La nona di Obradovic: Fenerbahce campione. E l’Italia se la ride, senza nulla da ridere.

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Al termine di una finale senza storia il Fenerbahce si aggiudica la sua prima Eurolega, quella della nuova era, quella del formato più simile possibile alla NBA. Solo due volte, negli ultimi dieci anni, la partita che assegnava il titolo si è conclusa con uno scarto maggiore (19 punti nel 2015 e 18 nel 2010) ed, ironia della sorte, è sempre accaduto con l’Olympiacos sconfitto,  dal Real e dal Barcellona.

I greci meritano tutto il rispetto possibile per l’impresa del venerdì contro il CSKA, anche se nessuno mi toglie dalla testa che si sia trattato di un suicidio russo, con Itoudis e De Colo allo sciagurato comando, senza sminuirne assolutamente il valore.  La finale, e rimane parere assolutamente personale, sarebbe stata di ben altro tenore con i moscoviti a sfidare Obradovic.

Ma il campo ha detto così ed il suo verdetto è sacro ed inequivocabile. Turchi sul tetto d’Europa con pieno merito ed a seguito di due partite pressoché perfette, in cui due avversari, dalle caratteristiche opposte l’un l’altro, hanno ricevuto lo stesso trattamento, molto vicino al “no contest”.

Zeljko Obradovic, al nono trionfo europeo in 25 anni, ha presentato una squadra perfetta  alle Final 4, dopo una stagione travagliata in cui ha dovuto confrontarsi con una formula nuova per certi versi stridente con la sua mentalità, laddove partite da approcciare in un modo più “soft” non esistono. Il lavoro suo e del suo staff ne è venuto a capo nel modo migliore ed il risultato è stato un dominio assoluto negli 80 minuti di Istanbul.

Inutile soffermarsi troppo su una gara che ha avuto non più di un paio di sussulti, prontamente calmierati dalla pulizia tattica del Fener, in cui ogni interprete recitava il proprio spartito alla perfezione. Difesa ed attacco organizzati alla perfezione e conoscenza profonda delle caratteristiche degli avversari. Sia venerdì che domenica, il Real come l’Olympiacos, sono stati messi nelle condizioni di fare tutto ciò che non volevano fare. Se dell’isolamento di Llull dal resto della squadra si è già detto, riguardo a ieri è importante sottolineare come la scelta precisa sia stata quella di lasciare spazio ai lunghi dei “reds”, concedendo loro un inusuale 9/9 da due, a fronte dell’aver levato ogni respiro a Spanoulis e soci sul perimetro, cancellando tutti i potenziali protagonisti che avevano portato il Pireo in finale (Papanikolau, Green, Agravanis). Il solo Mantzaris ha potuto colpire dall’arco, ma solo lui sa la fatica che gli sono costate quelle tre triple. Ed anche gli stessi centri di Sfairopoulos, perfetti al tiro, sono stati pressoché azzerati a rimbalzo (Birch 0, Milutinov 4, Young 0) rispetto a quanto fatto da Udoh (9) e Veselj (8).

Si tratta di due squadre di livello completamente diverso ed il risultato rispecchia chiaramente tutto ciò. Gli interpreti sono di valore diverso e nulla si può imputare ad uno Sfairopoulos perfetto per tutta la stagione, miracoloso in semifinale e semplicemente  sconfitto dalla realtà dei fatti in finale. Non poteva fare di più, ha fatto molto di più di quello che il suo roster gli permettesse.

Ekpe Udoh è l’MVP e lo è di diverse lunghezze sul secondo. Da parecchio tempo non circolava per il continente un lungo di questo impatto. A fatica ricordo un altro centro in grado di avere un rendimento del genere su entrambi i lati del campo. Sa giocare una pallacanestro completa, si pone al servizio dei compagni scegliendo sempre al meglio, conosce semplicemente il gioco nella sua accezione più piena. Dominante è la parola giusta ed il futuro, essendo nelle pieno maturazione fisica e tecnica della carriera, potrebbe esserlo ancora di più.

Di Obradovic si è detto tutto e la semifinale aveva già chiarito ogni concetto. Quando sai attraversare almeno tre ere tecniche del gioco restando sempre al top, è evidente che stiamo parlando di qualcosa di molto più che straordinario.

Gigi Datome, dopo una gara col Real difficile ma interpretata con intelligenza, ha avuto un peso importante nel chiudere definitivamente il discorso in finale. Un bel premio alla carriera di un giocatore pulito, ordinato, che sa farsi trovare pronto al momento giusto. Di certo, questo successo cancella il ricordo di quelle spalle girate all’attaccante che permisero il “backdoor” devastante di De Colo a Berlino.

Due annotazioni riguardo l’Eurolega in generale mi pare doveroso farle.

La prima riguarda gli arbitri, semplicemente straordinari. Su tutti Daniel Hierrezuelo (SPA) e Damir Javor (SLO), ma nessuno è stato al di sotto di uno standard di eccellenza. mai protagonisti, sempre chiari e diretti, sapienti nel chiudere un occhio quando la partita lo richiedeva e nell’essere altrettanto inflessibili alla bisogna. Stridentissimo il confronto con quanto stiamo vedendo nei Playoff italiani.

La seconda considerazione riguarda la sede di Istanbul. Palazzo splendido, organizzazione come sempre al top, tuttavia credo si sia trattato della prima finale giocata con il fattore campo più che decisivo. Ovvio, direte, c’era il Fenerbahce.. Certo, ma c’erano anche il Real a Madrid due anni fa e tante altre squadre di casa in passato. la differenza? Ad Istanbul, oggi, tanti tifosi non ci vanno perché hanno paura e, di conseguenza, la stragrande maggioranza dei presenti era turca ed ha creato un fattore campo del tutto fuori luogo per una Final 4. Che i main sponsor si sappia da dove vengono è lampante, ma che un’organizzazione come quella di Bertomeu  debba tenere in considerazione ciò che avviene nel mondo è altrettanto palese. Il tutto, lo ripeto, in un contesto perfetto, dal 13 ottobre ad oggi, per la miglior manifestazione mai giocatasi in Europa.

Detto di Gigi Datome, meritatamente sul trono continentale, non resta che sottolineare come da ieri sera fiocchino i commenti entusiastici riguardo il fatto che (testuale da un giornale di stamattina) “L’Italia torna sul tetto d’Europa. Datome orchestra il trionfo del Fenerbahce”. Possiamo essere seri, per favore? L’unica portacolori del nostro basket invitata in Eurolega è arrivata ultima, Gianluca Basile nel 2010 è stato l’ultimo azzurro a vincere questo trofeo, la Fortitudo del 2004 è stata l’ultima finalista e Siena nel 2011 è stata l’ultima partecipante alle Final 4, fatto accaduto due volte nell’ultimo decennio (sempre Siena nel 2008 l’altra protagonista). Dato a Gigi quel che è di Gigi, di che cosa stiamo parlando? Di una pallacanestro che è 35ma nel ranking mondiale dietro a superpotenze quali Angola, Repubblica Dominicana, Iran, Venezuela, Giordania, Korea e Panama (le altre le salto, a partire dalla storica Gran Bretagna)? Di un paese dove ci si appresta a vivere le semifinali Playoffs giocate in impianti dove il più adeguato è un 12000 posti del 1990? Il successo (anche) di Gigi Datome potrebbe essere un’occasione da sfruttare per crescere: se partiamo da trionfalismi fuori luogo e poco seri non ci siamo. Ed appunto non ci siamo.

 

 

 

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alberto marzagalia

Due certezze nella vita. La pallacanestro e gli allenatori di pallacanestro. Quelli di Eurolega su tutti.
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