La Dinamo vola meritatamente in finale, l’Olimpia non è una squadra

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Al PalaSerradimigni si consuma il peggior fallimento  societario e tecnico dell’era Armani.

 

Si poteva attender qualcosa di diverso? No. Il gioco non mente ed in campo sono andate, perla terza volta in cinque giorni, due squadre che hanno mostrato intensità e voglia ben differente. Giusto che a prevalere sia chi ci ha messo di più, chi ci ha creduto di più, chi ha saputo limare il notevolissimo gap di talento: di straordinario, nell’impresa sassarese, c’è la semplicità dell’aver fatto tutto ciò che ci voleva e bastava per mettere sotto una “non squadra” di pallacanestro come l’Olimpia attuale.

Altra scalinata oltre i 100 punti per Pozzecco, sebbene con un tempo supplementare, tuttavia è cosa abbastanza normale contro una difesa che, a tutti livelli, non ha mai avuto risposte. Lo splendido ambiente dell’impianto ardo ha spinto i suoi “giganti” ad un passo veramente importante che permetterà di competere per il titolo nazionale per la seconda volta in 5 anni, dopo lo storico tricolore targato Meo Sacchetti nel 2015.

Del tutto inutile parlare di “maledizione del secondo anno” (o dell’anno dispari) per Milano. Questa squadra, anche senza Gudaitis e con qualche acciacco importante, è la più forte di gran lunga dell’era Armani e di conseguenza non vi è modo alcuno di trovare qualcosa di lontanamente paragonabile a quanto accaduto a Repesa e Banchi negli anni più recenti, senza andare al biennio di Scariolo.

I 5 punti di Eurodevotion sono  perfino tanti se riferiti alla gara di ieri, mentre ce ne vorrebbero 200 e più per analizzare la performance tecnica e societaria di Milano. Ma il giorno dopo non è tempo di processi, soprattutto quando le cose sono chiare, ad alcuni, da due anni, ovvero dall’inizio di un progetto che tale non è mai stato, che decollare non poteva e che ha soltanto saputo avvelenare il clima milanese, peraltro pubblico che ha avuto sin troppa pazienza di finte alle nefandezze propostegli.

I NUMERI

Totalmente imbarazzanti per l’Olimpia, rendono giustizia a Sassari ed al gioco.

Su 12 quarti giocati il Banco ha scollinato 8 volte oltre i 20 punti, fermandosi 2 volte a 19 ed una volta ciascuna a 15 e 16 punti. 36 punti in due supplementari sono una sentenza. I rimbalzi delle tre gare dicono 138 a 100 per i finalisti.

Milano ha tirato 106 volte da tre, segnandone 45, che è dato notevole ma tuttavia in pieno contrasto con la storia della pallacanestro: se questa è l’arma unica, buonanotte. Gli avversari si sono esibiti da dietro l’arco 64 volte, scuotendo la retina in 27 occasioni e dimostrando un maggior equilibrio di scelta che ha giustamente pagato.

Incredibile lo score da due punti: 117 tiri di Milano contro i 145 di Sassari. Netta la differenza qualitativa della pallacanestro, come già detto, solo figlia della semplicità del fare la cosa più giusta.

Nelle ultime 18 partite italiane Milano è 9/9, 3/3 in stagione regolare contro squadre da Playoff: abbinato all’1/5 di Turkish Airlines Euroleague, il record dice 10-14 negli ultimi tre mesi. Palese che la squadra si arrivata molto scarica, oltre che disorganizzata, al momento decisivo della stagione. Tutto ciò che è giunto in termini di risultati, ovvero il clamoroso “triplete al contrario”, è normale  e giusta conseguenza del rendimento.

NESSUNA RESILIENZA, E’ SOLO TALENTO SPRECATO.

E’ ora di mettere fine alla storiella della squadra che non molla mai e se la gioca fino in fondo per Milano. La realtà è ben diversa. C’è una tale dose di talento individuale nella squadra di Pianigiani che ha permesso di restare a contatto in tantissime occasioni nonostante l’assenza di organizzazione  di struttura cestistica. Se vi fosse qualche dubbio a riguardo, sarebbe sufficiente rivolgersi a tanti allenatori e chiedere loro se preferissero avere a disposizione James, Nedovic e Nunnally piuttosto che Smith, Spissu e Stefano Gentile… I quali però meritano un monumento, poiché hanno saputo, grazie alla fiducia del  loro coach, ridurre a nulla quella differenza di talento, esprimendo una compattezza di squadra che ha permesso di andare oltre i propri limiti e fornire prove, anche individuali, di altissimo livello. Si chiama pallacanestro ed è un gioco di squadra: quello che la Milano di Pianginai è stata tre o quattro volte in due anni. Questa volta non c’è stato un miracolo alla Goudelock e la casa di carta del coach senese è volata via con il suo nulla.

RASHAWN THOMAS

Giocatore di categoria i cui orizzonti sono ancora tutti da definire. Farà l’Eurolega, a breve o meno (delle sirene importanti abbiamo già accennato) ed avremo la grande opportunità di verificare quali sono i suoi reali limiti. Una maggiore continuità dall’arco è necessaria, mentre la ferocia a rimbalzo è dote che non passa certo inosservata a chi gestisce questo gioco ad alto livello. E l’interesse per lui arriva veramente dall’alto, come è giusto che sia.

LA DIFESA MILANESE E MIKE JAMES

Il capitolo sul giocatore di Portland va aperto separatamente ed è assai complicato. La tripla con cui la vorrebbe vincere da nove metri abbondanti è il riassunto preciso di quanto è stata la compagine biancorossa quest’anno: il tiro è assurdo, presuntuoso e per certi versi inaccettabile, ma è esattamente quello su cui è stata impostata la squadra dall’allenatore. Se ne sono viste a decine quest’anno di conclusioni simili, non è un caso, è la semplice “non organizzazione”.

Milano non tiene niente e nessuno dietro ed anche un presunto buon difensore come Brooks si fa battere in palleggio da Cooley, non esattamente Olajuwon… Le guardie non tengono un palleggio e Micov, professore davanti, è alunno indisponente dietro, dove viene battuto con regolarità da chiunque, grande o piccolo attaccante che sia. In ogni azione, dopo un minimo accenno di offesa avversaria, vi è superiorità automatica ed assoluta emergenza biancorossa: il solo Tarczewski non può arginare lo tsunami che gli regalano gli impalpabili compagni. Burns è una comparsa: così ha voluto il suo coach per otto mesi, non era nemmeno pensabile che potesse diventare attore le ultime tre settimane, non conoscendo il copione.

LA FINALE DI SASSARI

Meritata almeno tanto quanto voluta, è un’impresa già così. Ovvio che ora ci si aspetti il triangolino tricolore, con una domanda chiara e semplice: cosa accadrà alla prima sconfitta? La finale su 7 gare vuol dire alte possibilità che arrivi ed allora tutto l’ambiente, a partire da Pozzecco, dovrà essere maturo ad altissimi livelli per gestire l’anomalia di un evento che non accade da mesi. Difficile dire chi sia il cliente migliore per i sardi, se Cremona, con l’implicazione psicologica chiamata Sacchetti, o Venezia, più completa e con due lunghi che possono fare molto male a Cooley nonché Stone e Daye nella zona “calda” di Pierre e Thomas. Sarà una bella finale, sarà un altro capitolo di una storia meravigliosa che nessuno di noi avrebbe mai immaginato di leggere. Come appunto le storie più belle ed appassionanti.

 

 

 

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alberto marzagalia

Due certezze nella vita. La pallacanestro e gli allenatori di pallacanestro. Quelli di Eurolega su tutti.
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