Maurizio Gherardini: L’Italia forse sta iniziando la risalita ma è inutile pensare ai tempi andati

denizzaksoy
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A meno di due settimane dalle Final 4 di Vitoria abbiamo incontrato Maurizio Gherardini nella splendida cornice della Ulker Sports Arena.

Una conversazione su tanti temi attuali, ivi compresi i diversi problemi che attanagliano il basket, sia italiano che, a livello diverso, europeo.

– L’obiettivo principale della stagione era confermare la partecipazione alle Final 4. Detto, fatto! Peraltro con un record molto migliorato. Ora chiaramente si può pensare solo alla vittoria?

Ho sempre pensato che accedere alle F4 rappresenti un marchio di qualità per chi ci arriva, poi il sistema delle stesse F4 crea un’atmosfera affascinate per imprevedibilità in cui non si sa chi è il favorito e chi è la cenerentola. Bisogna approcciarle in modo consistente, perché oltre alla tecnica ci sono diversi elementi che entrano in gioco. Ad esempio gli infortuni quest’anno per noi sono determinanti, ma sono parte del gioco e devi essere pronto a conviverci ed a gestirli. Siamo felici di esserci, con la fame di ottenere di più: bisogna essere pronti per la sfida, ma siamo in quattro ad avere lo stesso desiderio , oltretutto in un formato con gara secca, che è differente da una serie a 7… E’ fondamentale essere pronti, il resto verrà di conseguenza.

– Come giudichi il vostro percorso nella stagione 2018/19, in qualità di architetto principale di questa squadra?

Il nostro record parla da sé. Siamo molto contenti di quanto fatto sul campo e fuori. A volte non mi aspettavo nemmeno una tale consistenza ripetuta nei mesi. Siamo stati pronti sin dall’inizio.

– Coach Obradovic ci ha detto che uno dei motivi fondamentali del miglioramento in stagione regolare è stata la conferma di buona parte del roster. Le numerose estensioni contrattuali di questi giorni sembrano confermare la vostra politica. E’ così fondamentale per aver successo in questa pallacanestro?

Il business cestistico si complica sempre di più, non solo per noi. Tenere un gruppo di giocatori è difficile per il gap finanziario col mondo NBA ma anche con mercati inattesi come la Cina. I giocatori ovviamente vogliono esplorare ogni possibilità nella loro carriera, è un loro diritto. Quest’anno siamo riusciti a farlo, magari a fine stagione arriva qualche atleta con contratto e ci dice che vuole esercitare la sua opzione per uscirne… Non sai mai cosa attenderti, di certo abbiamo fatto un buon lavoro con le conferme, tuttavia ovviamente il futuro ci riserverà il dovere di fare aggiustamenti e cambi qua e là.

– Cosa pensi si potrebbe fare in Eurolega e cosa potrebbero fare le squadre coinvolte per ridurre il gap con le tre dominatrici Cska, Real Madrid e Fenerbahçe?

Credo che quello che chiamiamo gap sia più una percezione che una reale dimensione. Se guardiamo ai Playoffs, troviamo uno Zalgiris che ha vinto ad Istanbul, ha lottato con noi ed avrebbe potuto rifare le Final 4, un Baskonia che dopo la W di Mosca ha giocato alla pari in casa ed è caduto solo nel finale con il Cska. Barcellona ed Efes hanno combattuto sino all’ultimo possesso. Forse ci si attendeva maggiore equilibrio nelle serie tra Real e Pana ma anche lì, se i greci avessero completato l’impresa in gara 1, staremmo forse parlando di un Playoff tiratissimo. A poche giornate dalla fine della stagione regolare 12 squadre erano ancora coinvolte nella corsa Playoff, con sei a lottare poi per due posti. Credo che quest’anno dimostri come tante squadre siano migliorate, come roster e come organizzazione: pensa all’Efes dello scorso anno ed alla crescita attuale. 

– Passando ad una questione più finanziaria ed organizzativa, a livello di esempio, se le entrate di un club sono 100, i salari dei giocatori non dovrebbero superare il 65% di quel totale. Cosa ne pensi?

Credo che a tutti i livelli quello che vada inseguito con grande attenzione sia la sostenibilità, con un minor progressivo ricorso alle finanze dei proprietari. Strutture più omogenee, meglio organizzate e che possano migliorarsi con dei costi che siano affrontabili. I numeri di Eurolega crescono positivamente in termini di pubblico, di entrate, di sponsor: l’unico numero che deve appunto cambiare è quello delle iniezioni di capitali necessarie dai proprietari dei club. Dobbiamo trovare la via per ridurre i costi o meglio aumentare le entrate. L‘obiettivo principale di Turkish Airlines Euroleague è di arrivare ad un prodotto già eccellente sul campo che però sia sostenibile. Facendolo dai un futuro al movimento. Noi siamo fortunati al Fenerbahçe, come il Real, come il Barça, pensando ai contributi del club che alle spalle ha anche il calcio.

– 30 milioni di tifosi, Obradovic, Ali Koc, Gherardini: che descrizione ci dai del tuo Fenerbahçe che vivi quotidianamente?

Sentiamo un incredibile sostegno, un amore incondizionato sette giorni la settimana. E’ una sensazione straordinaria. Tre anni fa rimasi esterrefatto  quando giocammo a Brooklyn e trovai il Barclay Center con 7500 tifosi vestiti di giallo e di blu: incredibile, eravamo dall’altra parte del mondo ma la passione era immutata. Avere un presidente come Koc, un allenatore come Obradovic è un chiaro messaggio ai tifosi: state con noi perché noi diamo il massimo per voi. E’ una sensazione speciale che sottolineano anche gli amici che incontro in giro per l’Europa e possono vedere come i tifosi del Fenerbahçe siano ovunque. E’ unico.

– Toronto ed Istanbul, i Raptors ed il Fenerbahçe: ci sono similitudini?

E’ un modo diverso di approcciare l’evento sportivo, ma una cosa in comune c’è ed è la fede nelle loro squadre. Anche a Toronto ero sorpreso dall’affetto dei tifosi, che però qui è un abbraccio totale ed incessante, mentre là è più relativo al giorno della gara.

– Quale squadra e quale giocatore ti hanno stupito di più nella stagione NBA?

Ci sono i Playoffs, quindi sono giudizi parziali, però Milwaukee di certo, così come Portland. Uno dei ragazzi che è cresciuto di più è D’Angelo Russell, con la sua sorprendente e miglioratissima Brooklyn. Oggi forse Jokic è il giocatore più intrigante e decisivo nei Playoffs: è europeo e non ha un solo minuto di Eurolega. Doncic ha fatto faville e tutto ciò conferma l’importanza del basket europeo in NBA. Tornando a Luka, c’era un po’ di scetticismo in America ma ha dimostrato di essere un grande giocatore perfettamente adattatosi al sistema di gioco NBA. In generale, comunque, stagione molto interessante.

– Sei noto come il numero uno nelle studio e nella selezione dei giocatori. C’è un segreto?

Non è un segreto, è solo la passione di vivere per il gioco che ami ed in cui lavori. Fare il meglio ed essere consapevole che farai comunque degli errori, che sono inevitabili. Sono fortunato a vivere questa passione e devo farlo 24/7 per 365 giorni. Contatti, informazioni, giudizi di gente di cui ti fidi: mettere tutto insieme per aver una visone globale. Devi essere curioso per dare qualità al tuo lavoro. Cercare di crearsi una base di informazioni per oggi e per domani. ma parte tutto dalla volontà e dalla passione.

– Quali differenze, o similitudini, trovi tra la lega turca e quella italiana?

In Italia Milano ha probabilmente un budget tre volte superiore agli avversari, ma non è comunque sicura di vincere perché il livello medio è forse superiore a quello turco. Di contro, qui ci sono più squadre di alto livello con una differenza più marcata con quelle di livello inferiore. Certamente in Turchia ci sono personaggi di maggiore impatto come ad esempio i coach, così come gli investimenti sono superiori. Tutti stiamo vivendo in un momento complicato qui, che si riflette nell’economia del basket. Nessuno era contento di iniziare la stagione con 15 squadre e nessuno lo è oggi visto il livello di alcuni roster a fine stagione. I club combattono per sopravvivere. L’Italia potrebbe per certi versi aver visto la parte più bassa della curva e sta forse, molto, molto lentamente risalendo. Inutile pensare agli anni d’oro con tante squadre vere protagoniste in Eurolega, sono tempi andati. 

– Come può crescere il movimento italiano?

La LBA è andata in una direzione abbastanza strana, allargando a 18 squadre in questo momento. Si torna a prima: se non cerchi sostenibilità hai un problema. Oggi ci sono tantissime situazioni delicate, non si sa cosa possa succedere in diverse società. La gente sta realizzando che la situazione è pesante e quindi le società stanno capendo che i costi vanno ridotti e che gli errori possono incidere molto. Dove poi vi è un problema notevole è a livello di strutture. In Turchia trovi arene ottime ovunque, a parte i grandi impianti di Istanbul, mentre in Italia gli ultimi palazzi costruiti, escluso Torino che è stato fatto per le Olimpiadi, sono Pesaro e Milano, ovvero fine anni ’80 inizio anni ’90. Parliamo di 30 anni fa. Non ci sono palazzi di qualità e non c’è margine per creare nuove strutture. E’ una situazione molto complicata perché da un lato delle strutture adatte ti permetterebbero di sviluppare un business con entrate superiori, dall’altra il fatto di non avere queste stesse strutture ti obbliga ancor di più a cercare quella sostenibilità di cui abbiamo parlato. 

– La serie durissima contro lo Zalgiris ha ancora una volta messo in luce le grandi doti di Sarunas Jasikevicius: cosa ti impressiona maggiormente del suo modo di allenare?

E’ molto simile ad Obradovic e non è un segreto il grande legame tra i due:  da suo giocatore era già studente dei quel tipo di sistema e di stile di gioco. Attualmente ha dimostrato di essere l’allenatore più eccitante tra quelli europei: i club NBA lo cercano, non è una sorpresa. Ha fattori importanti nel suo essere un allenatore: è stato grande giocatore, ha conosciuto la NBA, parla un inglese perfetto ed è abbastanza umile da capire che è ancora nel processo di apprendimento. Ho avuto l’opportunità di passare del tempo con lui e con Zeljko e devo dire che il solo ascoltare le loro conversazioni sulla pallacanestro sia estremamente interessante. Sono due menti creative e non sarei per nulla sorpreso se Saras raggiungesse il massimo livello in panchina.

–  In un’intervista hai dichiarato che dopo Istanbul non ci sarà la NBA nel tuo futuro, ma vorresti tornare a Treviso. C’è per caso un futuro prossimo con Maurizio Gherardini di nuovo al lavoro in Italia?

Ho espresso quel parere pensando ad un modo diverso di vivere la passione per il gioco. Ho avuto la fortuna di vivere esperienze straordinarie tra Benetton, NBA e Fenerbahçe. Non si sa mai cosa possa riservarti il futuro, ma certamente un giorno anch’io avrò voglia di vivere la pallacanestro in un modo più rilassato, con meno pressione e responsabilità, godendosi solo la natura del gioco che amo di più. Tuttavia sento ancora il sacro fuoco di restare a questo livello e di viverla così: vediamo come vanno le cose, ma è bellissimo non perdere questo desiderio adrenalinico. Se lo perdi, le cose cambiano, ma finché c’è sono felicissimo ed è fantastico perché posso anche condividere questo messaggio di passione con le nuove generazioni e rendermi utile alla trasmissione dell’amore per il gioco.

Come già accaduto in altre occasioni, l’impressione finale che una chiacchierata con Maurizio ti lascia è quella della passione totale verso il gioco e della ferma volontà di trasmetterla a chi ne fa parte.

Un patrimonio di cui  la pallacanestro italiana dovrebbe riappropriarsi al più presto, perché è attraverso queste menti creative ed appassionate che si può risollevare l’intero movimento.

 

 

 

 

 

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