David Moss: La Milano di Banchi era un gruppo straordinario. Brescia una piacevole scoperta

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A pochi giorni dalle Final Four 2019 in programma a Vitoria abbiamo avuto il piacere di scambiare due chiacchiere in esclusiva con il capitano della Germani Basket Brescia, David Moss, che ha vissuto le emozioni di questo evento nell’annata 2011 in quel di Barcellona con la maglia della Montepaschi di Siena.

Nel 2007 arrivi per la prima volta in Italia, a Jesi in A2, dove incontri coach Andrea Capobianco che ti porterà con sé a Teramo l’anno successivo nella massima serie. Che cosa ha rappresentato per te questa figura?

«Grazie a lui ho avuto l’opportunità di farmi conoscere in Italia: è una grande persona, oltre che un professionista serio ed un buon allenatore. Siamo tuttora in contatto e non smetterò mai di ringraziarlo per quello che ha fatto per me».

Arriva poi l’avventura alla Montepaschi di Siena. Come hai vissuto la chiamata da parte di un club, in quegli anni, così prestigioso e vincente?
«Dopo un anno in prestito alla Virtus Bologna, ho avuto l’occasione di tornare a Siena e, complice l’infortunio di Malik Hairston, ho trovato il mio posto nelle rotazioni guadagnando sempre più spazio. Fin da subito c’è stata grande chimica, in particolare con il mio compagno Bo McCalebb. Sono contento di aver vissuto questa avventura: dopo tre anni con la maglia di Siena sarei rimasto volentieri con loro, ma poi è andata diversamente».

Qual era, secondo te, il segreto di quel gruppo?

«La continuità. In tre anni ho giocato quasi sempre con gli stessi giocatori: hanno costruito uno zoccolo duro di 10-12 uomini cambiandone solo un paio. Credo che non rivoluzionare un roster sia la grande forza di tante squadre europee, come ad esempio il Real Madrid o il Fenerbahce che hanno cambiato pochissimo il proprio organico nel corso degli anni».

Con la maglia della Montepaschi, oltre ai trofei vinti in Italia, hai anche disputato le Final Four di Eurolega. Come vive un giocatore questo evento?
«Mi reputo molto fortunato per aver vissuto questa esperienza, che nella vita di un giocatore è qualcosa di incredibile e bellissimo per due ragioni: la prima è che con la tua squadra ti giochi l’opportunità di essere campione d’Europa; la seconda è che la qualità della pallacanestro è altissima. Per me giocare a questi livelli significa anche avere una spinta per dare ancora di più».

Hai seguito l’Eurolega quest’anno?

«
Sì. Devo dire che lo Zalgiris Kaunas di coach Jasikevicius mi è piaciuto molto per come ha espresso il proprio gioco, ma il Fenerbahce è la mia preferita e sono un grande fan di coach Obradovic, che stimo molto come allenatore. Apprezzo il suo modo di gestire la squadra: se giochi bene, allora rimani in campo, se fai un errore sei “perdonato”, se ne fai due ti siedi in panchina. E’ un modo di fare che a me piace, simile a quello che ho trovato a Siena: questa mentalità mi ha aiutato molto nella mia carriera, per spingermi a farmi trovare sempre pronto».

Daniel Hackett e Nicolò Melli: due tuoi ex compagni di squadra ai tempi di Siena e Milano, giocheranno le prossime Final Four di Eurolega a Vitoria con le rispettive squadre. Farai il tifo per loro?
«Sicuramente! Ho grande stima di entrambi: Daniel l’ho visto crescere a Siena in un solo anno, mentre Nicolò ricordo di averlo affrontato per la prima volta in A2 quando giocava a Reggio Emilia, quindi sono rimasto impressionato dalla sua evoluzione come giocatore. Ai tempi di Milano era ancora un po’ acerbo, ma stava già capendo come migliorare: adesso, è uno dei top player in Europa e sono molto orgoglioso di lui. Spero che entrambi i “miei” ragazzi abbiano successo».

Nel 2014 firmi con Milano. Che stagione è stata quella del 2013-14, nella quale siete arrivati ad un passo dalle F4 pur non partendo tra i favoriti?
«E’ stato un peccato. Ma dico la verità: da parte mia c’è stata più che altro delusione per il modo in cui è stato trattato coach Luca Banchi, ed il suo team, da parte di Milano. Dopo aver conquistato uno scudetto a distanza di 18 anni dall’ultima volta ed esser arrivati ad un passo dalle Final Four di Eurolega, alla fine dell’anno successivo il club ha deciso di smantellare squadra e staff: per me non ha avuto senso. Questo mi ha deluso molto, eravamo una buona squadra, di talento e specialmente Banchi era un grande allenatore».

Rispetto ad altre squadre come Fenerbahce, Real Madrid e CSKA, che hanno mantenuto lo stesso nucleo di giocatori, pensi che, se anche Milano avesse puntato di piĂą su gran parte di quel gruppo, forse sarebbe arrivato ad ottenere risultati migliori?

«Credo che a Milano sarebbe servita più continuità per arrivare a centrare obiettivi più importanti perché, come accade in ogni squadra, ripartire da zero non è facile e per costruire la giusta chimica ci vuole del tempo».

Dal punto di vista del modo di giocare, trovi che il sistema di gioco impostato da coach Simone Pianigiani a Milano sia lo stesso utilizzato ai tempi di Siena?

«Simone è un mio amico, lo seguo ovunque vada e gli auguro il meglio. Non è cambiato e il suo gioco è rimasto più o meno uguale: pick and roll, side pick and roll e top pick and roll, playmaker con la palla in mano: trovo delle similitudini tra il modo di giocare di Mike James e quello di Bo McCalebb e Terrell McIntyre. E’ un buon sistema e funziona, ma allo stesso tempo se non hai giocatori di talento diventa difficile gestirlo, perchè al giorno d’oggi la maggior parte dei giocatori ha bisogno di avere il pallone tra le mani. Milano ha uomini con queste caratteristiche e di livello, come James, Jerrells, Nedovic o Micov, che si adattano bene a questo tipo di sistema. Penso che l’Olimpia abbia disputato una buona annata in Eurolega. Cos’è mancato? Direi Gudaitis. Ha un grande impatto sul gruppo e averlo perso ha influito parecchio: Tarczewski è un buon giocatore ma non rende così bene spalle a canestro. Comunque non dev’essere una scusa, con 15 giocatori a disposizione…».

Nel 2016 arriva la chiamata di Brescia. Come è nata la trattativa?

«Nell’estate 2015 il mio agente aveva contatti giornalieri con l’Olimpia Milano, per capire quale potesse essere il mio futuro. Ero in un limbo: dicevano di volermi tenere, ma prima avrebbero dovuto scegliere il nuovo coach e poi parlare del mio contratto. E’ arrivato Jasmin Repesa, che però non mi ha voluto e quindi non mi hanno rinnovato. A dicembre c’è stato un contatto con il Lokomotiv Kuban. La cosa più esilarante di questa vicenda è che mi sono dovuto allenare tramite FaceTime, non so come si possa esaminare qualcuno così, ma l’ho fatto. Non se n’è poi fatto più nulla perché nel mese di gennaio mi hanno detto che avrebbero firmato con Matt Jenning. Onestamente, il mio obiettivo era quello di unirmi ad una squadra di Eurolega, ma a marzo quando è arrivata la chiamata di Brescia ho accettato. Sono arrivato con la mia solita mentalità, non avevo molte aspettative e mi sono detto: farò del mio meglio e vediamo cosa succede. Abbiamo vinto le ultime 3-4 partite di regular season, poi sono arrivi i play off, dove abbiamo dovuto lottare fino in fondo, ma ce l’abbiamo fatta».

In pochi mesi sei entrato nel cuore del popolo bresciano e sei diventato capitano della squadra, un ruolo diverso rispetto a quello che ricoprivi a Siena. Cosa significa per te rappresentare una cittĂ ?

«Durante l’ultimo anno a Siena tutti mi chiamavano capitano quindi, a dire il vero, non è stata la prima volta in quel tipo di ruolo. La principale differenza è che qui a Brescia c’erano tante aspettative. Il mio modo di essere non è cambiato, cerco sempre di dare tutto me stesso per la squadra e il buon esempio».

Parliamo di quest’ultima stagione con Brescia: che anno hai vissuto? «Per me, e credo per il club, è stata una stagione da cui prendere spunto e imparare. Quest’anno le aspettative erano molto alte e arrivando da una stagione strepitosa come quella dello scorso anno non era facile riconfermarsi ad alti livelli, anche perchè quasi l’intera squadra è cambiata. Grande merito va comunque dato a coach Andrea Diana per essere riuscito a rinnovare il gioco in attacco ed in difesa. Ad agosto, quando abbiamo iniziato la preparazione eravamo senza i tre Nazionali Sacchetti, Vitali e Abass e, come accade per tutto, ci vuole tempo per costruire la giusta chimica. Inoltre abbiamo dovuto affrontare l’Eurocup ed avendo ragazzi giovani non abituati al doppio impegno abbiamo patito qualche difficoltà, ma sappiamo già come dovremo affrontare la prossima stagione».

Come ti vedi invece tra dieci anni?
«Proprietario di uno o due ristoranti, ma vorrei anche rimanere coinvolto nel mondo del basket. Non so ancora se come coach o general manager, ma comunque vicino alla pallacanestro. Perché è parte del mio essere».  

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