Marco Sodini : «CSKA e Fenerbahce sono spettacoli unici, mi piace la fantasia del Real. Jasikevicius e Datome sono straordinari. E sul nostro campionato e la Nazionale…»

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Viareggino, 45 anni, è personaggio che sta crescendo in modo esponenziale nella pallacanestro italiana, guidando magistralmente la Pallacanestro Cantù ad un stagione che, solo pochi mesi fa, nessuno avrebbe minimamente osato immaginare.

Dalla femminile nella sua città alla grande scuola livornese, con tante esperienze importanti, tra Milano, Kiev, le Nazionali giovanili, Piacenza e poi l’assistentato a Kurtinaitis e Bolshakov, prima di essere nominato head coach ad inizio ottobre.

Marco Sodini è prima di tutto una persona interessante, col quale si potrebbe parlare di mille cose prima che di basket, ma è proprio l’approccio al gioco quello che abbiamo voluto iniziare ad approfondire con lui.

– Tante esperienze differenti in 24 anni di panchina. Da dove nasce il Sodini coach e quali di queste avventure hanno maggiormente caratterizzato il tuo modo di allenare?

Iniziai ad allenare con pochissima cognizione di quel che dovevo fare, ma da subito il pallone che rimbalzava mi affascinò. E quell’inizio non fu nell’ottica di farne una professione. Ingegneria, ma poi anche la filosofia e la letteratura. Mi piace trasmettere qualcosa, sto bene sul campo. I due fatti principali furono il passaggio a Lucca, che faceva la B ma aveva staff ed organizzazione di primissimo livello, e poi l’approdo al Don Bosco Livorno, alla scuola di Faraoni, dove ricavai un’impronta formativa determinante a tutto tondo, da cui nacque il concetto di professionalità. Il mio primo contratto lo firmai con uno spirito quasi vacanziero, perché la pallacanestro per me resta un privilegio, una passione. Sono entusiasta di quello che faccio, felice di entrare in palestra ogni giorno, mica vado in miniera. Scelsi Livorno perché era situazione che andava bene per me ed ebbi un rapporto fondamentale con Sandro Dell’Agnello, che mi insegnò come e quando parlare coi giocatori, coi campioni.

– Quanto deve incidere la visone del gioco di un coach e quanto deve invece adattarsi al materiale umano di cui dispone?

Dipende molto dalla disponibilità reciproca. Io non amo il controllo totale, mi piace assecondare i giocatori nel modo giusto. E’ necessario capire chi sia il leader emotivo del gruppo, che può essere il coach come un giocatore importante.

– Si dice, a mio parere in modo errato, che la tua Cantù sia una squadra d’attacco e di poca difesa. La realtà dice che giocate su un numero di possessi tale che rende ovvi i punteggi più alti. 67,6 tentativi dal campo, primi in LBA, ne sono la dimostrazione e poi magari vincete gare importantissime, come le ultime casalinghe, grazie a possessi difensivi decisivi…

Ti ringrazio della sottolineatura, è verissimo. Giocando ad un determinato ritmo e con tanti possessi si possono accettare anche alcuni errori difensivi piuttosto che una palla persa in più, anche se noi in realtà ne perdiamo poche. Abbiamo avuto dei barlumi di solidità difensiva notevoli, come a Torino, quando nel secondo e terzo quarto non permettemmo loro di fare nulla di ciò che volevano.

– La sindrome “da accerchiamento” spesso nello sport aiuta a fare quadrato. Mourinho insegna… Quanto ha inciso sinora nella stagione positiva di Cantù?

Un po’ ha aiutato. Abbiamo passato momenti difficili insieme, ora il processo societario sta continuando e le situazioni migliorano. Io ho scelto di proteggere la squadra  da tutto e tutti. I miei giocatori non si toccano, se sbagliamo il primo responsabile sono io. Bisogna che si crei fiducia tra coach e giocatori. Sai cosa mi diceva Dell’Agnello di Valerio (Bianchini)? «Ogni tanto durante i timeout avrebbe potuto chiederci anche di gettarci nel fuoco: l’avremmo fatto».

– Tornando alla “tua” pallacanestro, è corretto definirla “alla D’Antoni” ma, più che sui “7 seconds or less”, si può dire che si basi sul non passare mai un buon tiro? Aggiungo che voi, diversamente da tante squadre anche molto più profonde e talentuose, i tagli, quelli veri, li eseguite.

Mike D’Antoni per me è modello. E’ vero, un buon tiro non si passa mai, che sia al terzo od al ventesimo secondo dell’azione. Sai perché Mike è un modello? Quando ero assistente di Pasquali, che a sua volta lavorò con lui a Treviso ma anche con tanti altri illustri come Messina, mi disse che lo stesso Mike era maestro nel restare positivo in situazioni in cui tutti vedevano nero. Oggi faccio lo stesso, nonostante un carattere deciso che spesso mi porterebbe a reagire più duramente. E’ accaduto forse una volta sola che io sia stato veramente infuriato. Sui tagli ti dico che è vero, li facciamo, dobbiamo attaccare sempre in 5. Ho due principi fondamentali: attaccare sempre in 1vs1 e passare a chi è in situazione migliore della tua.

– 24 punti oggi ed a 30, da anni, ci sono i Playoff. Ora sfidi due delle prime quattro (BS e MI), due avversarie dirette (BO e RE) e tre invischiate nella lotta per non retrocedere (PS, CAPO e BR). Non dirmi che un pensierino alla postseason non lo fai…

No, no, ora lo dico chiaramente come ho fatto domenica. Mai nessuno è retrocesso a 24 punti, quindi dopo il successo su Torino si pensa  a fare i Playoff. Prima avevamo un obiettivo diverso e l’abbiamo raggiunto, ora si può pensare più in grande. Calendario complicato, ma noi ce la giochiamo fino in fondo. Non sono d’accordo sui 30 punti, credo ce ne vogliano 32 e magari entrano anche lì in gioco discorsi di scarti e classifica avulsa.

– L’Eurolega ed il “pick and roll”, ma vale anche per la LBA. Vi è un abuso e bisogna trattare la cosa con grande cura, come ci ha detto Trinchieri in una recente, bellissima intervista sulla Gazzetta?

Ad inizio carriera insegnavo, nei settori giovanili, il blocco sulla palla, il blocco cieco e le uscite, ritenendole fondamentali. E per ciò ci passavo tanto tempo. Se il “p&r” è fatto bene è duro da difendere ed  è altrettanto vero che la difesa deve  fare scelte. Credo che il punto sia sapere chi stai allenando. Allora si evita l’abuso. Io, ad esempio, oggi ho giocatori più da isolamento che da pick and roll ed agisco di conseguenza. Aggiungo che in Eurolega, per i tempi che ti sono concessi, devi lavorare molto su di te e non puoi pensare troppo a come spezzare le trame altrui, cosa che necessita magari di una settimana in palestra che non hai.

– E’ corretto dire, sempre in tema di “p&r”, che la differenza, ad esempio tra Eurolega ed Italia, stia negli interpreti? Coi tempi di Sloukas diventa tutto più fantasioso, con quelli di altri è tutto un po’ più scontato… Quel mezzo secondo, tanto caro ad Ettore Messina ed a Coach Pop, fa la differenza?

Sì, certamente, e si torna al punto di cui sopra. I tempi sono fondamentali, Sloukas è maestro assoluto. Poi è fondamentale coinvolgere tutti nel modo migliore: se hai giocatori che non vedono un pallone per tre-quattro possessi, come fai poi a chiedergli applicazione sull’altro lato del campo? Insisto, bisogna capire chi alleni: se hai uno forte in uscita dai blocchi ed il tuo play continua ad ignorarlo prediligendo soluzioni personali, tutto diventa difficile.

– Sei d’accordo sul fatto che il cambio epocale del gioco consista nel fatto che una volta si passava e si andava in direzione opposta rispetto al pallone, per tagli o blocchi, mentre oggi si va verso il ricevitore, spesso a bloccare? Non è un controsenso, nell’era dello “spacing”?

Torno agli albori del gioco, quando gli americani ci insegnarono il dai e vai e poi il dai e segui che oggi è blocco sul portatore di palla. Non è tanto così come dici, piuttosto direi che la globalizzazione ha appiattito la fantasia nell’allenare. Si trova tutto fatto, da vedere e copiare. A me piace tenere i clinic, ma quando finisco dico a chi ha seguito «cercate di capire perché fare o non fare una cosa, non limitatevi a farla perché l’ho detto io piuttosto che un altro». E ti aggiungo che la velocità di oggi, molto superiore a quella di non solo vent’anni fa ma anche di dieci, crea problemi di gestione. Mi spiego, scegliere di giocare su certe linee di passaggio presuppone caratteristiche importanti, come appunto saper passare la palla bene e dà luogo a rischi che spesso non si vogliono correre. Non tutti hanno i Datome.

– Sono curioso, dimmi di Gigi…

Straordinario come usa i blocchi e come sta in campo. Mi ricorda Danilovic in quel frangente. Voglio essere chiaro, sono giocatori molto diversi, Sasha è uno dei più grandi di sempre,  ma quei riccioli in uscita dai blocchi, quella ricerca e sfruttamento di soluzioni che fanno “rubare” un po’ di punti con movimenti eseguiti alla perfezione sono cose che alla fine fanno la differenza. Ed in generale Gigi si muove sul campo in maniera straordinaria, come tutta la sua squadra.

– Qual è il sistema di gioco che preferisci tra quelli dei coach di Eurolega?

CSKA favoloso, oggi il meglio, ma amo il Real per la fantasia di soluzioni ed il non abusare del pick and roll. La recente gara di Milano è stata straordinaria.

– A proposito di coach europei, Bianchini ha recentemente detto che «la NBA è lega di giocatori, l’Eurolega di allenatori e la LBA di procuratori». Ti ci ritrovi?

Ti rispondo così: ho un ottimo rapporto con tanti procuratori, sempre assai schietto.

– Jasikevicius si appresta a vincere il premio di Coach dell’anno: come valuti la sua pallacanestro?

Notevole perché non si è fermato al giocatore che era, una spanna sopra tutti. Ha saputo essere leader anche in panca ma senza far pesare il suo status precedente. Si è adattato al ruolo gestendo in modo non presuntuoso. E poi lo Zalgiris gioca da Dio.

– Milano ed i Playoff europei. Quanto è distante dal poter competere per quell’obiettivo e perché?

Mi piace pensare che sia meno lontana di quanto tutti pensano, per il bene del basket italiano.

– Ci avviciniamo a quei Playoff ed alle Final 4. Sei del partito che vede finale scontata CSKA vs Fenerbahce o apri ad altre soluzioni?

Credo di appartenere a questo partito. Squadre straordinarie, ulteriormente migliorate rispetto al recente passato, già ottimo. Non sbagliano una scelta. Ed il miglioramento di Mosca è soprattutto nelle scelte difensive.

– Meo e la Nazionale. Lui ha spesso detto che  non ha mai visto un allenatore rubare una palla o segnare da tre, contano i giocatori. Su queste basi, può essere il gestore perfetto per una situazione tecnica così particolare?

E’ il migliore di tutti nella gestione dei 40 minuti. Se deve fare questa o quella scelta la fa senza condizionamenti. Su queste basi può essere l’uomo adatto. Poi ci sono gli staff e quello della Nazionale è veramente ottimo.

– Hai lavorato con Luca Banchi. Che coach è? E’ stato uno dei progetti troppo presto accantonati da Milano?

Luca Banchi è il miglior allenatore d’Europa in palestra. Sai che a Livorno mi chiamavano “il Banchino” dopo un primo periodo molto vicino a lui?

– Un’ultima “chicca”, forse dolorosa, dalla tua carriera. 2009, Avellino, Finale di Coppa Italia. La Virtus lotta ed arriva sul 43-47 contro quell’imbattibile Siena, poi stanno per scadere i 24″ ed arriva la chiamata del fallo di Moss sulla tripla di Sato, stoppata a dir poco pulitissima. Poco dopo su Vukcevic non c’è fallo… Non voglio sapere cosa pensi di quei fischi, ma cosa ti ha lasciato quel periodo della pallacanestro italiana?

Domanda cattiva… Sai cosa ti dico, io resto un puro ed allora penso che quella Siena era la squadra migliore sul lungo periodo. magari non in quella gara, non so, ma di certo giocava eccome. Il resto non mi interessa, voglio rimanere puro, non ha nulla che fare con la pallacanestro.

Ora inizia l’allenamento, le porte della palestra si chiudono, c’è una rincorsa Playoff da preparare.

Marco Sodini è palesemente innamorato del gioco e della sua professione e forse è proprio per queste ragioni che ha fatto il miracolo: sì, perché aver sentito tanti, tanti tifosi milanesi spendere parole di grande apprezzamento per il coach di Cantù, rivale per definizione, è miracolo che appartiene alla magia del gioco. E quella bacchetta magica sta nelle mani degli allenatori.

 

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alberto marzagalia

Due certezze nella vita. La pallacanestro e gli allenatori di pallacanestro. Quelli di Eurolega su tutti.
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