Una cortesia, non parliamo di Firenze “stregata”. Sarebbe un insulto alle bellissime Cantù del 2018 e Virtus Bologna del 2019, egregiamente guidate da Marco Sodini e Pino Sacripanti in pienissimo controllo tecnico e tattico delle gare contro i meneghini per la quasi totalità delle stesse.
Il concetto più o meno semplice del “siamo alle solite” è quello che rimbomba più nitidamente nell’ambiente milanese. Ok, semplice, ma in fondo nella semplicità vi è spessissimo la forma più chiara di verità.
La Milano che perde con la Virtus è esattamente impresentabile come lo fu quella presa a pallate da Chapell e compagni un anno orsono. L’aggravante è che il roster di oggi vale il doppio tecnicamente (e la finanza impiegata è aumentata di conseguenza…) rispetto a quello guidato da Jordan Theodore e Andrew “The Block” Goudelock. Infortuni? Verissimo, su tutti quello di Nedovic, che ha cambiato la stagione milanese in maniera determinante: ma se dopo decine e decine di gare senza il serbo non hai creato un’organizzazione di squadra in grado di sopperire a tale mancanza, per importante che sia, allora ciò che manca è ben più di un infortunato. Questo perché bisogna essere chiari nell’affermare che i 12 milanesi in campo ieri sera sono di gran lunga superiori a qualunque avversario italiano. Ed invece… invece questa superiorità a livello di talento si perde nelle nebbie della disorganizzazione e della miseria tattica.
Il “too big to fail” di “wallstreettiana” memoria potrebbe calzare? In un certo senso si, con l’aggiunta delle svalutatissime azioni biancorosse, che quel fallimento lo rendono possibile e, spesso, realtà. Sgomberiamo il campo dagli equivoci: parlare di fallimento per una gara secca senza domani è follia sportiva, parlare di fallimento tecnico che accompagna la storia agonistica di una squadra e delle sua gestione dalla panchina è invece realtà sacrosanta. E che ci si fermi qui, perché più che mettere a disposizione un roster del genere una società non può fare, se ne ha piena fiducia, come ha dimostrato sinora, nel suo allenatore. L’ambizione di crescere milanese è tecnica, perché a livello organizzativo non si può certo imputare nulla all’Olimpia. Certo, poi c’è la parte sportiva, il gioco…
Qui non si giudicano le persone, è cosa che non interessa e che è totalmente fuori dalla missione di questo sito, qui si guarda la pallacanestro e si prova ad analizzarne il bene ed il male, per quanto concesso alle nostre competenze. E proprio quell’analisi, competente o meno che sia, ci porta a delle conclusioni che non possiamo fare ameno di approfondire.
Milano da due anni è debole coi forti e forte coi deboli. Lo dimostra il numero esiguo ed impalpabile di successi contro squadre da PO in Eurolega. Quando vince, lo fa soprattutto grazie ad una qualità individuale superiore agli avversari, e non solo in Italia. In talune occasioni, come il biennio di Coppa Italia, si è dimostrata una candela in balìa di un vento che non è certo bora. Perché?
- La madre di tutte le mancanze è quella di un “piano B” che intervenga nelle giornate in cui il “piano A” fatica, come accaduto ieri. Ma attenzione, qui il problema diventa gigantesco ed ingestibile. Perché quel “piano B” altro non sarebbe che un sistema di gioco consolidato e condiviso, che coinvolgesse 5 giocatori come questo gioco richiederebbe. Ed allora dovrebbe chiamarsi “piano A”. Grave? No, gravissimo. Ogni squadra che meriti questo appellativo si basa su quel concetto in primis, diventando poi grande quando il talento a disposizione permetta di risolvere le situazioni più delicate. L’Olimpia di Simone Pianigiani come “piano A” presenta invece un’innumerevole numero di giochi a due arcinoti a tutti e si basa sulla risoluzione dei problemi grazie al talento di Mike James, Nemanja Nedovic e Vado Micov. Ma lo ripetiamo, questo è qualcosa in più in una squadra, non può esserne fondamenta. Il Fenerbahce di Obradovic ha un sistema sul quale si innestano i campioni: quasi sempre vince perché quel sistema consolidato esalta il talento degli Sloukas o dei Datome, Melli e Vesely. Talvolta accade che quel sistema vada in crisi ed allora sono i campioni che tolgono le castagne dal fuoco. Così il Real coi vari Llull, Randolph, Campazzo etc. E se vogliamo stare ad un livello più vicino a Milano (ma sempre inferiore come roster e talento globale) prendiamo il Bayern, dove è Derrick Williams a recitare in quel ruolo sulla base di un’organizzazione di gioco che permette di coprire le mancanze di parecchi atleti. In casa Olimpia si vince perché James fa il fenomeno, perché Gudaitis prende tutto ciò che circola intorno al ferro, si vincerà perché Nunnally vedrà canestri larghi come vasche da bagno, ma è molto raramente accaduto che la W arrivasse “di sistema”. E propio le vittorie con Khimki, Efes, Darussafaka e Baskonia dicevano già tanto: bastava ascoltarle.
- Tatticamente la faccenda si complica. Dopo la prima gara della stagione ci permettemmo di sottolineare, sussurrandolo quasi a non disturbare, come la Brescia di Diana, non certo allora in grande spolvero, mise in difficoltà Mike James con la pressione d i raddoppi lunghi. Apriti cielo! Come si può osare dire una cosa del genere dopo una sola gara od uno spicchio di essa? Dopo qualche mese di assestamento Pesic dimostrò che Milano si frenava così. L’operazione riuscì in parte anche a Jasikevicius, comunque vincente nelle gara in Lituania, e fu trionfo per un allenatore sconosciuto alle platee internazionali, quel Victor Garcia che col successo della sua Gran Canaria posò un macigno pesantissimo sul futuro europeo biancorosso. Pino Sacripanti, piaccia o non piaccia, ha fatto lo stesso ed ha tenuto in scacco i rivali per almeno 20-25 minuti, sufficienti per la sorpresissima di Firenze. Ebbene, tutto ciò con Nedovic non sarebbe mai successo, è vero, ma se in tre mesi non si trova una soluzione ad un problema che uno staff dovrebbe riconoscere in trenta secondi, qualcosa non va. Ed allora una domanda sorge spontanea: se il problema fosse stato noto e si fosse saputo da allora che la faccenda dell’assenza del serbo sarebbe stata così irrisolvibile, perché non andare sul mercato in quel ruolo allora? La chimica? Suvvia, non crediamo proprio a tutto…
- La forza e la debolezza. Vedendo CSKA vs Real dello scorso turno europeo, impressionò la capacità delle due squadre di andare a colpire dove l’avversario poter sembrare più debole. Allo stesso tempo ognuno dei due coach creava per i propri giocatori la miglior situazione tecnica per rendere al meglio. Chi imponeva, vinceva, chi colpiva più duro, feriva. L’Olimpia non fa mai nemmeno questo. L’esempio più lampante? Vlado Micov in post basso. Fa tutta la differenza del mondo e ci sa giocare come uno scienziato. Come ci arriva Milano? Con palla al serbo verso l’arco, due o tre palleggi, qualche “culata” e autonomia totale del giocatore nel crearsi qualcosa. Come è autonomia quella di Gudaitis nel trovare nell’immondizia della partita un marea di soluzioni che nessuno gli crea. Perché giovedì sera, con gli esterni virtussini caricati di falli, non si è percorsa questa strada? Semplice, perché la squadra di Pianigiani non la conosce e se la conosce, buca una gomma appena la intraprende.
- Mike James, inutile girarci attorno, è “il tema”. Anche qui, massima chiarezza. A parere di chi scrive si tratta di un giocatore NBA fatto e finito che è da queste parti per tante ragioni, che non sono situazione che interessa in questa fase della discussione. Il giocatore più utilizzato d’Eurolega (90 minuti più di Calathes e 200 più di De Colo) canta e porta la croce da settembre. Le chiavi di Milano sono sue perché le ha volute e perché gli sono state affidate senza esitazione e per necessità. Quale necessità? La mancanza di un gioco che ne potesse limitare le responsabilità. Ha vinto gare da solo, ne ha perse ed ha avuto un impatto devastante. Nel momento in cui si firma uno come James si deve sapere chi è e come gestirlo. Pianigiani lo ha fatto bene ad inizio stagione, poi ha esagerato affidandosi troppo e solo a lui. Conseguenze? Mancanza di fiducia reciproca. Tutto in mano al talento di Portland? I compagni si siedono e lui, ovviamente, si carica sulle spalle anche ciò che non può sorreggere, perché tanto “tocca a lui”. Gli altri non sono coinvolti, per nulla. Qui l’assenza di Nedovic pesa il triplo, perché MJ di NN ha totale rispetto e fiducia. La Milano di oggi è tutta un’esagerazione in questo senso. Siamo abituati alle bugie di tanti coach, ma quella di giovedì sera di Simone Pianigiani entra nell’Olimpo delle più grandi. «I nostri buoni tiri li abbiamo presi e li abbiamo sbagliati». Sì…, negli ultimi 5-6 minuti: quello che abbiamo visto fare soprattutto da James in precedenza si chiama forzatura totale, mai traducibile con “good shot”. Gran parte del lavoro richiesto al coach senese sta proprio in questa situazione.
- I calendari? Oh santo cielo, anche basta. Un esempio? La Virtus giovedì ha giocato la sua gara stagionale nr 34. Fatte le debite proporzioni di profondità e qualità di roster, nonché di quella degli avversari (qui Milano non può avere rivali), le dieci gare meneghine in più sono sicuramente tanta roba, ma gestibilissima con così tanti uomini. Certo, se poi se ne utilizzano 8-9 anche in gare oggi insignificanti di LBA (tante!) lo scotto prima o poi si paga. Con la stanchezza, che talvolta toglie la lucidità mentale e fisica, quella che può portare agli infortuni. Ed anche qui siamo chiari: non si sta assolutamente dicendo che nel caso milanese la sovraesposizione di certi atleti ha portato agli infortuni, ma che vi possa essere una correlazione tra le cose non è un segreto.
- Il futuro? Nulla impedirebbe che potesse essere roseo, ma solo a seguito di una virata totale ed oggi imprevedibile per le ragioni tecniche di cui sopra. Il materiale a disposizione del coach è straordinario, anche senza Gudaitis, col quale si sarebbe stati sotto soltanto alle “big three” di Turkish Airlines Euroleague. Quante squadre potranno affrontare la fase decisiva di stagione con James, Nedovic, Nunnally e Micov? Dell’Italia nemmeno parliamo, in Eurolega ben poche. Brooks e Kuzminskas sono ottimi giocatori, se fanno i Brooks ed i Kuzminskas, altrimenti diventano addirittura deleteri. Così come, livello minore, buon giocatore è Christian Burns. Al quale però, se viene chiesto di giocare come Tarczewski o Gudaitis, viene precluso tutto. Con le dovute differenze, chiariamo. Gigi Datome ci disse testualmente «Sono un 3 che può giocare da 4». Cosa fa “Gigione” al Fenerbahce? Gioca da 3 ed all’occorrenza anche da 4. Mindaugas Kuzminskas è un 3 che può giocare da 4. Cosa fa “Minda” a Milano? Gioca da 4 e saltuariamente da 3. L’Olimpia Milano ha qualità individuali per fare i Playoff di Eurolega. Oggi è 11-11 solo perché ha giocato male almeno due terzi delle gare stagionali. I peccati mortali con Gran Canaria e Bayern in casa, in aggiunta alle trasferte di Tel Aviv e Kaunas su tutte, tolgono serenità ed andavano gestiti con il giusto senso di urgenza. Ma nulla è precluso, a patto di cominciare a giocare a pallacanestro. Che è uno sport di squadra, organizzato, che va condiviso per esaltare il talento individuale.
Milano, quindi, perché qui si tratta principalmente di squadre di Eurolega, ma tutto ciò non dovrà mai e poi mai mentre in secondo piano la grandissima impresa della Virtus Segafredo Bologna di Pino Sacripanti. Impeccabile tecnicamente e tatticamente, preparata al meglio e del tutto meritatamente in semifinale di Coppa Italia: chapeau!