Il Maccabi fa a pezzi l’Olimpia: enorme la differenza di preparazione a Yad Eliyahu

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E’ buona la prestazione degli uomini di Neven Spahija e la terza vittoria in cinque gare è normale conseguenza di un dominio durato quasi tutta la gara, fatta eccezione per uno spicchio iniziale in cui solo l’energia di Kaleb Tarczewski ha tenuto in partita Milano.

Partita orripilante da ogni punto di vista per la squadra di Simone Pianigiani: non vi sono scusanti se ti presenti in campo senza alcun tipo di risposta, sia atletico che tecnico e tattico. E questa mancanza di preparazione assume toni più allarmanti se si considera che viene pochissimi giorni dopo Sassari, occasione di un’altra severa punizione. Italia od Europa che sia, il risultato non cambia.

Gare come queste sono assai complicate, o forse semplicissime, da analizzare. Da un lato si può ridurre il tutto ad una differenza di energia e di approccio che è stata evidente, mentre, altrimenti, risulta assai incomprensibile un tale divario quando è chiaro che Milano non sia così inferiore al Maccabi, come detto pure da Pianigiani in sala stampa.

Rapidamente archiviata la stagione delle “belle sconfitte”, proviamo a capire cosa sia emerso dalla sfida di Yad Eliyahu.

  • Gli israeliani non sono uno squadrone, anzi, tuttavia danno la netta impressione di sapere cosa vogliono e come arrivarci. Sarà sensazione personale, ma coach Spahija sembra essere un valore aggiunto notevole. Organizzazione basica, efficienza nei punti di forza, tentativo costante di limitare i danni dove si soffre e, soprattutto, capacità chirurgica di colpire dove l’avversario è assai debole. In sostanza un modo di allenare assai redditizio, anche in presenza di un materiale umano che è buono ma non eccezionale.
  • Il confronto tra gli esterni, così come quello tra i lunghi, è stato impietoso. Concesse tutte le attenuanti del caso al rientrante Goudelock e considerati i primi positivi minuti di Tarczewski, tutta la gara è stata una contesa tra chi aveva chiarezza di intenti e chi non ne aveva idea. La faccenda si complica per Milano se si considera che stiamo parlando di una prestazione Maccabi lucida ma non certo scintillante. Il dato dei rimbalzi non va neppure commentato: è sufficiente scrivere 49-30, piuttosto che 19 carambole gialloblu sulle 43 disponibili sotto la tabella milanese.
  • Lo avevamo già segnalato, chiamatelo campanello d’allarme o situazione su cui lavorare, la sostanza non cambia: la difesa sul “pick and roll”, soprattutto quello centrale, è un incubo per Milano. Ciò che è grave è che non si capisce cosa si sia deciso di fare, non si riesce a leggere l’eventuale scelta dei meneghini. Come a Sassari e come in precedenza in altre gare (chiaro che se giochi contro squadre di secondo livello italiano si nota meno, ma il problema c’è), bastano due palleggi aggressivi della guardia avversaria e la frittata è fatta: immediato vantaggio totale dell’attacco ed emergenza irrisolvibile per chi si trova in inferiorità numerica. In sostanza dopo che l’attacco ha sfruttato il blocco, Milano difende 4 contro 5: se si pensa che poi due di quei quattro sono spesso Goudelock e Micov, non esattamente due cani da guardia, il resto viene naturale e la peggior difesa di Eurolega è inevitabile. Su tutte le lavagne d’Europa, nonché d’Italia c’è scritto a caratteri cubitali di attaccare Theodore subito. Se JT non riesce a rendere il servizio sull’altro lato del campo, è notte fonda biancorossa.  Sinistramente, tutto ciò ricorda il problema della nazionale ad Eurobasket 2015: allora, si disse, era colpa di Bargnani contro i vari Valanciunas, Gasol e via dicendo.
  • Alex Tyus e DeShaun Thomas sono le due colonne portanti del successo gialloblu. L’Olimpia non riesce ad opporre fisicità ed atletismo a questi due giocatori, soprattutto quando sono le loro spalle larghe a fare il vuoto. Chiara la necessità milanese, nel ruolo di 4 e 5, di kg e stazza, altrimenti due buoni giocatori come i due citati diventano di livello superiore al loro reale valore.
  • “Non è un dramma” è il mantra milanese che accompagna questo inizio di stagione. Non è un dramma perderne tre di fila, non è un dramma vincere solo con un Barcellona che inanella 5 L consecutive, non è un dramma essere 1-4, non è un dramma perdere a Tel Aviv, come non lo era perdere a Sassari. Se c’è una cosa pericolosa nello sport è abituarsi alle pacche sulle spalle ed alle sconfitte in cui si ritiene di aver comunque fatto bene. Di solito quelle squadre, nei vari campionati, retrocedono: in Eurolega, non essendoci la retrocessione, c’è però il fondo della classifica, zona che Milano conosce bene grazie ad un 9-26 inquietante da quando il torneo propone il nuovo formato. Non è un dramma perdere a Tel Aviv: è vero, ma c’è modo e modo, come contro la Dinamo. Simone Pianigiani ha esperienza necessaria per gestire la situazione, il tempo per lavorare c’è. Ci vuole grande capacità, in stile Trinchieri, di dimenticare tutto e ripartire subito, altrimenti la scia negativa si allunga. Se vi siano anche i giocatori è tutto da verificare, sia in positivo che in negativo. Basta che non si cominci a tirare in ballo le scuse ed i vari “pasticcini mediatici” da offrire alla gente. Il vissuto manca ad almeno 12 squadre di Eurolega, il tempo di allenarsi non ce l’ha nessuna delle 16, il campionato nazionale lo giocano tutte ed i viaggi sono massacranti per il Khimki come per l’Olimpia. A proposito, contro le big si può anche vincere, vedi il Khimki stesso e Malaga contro Real e Fenerbahce. E’ tempo di giocare a basket: in Eurolega  scorciatoie e scuse non hanno diritto di cittadinanza.

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alberto marzagalia

Due certezze nella vita. La pallacanestro e gli allenatori di pallacanestro. Quelli di Eurolega su tutti.
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