Gli infortuni in Eurolega tra realtà, opportunità ed alibi

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E’ inutile negarlo, gli infortuni hanno giocato e giocano tutt’ora un ruolo determinante in questa competizione, come peraltro nello sport in generale.

Si lavora in estate alla costruzione di un roster, si pensa ad un percorso tecnico, spesso si affidano le chiavi della squadra a determinati atleti e poi accade che nello spazio di pochi secondi, tutto vada all’aria perché un muscolo, un’articolazione od un osso dicono stop. Crudele e beffardo, ma i grandi sanno come fare, perché sanno che tutto ciò è semplicemente parte della competizione. Pianti e rimpianti sono solo bagaglio del perfetto perdente.

E se di grandi vogliamo parlare, un esempio ci chiarisce tutto: il Real 2017/18. Massacrato sin della tarda estate, col ginocchio di Llull, poi Kuzmic, che ancor oggi non si è ripreso, per passare attraverso lunghi mesi senza Randolph e Ayon. La reazione di Pablo Laso? «Giochiamo con chi abbiamo disponibile e lavoriamo per recuperare al meglio tutti i nostri giocatori. Inutile pensare a chi non c’è». Il risultato? I coriandoli a Belgrado erano di colore “Blanco”.

Dopo 29 turni di questa stagione, limitandoci a chi avrebbe dovuto od è stato poi effettivamente coinvolto nella lotta playoff, escludendo quindi le prime 5 e le ultime tre, chi ha avuto i problemi maggiori?

Il Bayern ha dovuto rinunciare per 15 gare al suo centro titolare Devin Booker.

Il Khimki, reduce dai PO, è stato per 15 giornate senza Shved, 16 senza Gill e 2 senza Markovic e Mickey.

Il Baskonia, tristemente, comanda questa classifica. 17 gare di assenza per Granger, 14 Shengelia, 16 Garino e 4 per Janning, senza contare chi è sceso spesso in campo per onor di firma, come il tiratore ex Siena.

Lo Zalgiris ha rinunciato 12 volte a Jankunas e Kavaliauskas, 7 a Westermann, 11 a Birutis e 6 a Wolters, da lungo tempo alle prese con guai che ne limitano l’impegno al 100%.

L’Olympiacos di Blatt è sceso in campo senza Spanoulis 4 volte, che diventano 9 per Strelnieks, 7 per Bogris, 4 per Toupane e 2 per Milutinov, anche quest’ultimo vittima di diversi guai che ne amplificano ancor di più la stagione super giocata.

I cugini del Pana sono stati per 8 gare senza Langford e Lojeski, 5 senza Papapetrou e 3 senza “Flash” Antetokounmpo.

L’Olimpia Milano, al netto di un Brooks che gioca sul dolore da diverso tempo, ha dovuto rinunciare a Nedovic per 15 partite, a Tarczewski per 6 ed a Gudaitis per 8.

Meno assediato il Maccabi, con sole assenze per Kane (4) e Cohen (5).

Si potrebbe disquisire per ore sull’importanza maggiore dell’uno o dell’altro stop, tuttavia pare assai equilibrato sostenere che tutte le squadre elencate siano state colpite discretamente dagli infortuni, chi prima, chi dopo. Ovvio che vi siano tempi diversi e situazione tecniche differenti. Ad esempio uno Shved incide clamorosamente per il modo di giocare e la struttura della squadra, tuttavia Bartzokas ne gestì inizialmente l’assenza al meglio. Un Nedovic, nell’ambito di una Milano che gioca sulle individualità, è perdita notevole, al pari di un Gudaitis, sempre capace di rovistare nella spazzatura della gara opportunità che non gli venivano create.

L’aver limitato l’analisi alle squadre coinvolte nella lotta Playoff non deve far dimenticare i guai, molto seri avuti anche dalle big. Su tutti il Fenerbahce, con Sloukas fuori in 3 gare, Vesely in 4 e Lauvergne in 7.

Non è infine da sottovalutare l’importanza degli staff, dove preparatori e medici devono essere all’altezza. Non tutti sono allo stesso livello, tanto che fioccano le polemiche, anche da parte degli atleti stessi, sulle modalità di preparazione ed, eventualmente, di recupero dagli infortuni. Vi sono parecchi esempi di ricadute o di valutazioni errate dello stato fisico dei giocatori che ne hanno suggerito un affrettato impiego piuttosto che l’accantonamento in fase di mercato.

Ed è proprio partendo dai turchi del Fenerbahce che si può concludere l’analisi poiché è chiaro che in presenza di un sistema di gioco organizzato, efficiente e che va oltre i singoli, seppur straordinari, come quello di Obradovic, si capisce come il problema infortuni possa essere gestito assolutamente. Se deve diventare un alibi precostituito per giustificare manchevolezze che stanno altrove, beh allora semplicemente ci arrendiamo di fronte ad un messaggio che è psicologicamente deleterio per l’ambiente, la squadra ed il club tutto.

L’esempio Real citato è ulteriore, palese dimostrazione di come un problema, grande e serio che sia, divenga una forza interiore clamorosa che eleva il rendimento di tutti. Un’opportunità che deriva dalla sofferenza, una crescita comune che ti porta al livello più alto. Cosa ne segue è scritto nell’albo d’oro della competizione. Bastava guardare quelle facce a Belgrado, erano tutte lì a dire “abbiamo sofferto insieme, abbiamo superato tutto insieme, oggi siamo più forti e lo dimostreremo al mondo”. Il giovedì, nell’incontro con la stampa, era chiaro già a tutti chi avrebbe vinto l’Eurolega.

Questa rimane una “lega di allenatori” ed infatti, nella stragrande maggioranza, abbiamo visto gestioni del problema infortuni, da parte dei coach migliori, assolutamente perfette, sfruttando al meglio ciò che si aveva senza piangersi addosso.

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alberto marzagalia

Due certezze nella vita. La pallacanestro e gli allenatori di pallacanestro. Quelli di Eurolega su tutti.
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