L’Olimpia e l’Eurolega: tra piano A, piano B, una chiara linea tecnica ed una domanda che lo è altrettanto.

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Tempo di bilanci e, immediatamente, di mercato. Che poi sappiamo tutti essere vivo da inizio anno, soprattutto per quelle squadre, in ottica europea, che non possono permettersi i colpi a luglio sulla base di offerte a sei zeri e non  necessariamente con un 1 davanti.

L’Olimpia europea arriva da un poco lusinghiero 18-42 nelle ultime due stagioni di Eurolega, le prime con il nuovo formato: un ultimo posto ed un penultimo che ne fanno la peggiore del lotto, senza se e senza ma. C’è tanto, molto da correggere in questo senso, perché competere non vuol dire solo provare saltuariamente a lottare, ma vincere almeno quelle 13-14 gare che possano dare un senso alla classifica per quasi tutti i sei mesi di stagione regolare. E competere non può nemmeno voler dire annoverare almeno 5 sconfitte in gare tirate nel punteggio dove gli errori sono stati madornali, piuttosto che un totale di  8 partite in cui si è opposta resistenza minima, se non inesistente, od un periodo di ben 13 giornate necessario per battere una squadra che poi facesse i Playoff (alla fine sono state 3 le W contro le prime otto).

Quindi tutto malissimo? No. la classifica parla chiaro, è vero, ma il finale di stagione, e soprattutto le prime settimane di “postseason” stanno dando segnali che fanno pensare al sereno sui cieli del Forum. Lo scudetto in bacheca non è certo un’impresa memorabile come taluni ci vogliono far credere, tuttavia è figlio di una superiorità netta che ha avuto riscontro sul campo: 3-0, 3-1 e 4-2. Vero che senza “the block” forse si parlerebbe in altri termini, ma quel gesto c’è stato ed è stato figlio della crescita di un giocatore per la quale vanno attribuiti i giusti meriti a chi lo ha coinvolto maggiormente rispetto a quasi tutta la stagione. Poi è partito il mercato e le prime indicazioni parlano chiaro: si seguono alla lettera le indicazioni di coach Pianigiani e questo, piacciano o  non piacciano l’allenatore ed il suo tipo di gioco, è un segnale forte e positivo. Non è sempre stato così in passato, di conseguenza l’ormai celebre “secondo anno”, fatale a Scariolo, Banchi e Repesa, potrebbe nascere sotto auspici ben differenti.

Tra conferme, smentite ed ufficialità, i nomi di Nedovic, Brooks, Burns e Della Valle, in rigoroso attuale ordine di importanza, sono situazioni tecniche, prima che uomini, assai chiaramente funzionali a quanto è immaginabile richieda il coach. Il primo è una “combo” con importanti doti di leadership e difensive, comunque attaccante da 16,8p. + 4,8a., che sarà fondamentale in relazione a qualunque altro innesto venga effettuato nella posizione di 1-2, garantendo ciò che è mancato totalmente quest’anno, ovvero un buon livello difensivo contro gli attaccanti avversari, tutti sempre  con punti nelle mani in quei ruoli. Brooks garantisce quell’atletismo negli spot 3-4 che possono creare una combinazione assai redditizia con Kuzminskas, nonché dare respiro a Micov, che non dovrà e potrà essere utilizzato più di 30 minuti a serata a distanza di tre giorni una gara dall’altra. Burns al momento è chiaramente una soluzione determinante in LBA come 5, a fronteggiare i tantissimi “small ball”, voluti o figli di necessità (in Italia non ci sono stati più di due-tre pivot). Ma l’etica lavorativa e la volontà dell’ex canturino potrebbero riservare sorprese positive anche in Europa. Un esempio? Il Real, che gioca con 4 e 5 veri contemporaneamente: immaginate un Burns-Gudaitis contro Reyes-Ayon… Amedeo Della Valle è certamente uno dei due, tre migliori italiani del torneo appena concluso: ci perdonerà se non lo consideriamo un traguardo straordinario, visto il livello abbastanza discutibile (eufemismo) del campionato italiano, ma è giusto riconoscerne il valore espresso in Eurocup. Ottimo punto di partenza, ma siamo solo al via: se quei talloni non si staccheranno da terra in difesa, in EL saranno lacrime e sangue. Per la #LBA di oggi è tanta roba.

L’ultima, determinante questione riguarda il nome di Mike James. Firma, non firma, è di Milano, resta al Pana: sono normalissime dinamiche di mercato, nulla di nuovo o di sconvolgente, all’interno di situazioni che si legano ad incastro, a partire dalla permanenza di Nick Calathes ad Oaka. Giocatore superbo, è soluzione tecnicamente perfetta per il tipo di gioco della Milano di Pianigiani. In grado di creare vantaggio dal “pick and roll”, segnatamente quello centrale che caratterizza un numero clamoroso di possessi biancorossi, è proprio ciò che è mancato principalmente quest’anno. Qualcuno in grado di concludere, dall’arco, come al ferro, sul primo movimento offensivo. La quale mancanza ha fatto sì che, sia con Theodore che con Cinciarini, la difesa avversaria potesse organizzare le rotazioni quasi preventivamente, eliminando in partenza una grossa fetta della minaccia milanese. Per fare chiarezza, Jordan Theodore è andato in doppia cifra 16 volte nel torneo: 6-10 è il record dell’Olimpia in queste occasioni. La traduzione è chiara: minaccia che non ha garantito vantaggio ai meneghini e che è stata quasi scelta da parte degli avversari. 3 le volte sopra i 10 punti per Cinciarini e record di 1-2. L’Olimpia di Pianigiani deve avere un 1, o 1-2 in caso di scelta “combo”, in grado di fare male subito. Partendo da quello, l’attacco assumerebbe una consistenza ben diversa.

Ma Mike James ad oggi non è certezza, secondo anche le parole di Livio Proli, quindi si è parlato di un “piano B”, con il nome di Thomas Heurtel udito ripetutamente. Altro giocatore di notevole livello, realizzatore discreto, “assistman” straordinario, secondo solo a Calathes questa stagione, ma praticamente ai livelli del greco sui 40 minuti, è soluzione di ottimo livello ma certamente differente. Diciamo che in questo caso piano A e piano B assumono fattezze assai opposte. Guardia fisicamente sottodimensionata che pareggia tale deficit con la grandissima esplosività il primo, playmaker puro, creativo ed in grado di far eccellere i numeri dei centri e dei tiratori il secondo. In un mondo da sogno, a Milano arriverebbero tutti e due, perché coprirebbero tre dei problemi principali della Milano d’Europa di quest’anno: leadership, totalmente assente, giocatore “clutch”, ruolo assunto da Goudelock solo nei PO italiani e playmaking, differenza abissale subita dal duo Theodore-Cinciarini durante quasi tutte le gare di EL. Nella giornata di oggi, alcuni siti hanno lanciato l’ipotesi di un forte interessamento milanese nei confronti di Brad Wanamaker, in pressoché certa uscita dal Fenerbahce: inutile sottolineare il valore del giocatore, proprio in tutti questi settori del gioco di cui l’Olimpia avrebbe totale necessità per crescere. E’ il mercato, ogni giorno uno scenario nuovo ed ogni ora una dinamica differente. Preferiamo stare alla finestra, con le esigenze e le certezze che abbiamo sottolineato.

Tra le tante cose per nulla condivisibili udite nella conferenza stampa post scudetto del presidente e dell’allenatore, ve ne è una che è sottoscrivibile in toto: non vi è alcuna garanzia di costruire un roster “da playoff”, poiché vi sono almeno 12 squadre che sono in grado di farlo, con  5 che si possono tranquillamente considerare di un altro pianeta. Ma il lavoro in corso in Olimpia pare essere di discreto livello ed in grado di garantire, quello sì, la competitività sul campo, che è ben diversa da quella sbandierata a parole.

Seguire i dettami del coach è il primo, fondamentale, passo. Appoggiarlo nelle scelte, anche quelle più difficili, senza porlo in posizione di difficoltà e debolezza di fronte alla squadra, è altro tema basilare, non sempre chiarissimo nel recente passato. Con una sola domanda che ci permettiamo di porci: in uscita Flavio Portaluppi e con la promozione di Alberto Rossini a DS (continuerà ad essere “team manager” in panchina?), il ruolo di GM di chi è a Milano? Che non mi si dica che c’è un coach-GM, perché con 80 partite non è nemmeno lontanamente pensabile, a scapito del lavoro in campo ed in palestra. Dando per scontato che la scelta dei giocatori debba essere appannaggio di chi conosce il gioco in profondità, chi lo fa a Milano? Ricordando, molto chiaramente, che Obradovic ha un Gherardini, e che, a livello inferiore, anche Trinchieri aveva il suo Baiesi nel Bamberg positivo e vincente in patria. Perché, come ci ripete spesso un grandissimo professionista e conoscitore del gioco, «gli allenatori devono fare gli allenatori, i GM i GM. Se l’uno vuole fare l’altro, c’è qualcosa che non va».

 

 

 

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alberto marzagalia

Due certezze nella vita. La pallacanestro e gli allenatori di pallacanestro. Quelli di Eurolega su tutti.
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