quelle recentemente “vissute”.

Ed è proprio l’ingaggio di Ettore Messina a certificare le ambizioni di una società che è sempre stata all’avanguardia per parecchie cose ma che ha troppo spesso sacrificato la pallacanestro sull’altare di una gestione che cozzava coi 28 metri del parquet.

Ma perché Etttore Messina, catanese che compirà 60 anni a fine settembre, è indiscusso numero uno in panchina?

LA CARRIERA

Dopo l’esordio, soltanto sedicenne, sulla panchina delle giovanili di Mestre, dove si è trasferita la sua famiglia, dal 1980 è responsabile di quel settore giovanile. Dall’82 è assistente di Massimo Mangano, dopodiché arriva la chiamata della grande Virtus di allora dove Ettore insegna sin da subito pallacanestro e poi lavora in prima squadra con personaggi del calibro di Sandro Gamba, Alberto Bucci e Bob Hill. Dal 1989 è “head coach” ed è subito Coppa Italia e Coppa delle Coppe. Nel frattempo, nel 1984, arriva anche un ulteriore successo, non secondario per capire la portata del personaggio, ovvero la laurea in economia e commercio a Ca’ Foscari.

Nel 1993 è tempo di Nazionale, dove viene votato miglior allenatore degli Europei del ’93 e ’95, prima dell’argento nel 1997, anno in cui si ritorna sin bianconero. E sarà gloria. Assoluta, totale.

Eurolega e Scudetto 1998, Coppa Italia 1999, prima dell’Olimpo raggiunto col Triplete del 2001: probabilmente una delle squadre migliori di sempre in Eurolega, col Maccabi di Anthony Parker ed il Panathinaikos del 2009.

Incredibilmente l’11 febbraio 2002, dopo un pesante rovescio con Pesaro, Madrigali lo esonera ed è sollevazione popolare che costringe il presidente al reintegro del Coach, perché Bologna è “la dotta” e lo è tantissimo in termini cestistici laddove comprende di quale gioiello sia in possesso.

Al ritorno è subito Coppa Italia, ma poi arriva la dolorosa sconfitta in finale, a Bologna, contro il Panathinaikos di Obradovic e Bodiroga, non esattamente d’accordo sulla tavola apparecchiata per il “repeat” del V nere.

Ettore va a Treviso dove è subito scudetto, Coppa italia e Supercoppa: in Eurolega arriva la sconfitta col Barça alle Final 4. C’è poi un’altra Coppa Italia nel 2005 prima di muoversi in direzione Mosca. Sono gli anni del grido di dolore inascoltato di Charly Recalcati sul futuro del basket italiano ed anche il biglietto di sola andata di Messina verde dovuto farci capire tanto di quel che sarebbe accaduto.

Il trionfo è dietro l’angolo: l’Eurolega vinta in finale col Maccabi senza David Andersen è un capolavoro, che sarà seguita dalla finale persa nel 2007 contro il Pana, in assenza di Vanterpool, sostituito da Torres….

Nel 2008 è ancora il Maccabi la vittima in finale, così come è sempre Obradovic a sconfiggerlo nella finale del 2009, la miglior edizione delle Final 4 di sempre, stando al parere dello stesso Zele e di Itoudis.

Le uscite dai blocchi di Trajan Lagnone, la leadership di JR Holden e la classe smisurata di Theodoros Papaloukas sono musica eterna per le orecchie di chi ama questo giochino. Come li mise insieme, li gestì e li fece crescere Messina è capolavoro assoluto.

Si va a Madrid e non è una grande esperienza. In un colloquio con Josè Mourinho il coach catanese è chiaro: «Non so se la stampa madrilena voglia che le squadre della capitale vincano o perdano». Saranno dimissioni e volo diretto a Los Angeles, sponda Lakers, come assistente di Mike Brown. Ironia della sorte, le dimissioni arrivano dopo una sconfitta con la Siena di Pianigiani: le loro strade hanno solo iniziato ad incrociarsi.

Un anno ai Lakers, un buon rapporto con Kobe, poi si torna a Mosca, dove però non arriva la gioia europea. Meno positiva della precedente questa esperienza sulle rive della Moscova.

A Popovich non si può dire di no ed ecco che nel 2014 inizia un quinquennio di grandi soddisfazioni e professionalmente straordinario. Tante tappe bruciate, primo europeo a dirigere una gara di stagione regolare e di Playoff, in assenza di Pop, ma la chiamata da head coach fatica ad arrivare, nonostante tantissime voci. «Il segreto di Pop, Manu, Tim e Tony? Non si prendono troppo sul serio». Parole di coach Messina ad Eurodevotion, settembre 2018.

E quando ancora si sta vociferando di un Messina su questo o quel pino NBA, ecco Milano, con un ruolo amplissimo ed una rinnovata ambizione: “Ettore is back”. Lo celebra l’eurolega, parlando del “ritorno di una leggenda” in un video dedicato, sogna Milano.

I PRINCIPI

La sua “motion offense” ha fatto scuola nel gioco e la tratteremo separatamente, ma sono i suoi principi a dettare legge, quelli che trasformano un gioco complicato come la pallacanestro in qualcosa di semplice, come va predicando da anni in tantissimi clinic.

La sua è una pallacanestro per giocatori intelligenti, perfetto “mix” di regole e creatività lasciata al singolo. Cura dei dettagli maniacale, gestione dello spogliatoio tanto equilibrata quanto decisa. In una parola, “coaching”. Quello vero. 

Il passaggio è chiave assoluta nel suo gioco. Quello che permette di azionare un attacco sempre propositivo e che lui vuole eseguito con un passetto nella direzione del ricevitore col piede del lato verso cui viene effettuato. Migliora l’angolo, mantiene l’equilibrio e riduce la distanza, attraverso la necessità di piegare le gambe un poco, perché le gambe tese nel basket non aiutano di certo.

Bisogna attaccare sempre, con o senza palla, per ricevere dove si può essere più pericolosi.

Mai tenere la palla in mano più di 4 secondi, è controproducente e linfa per la difesa. E sul “point five” di Popovich torneremo in occasione della “motion”.

E’ necessario ricevere la palla con gli occhi al ferro per capire la difesa ed imporre le proprie scelte. Al post è preferibile dare la palla con un passaggio schiacciato.

Il suo credo si basa sulla progressione didattica dell’insegnamento in allenamento. Mai correggere 10 cose, manderebbe in confusione e toglierebbe ritmo di lavoro. Nel momento di allenamento singolo si corregge l’atleta, che così non si sente imbarazzato di fronte al gruppo. Ettore è grande sostenitore del fatto che ci si debba applicare tantissimo per insegnare qualcosa perché c’è grande differenza tra sapere una cosa ed insegnarla. Bisogna essere logici nel processo di insegnamento e trasmissione del messaggio.

“SPACING” e “TIMING”: I CARDINI DEL GIOCO

Sono le basi della su pallacanestro. 

“Spacing”? Avere una posizione sul campo che permetta ai compagni di tirare, passare o tagliare senza esser di intralcio. E mai avere una posizione che permetta ad un solo difensore di coprire due attaccanti. Questione di vantaggi.

Utilizzare tutto il campo, da un angolo all’altro e da oltre l’arco fino alla linea di fondo, dove il coach vuole palla e uomini perché se si schiaccia lì la difesa ci saranno praterie poi per gli esterni. Passarsi la palla solo sull’arco porta a triple contestate, mentre dando la palla dentro si arriva a triple, o altri tiri, aperti.

“Timing”? Fare qualcosa mentre qualcos’altro finisce, passare a chi esce da un blocco mentre arriva, non quando è arrivato. La pallacanestro è un gioco di “WHILE” e non di “ONE AFTER THE OTHER”. Fondamentale!

Questa richiesta di precisione è probabile che porti ad errori iniziali di esecuzione, ma una volta assunti questi principi, la macchina viaggerà ad alta velocità e sempre sotto controllo.

Come correggere questi errori? Dandosi priorità, scegliendo quello che si vuol fare prima di qualcosa d’altro che verrà dopo. I principi di “spacing” e “timing” sono basi che creano anche facilità di correzione. Si parte da lì.

Mai vedere una difesa che reagisce all’attacco, bisogna far sì che sia la stessa difesa a cercare di imporre prima. Se vedo il difensore arrivare prima dove l’attacco vuole essere, la battaglia è vinta da lui. Se avviare il contrario, è vittoria offensiva. Se la difesa arriva insieme al pallone dal ricevitore, vuol dire che ha rotto il “timing” dell’attacco, che è proprio ciò che vuole.

Nella globalità del pensiero, Ettore ha sempre sostenuto di avere come obiettivo primario proprio quello di «aiutare i giocatori ad avere tutti insieme la stessa visione» che, se appunto condivisa, è base per la creazione di un team vero.

Sono solo alcuni principi cardine del credo “messiniano”, parte di quelli che hanno fatto sì che diventasse una leggenda di Eurolega, parte di un insieme che continueremo ad analizzare in questa estate di rivoluzione totale verso l’alto in casa Armani.

 

 

 

 

 

 

 

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alberto marzagalia

Due certezze nella vita. La pallacanestro e gli allenatori di pallacanestro. Quelli di Eurolega su tutti.
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