Mike James è un alieno, l’Olimpia Milano è da Playoff

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Ci sono partite che sono da vincere e basta, ci sono serate in cui l’estetica sparisce per importanza di fronte all’efficacia, ci sono momenti della stagione in cui non si fanno prigionieri. La vittoria dell’Olimpia sul “reds” del Pireo è tutto ciò, poi… poi c’è Mike James. Che appartiene ad un altro livello e si trova nel contesto ideale: il pubblico, esaltato, ha cantato “MVP”. Molto difficile oggi non essere d’accordo. Se poi lo si pensa da cinque mesi…

La gara del Forum ci ha regalato almeno 25-30 minuti di orrore tecnico. Francamente capire quanti fossero i meriti delle difese piuttosto che i demeriti degli attacchi, in almeno tre dei quarti giocati, è cosa molto complicata. Se è chiaro che vi fosse una preparazione tattica maniacale dietro questa sfida, è altrettanto vero che alcune perse, tantissimi possessi trascinati nel nulla ed una serie di errori individuali impensabili a questo livello non siano cose che si vedono spesso in Turkish Airlines Euroleague.

MVP ! MVP ! MVP !

Non c’è nulla da aggiungere: oggi Mike James è il giocatore più decisivo ed importante di questa lega. I  numeri del fenomeno di Portland sarebbero sufficienti a chiudere qui il discorso, ma è propio l’impatto sulla propria squadra a determinante ancor maggiormente la scelta per quel premio. Chiaro, non arrivassero i Playoff il discorso cambierebbe, ma oggi non c’è gara con nessuno. Diceva bene Pianigiani in sala stampa (ci torneremo per altre cose meno chiare e condivisibili): «Ci sono giocatori a cui piace vincere, altri che fanno tutto ciò che serve per vincere. Mike è uno di questi». Sfacciato, titolare di ego decisamente oltre la norma, con l’intrinseca certezza di essere “qualcosa di più”. In ogni momento della gara la sua faccia non cambia e sul volto, spesso inesplorabile a livello emozionale, è dipinta la ferocia di chi sa di essere qui per fare qualcosa che è sì straordinario, ma perfettamente nelle sue corde. Il sistema milanese,  spesso deficitario a livello di organizzazione di squadra, è assolutamente perfetto per un giocatore del genere. «Non so cosa ci faccia qui, è un giocatore NBA fatto e finito» ci diceva un noto giornalista un paio di mesi fa, durante una delle sue gare meno appariscenti. Quello che sta facendo Mike James per l’Olimpia Milano oggi è paragonabile solo alla stagione di Alexey Shved che ha portato il Khimki ad un possesso da gara 5 dei Playoff lo scorso anno contro il Cska. E come spesso accadde, anche il buon Alexey è fenomeno che divide. E’ normale, perché la genialità divide, soprattutto chi, come noi comuni mortali, non ha tutti i mezzi per comprenderla.

Blatt ed un Oly in grande difficoltà

«Abbiamo mosso la palla, abbiamo solo tirato male». Coach Blatt, per il quale proviamo una giustificatissima venerazione che nacque in quel 2007 in cui la sua Russia si rese protagonista della più grande impresa cestistica della recente storia della pallacanestro, tenendo la Spagna dei fenomeni a 59 e vincendo l’Europeo, in questo caso non ci convince. La nostra domanda che tocca il tema di uno scarso ritmo in attacco dei suoi, probabilmente ha colpito nel segno. Il 12,5% da tre, peraltro su soli 16 tentativi, è molto merito della difesa sul perimetro di Milano, ben oltre il suo livello medio. Ma il 22/48 da due grida vendetta, perché in quel numero vi sono almeno 10-12 conclusioni sbagliate, e non di poco, che palesano una difficoltà di lettura e ritmo. Strelnieks è il giocatore più importante dell’Oly, numeri alla mano, Spanoulis è il leader: le attenuanti ci sono, ma non bastano in questo caso. E’ parso addirittura che in certi frangenti la palla si sia mossa troppo, cercando quell’ulteriore “extra-pass” che in realtà era solo un “passare un tiro aperto”. Mancanza di tranquillità? Può essere, viste alcune facce ateniesi. Ma attenzione, perché se c’è un uomo che sa far svoltare una situazione come questa, beh… il suo nome è David Blatt.

I meriti di Pianigiani

La difesa molto efficace sul perimetro, come si diceva, è stata la chiave. E lo è stata proprio perché ha finalmente dato il via ad una serie di rotazioni attive e non passive, volte a togliere e non a subire. La gestione di Mike James è tornata ad essere di notevole intelligenza e sagacia, come lo fu ad inizio stagione, prima di crollare nella serie di sconfitte. Jeff Brooks è più di un ministro della difesa, è l’equivalente dietro di quanto sia James davanti: l’asse di Milano è questa, oggi. Il coach senese ha gestito rotazioni e partita alla perfezione. E magari lo riconoscono anche i “professori”, quelli verso i quali si è tolto qualche sassolino (o macigno…). Coach, però, provi a pensarci: confrontarsi con chi magari prova a leggere una brutta rotazione o ritiene l’attacco troppo spesso legato ai singoli non sarebbe la cosa migliore? Siamo certi che sia d’accordo.

La qualità e la corsa Playoff

Esteticamente, almeno secondo i canoni del gioco odierno, Milano è stata molto più brutta ieri sera di tante altre occasioni. Ok, aria fritta. L’Olimpia di ieri ha messo in campo quella durezza mentale che è l’unico tassello che mancava al mosaico Playoff. Se è un’eccezione o meno, lo diranno le prossime gare, tuttavia è in queste gare “da vincere” che la squadra era mancata. Una squadra che per talento e roster vale assolutamente i Playoff: ripeterlo sarà forse noioso, ma la verità non lo è mai.

Evidente che una gara da 85,7 e 73,1 di “offensive rating” appartenga di diritto ad una certa galleria degli orrori, ma negli annali ci va il risultato. Perfettamente d’accordo col coach del Pireo quando parla di ritmo volutamente rallentato per togliere in sostanza un “early offense” che è chiave in positivo per Milano. Effettivamente, in un sfida dalla bassa spettacolarità, è importante notare come Milano abbia chiuso un possesso con un palla persa l’11,7% delle volte, mentre  l’Oly è stato al 14,1%: entrambe molto sotto la media normale di 13,4% e 15,5%. Se è vero che a ritmo più basso si perdono meno palloni, è altrettanto vero che contro difese dure come quelle viste ieri, se ne potrebbero perdere molti di più percentualmente. La domanda che ci facciamo e che avremmo voluto fare a coach Blatt è semplicemente questa: rinunciare ad attaccare in transizione 3vs2 siamo certi che sia comunque la scelta migliore, seppur volendo seguire il piano partita?

La sala stampa  e tante, bellissime bugie

«Non pensiamo ai Playoff». Vi ricordate sulla trasmissione di calcio in cui dominavano il “mago” Herrera ed il grandissimo Maurizio Mosca? Quando qualcuno diceva qualcosa di poco veritiero suonava la campanella ed il mago urlava “balla”! Ecco, coach, suvvia: 14-12, 4 gare da giocare di cui due in casa, seppur durissime, e non si guarda alla classifica? Con questo talento e questo roster non si guarda alla classifica? Dai…

«Per lunghi tratti della gara abbiamo applicato il nostro piano partita». Coach Blatt, tutto vero? dal suo linguaggio del corpo in panchina non ci è parso. Ci sbaglieremo noi…

E’ stata una sala stampa molto viva, interessante e che ci fa riaggiornare il proverbio su “bugie, grandi bugìe e statistiche” che proprio poco tempo fa citavamo: diciamo che ci sono anche “bugie, grandi bugie e la sala stampa”. Certi messaggi abbiamo imparato a leggerli bene, anche noi che la viviamo da fuori.

OT

Le condizioni fisiche di Coach Blatt ci sono parse di grande sofferenza e difficoltà. Abbiamo visto un uomo che fatica molto, la cui schiena pare non dargli tregua. Senza entrare in dettagli personali, l’unica cosa che vogliamo sottolineare  è una volta di più lo spessore dell’uomo: il 99% delle perone, in quelle condizioni, non si sognerebbe nemmeno di provare a lavorare. Figuriamoci ad allenare in un torneo così massacrante. Ecco perché David Blatt è un numero uno assoluto.

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alberto marzagalia

Due certezze nella vita. La pallacanestro e gli allenatori di pallacanestro. Quelli di Eurolega su tutti.
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