La programmazione, le scelte e l’identità nazionale. Cosa serve per vincere in Eurolega?

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Una sola giornata al termine della stagione regolare ed in ottica Playoff manca un solo verdetto. La sfida del 7 aprile tra Darussafaka e Stella Rossa sceglierà la sfidante del Real Madrid nella serie di quarti di finale al meglio delle cinque partite. Grande incertezza per le posizioni tra la quarta e la settima, con all’orizzonte perfino un possibile, tremendo Playoff tra CSKA e Fenerbahce, soprattutto in caso di successo dell’Efes a Madrid, contro una squadra già matematicamente prima.

Quel che emerge in modo chiaro ed inequivocabile è che Real, CSKA, Panathinaikos, Baskonia e Fenerbahce si riconfermano in postseason, ben cinque sulle sette del 2016 (solo 7 da considerare perché Kuban non partecipa a questa edizione). Se vi aggiungiamo l’Olympiacos, presente per 4 volte negli ultimi cinque anni, risulta evidente come la geografia del dominio europeo sia ben definita e con poco ricambio.

Prendendo in considerazione le ultime cinque edizioni del torneo, tre di queste cinque squadre sono sempre state protagoniste dei Playoff (Real, CSKA e Pana), mentre il Fenerbahce è costantemente presente dal 2015 ed il Baskonia vi ha partecipato nel 2013, 2016 e 2017. Efes a presenze alterne negli anni dispari: 2013, 2015 e 2017. Assente il Barcellona per la prima volta dal 2013, mentre chi emergerà dalla già citata sfida di Istanbul sarà la riconfermata Stella Rossa oppure la novità Darussafaka.

In sostanza, su 40 posti (8 a stagione) disponibili in 5 anni, 28 sono stati appannaggio delle prime sette della classifica attuale (30 se entrassero ancora i serbi), cui vanno aggiunte le già citate 4 presenze bluagrana, le tre del Maccabi (dal 2013 al 2015) ed una a testa tra Milano (2014), Galatasaray (2014) e Kuban (2016).

Se è vero che sono numeri destinati a confermarsi, visto la pressochè totale decadenza del diritto sportivo a favore delle licenze pluriennali, è comunque un quadro globale importante da tenere in considerazione.

Ma disponibilità economiche (fondamentali) a parte, da dove nasce il dominio di poche squadre nell’ambito continentale?

Vi è una dato estremamente importante che riguarda il periodo di permanenza dei coach sulle panchine delle squadre più vincenti. Facile, si potrebbe dire, è ovviamente più nomale che si confermi chi vince rispetto a chi perde. Sì, in parte è vero, ma è altrettanto da considerarsi che per molte corazzate, il mancato raggiungimento delle Final 4, piuttosto che la vittoria finale stessa, assume, da sempre, le sembianze di un vero e proprio fallimento. E qui intervengono le società vere, che programmano e scelgono alla ricerca di un’identità, quando possibile nazionale, per la propria squadra.

Ma entriamo nel dettaglio.

A Mosca Itoudis è in carica dal 2014. Si appresta a giocare il terzo Playoff ed a difendere il titolo 2016, dopo la pesante delusione della semifinale 2015. De Colo e Teodosic a parte, la squadra russa ha una forte identità nei propri atleti nazionali che completano il roster, da sempre. E lo ha continuato a fare anche dopo rovesci tremendi quali la persa di uno dei suoi idoli storici (Khryapa) al Forum nel 2014.

I “blancos” sono sotto le cure di Pablo Laso dal 2011. Quante volte abbiamo sentito dire (o detto) che il coach ex San Sebastian non fosse a livello dei top di Eurolega? E’ cresciuto lui, è cresciuta una squadra che, sebbene sempre con grandi interpreti, si è trovata a cambiare molto. Minimo comune denominatore? I Reyes, Llull, Rodriguez e Fernandez, anima spagnola con le chiavi dello spogliatoio.

Stessa lunghezza d’onda per Sfairopoulos, dal 2014 sulla panchina dei “reds” del Pireo. Chiamato a sostituire Bartzokas, dopo le due Eurolega vinte nel 2012 (con Ivkovic) e 2013 (con lo stesso Bartzokas), ha mantenuto una cifra tecnica di altissimo spessore soprattutto in difesa, marchiando a fuoco tutta l’Europa cestistica ormai da anni sotto questo punto di vista. Spanoulis, Printezis e Mantzaris sono il cuore pulsante dell’Olympiacos, così come tanti altri atleti greci.

Fresco di rinnovo contrattuale è Obradovic ad Istanbul, sponda Fenerbahce. Grande scelta poiché effettuata nel momento di massima difficoltà della squadra in stagione. Si mormorava di dissapori all’interno dello spogliatoio e la società, certamente con Maurizio Gherardini in testa, ha inviato un messaggio chiaro e forte: il nostro coach è la base di tutto ed ha la nostra piena fiducia. Se a qualcuno non va bene, se ne faccia una ragione, altrimenti le porte sono aperte. Certo che è semplice farlo quando hai una leggenda in panchina, tuttavia è esempio che molti dovrebbero seguire. Dal 2013 la crescita turca è stata esponenziale, fino al supplementare della finale 2016. Il prossimo passo non può essere che il trofeo continentale, ma la concorrenza è altissima e non sta scritto da nessuna parte che una grande stagione non possa esserlo anche senza trofei. Siamo certi che Obradovic a questo non ci pensi nemmeno, tuttavia il valore degli avversari deve far accettare anche quest’ottica. Intanto quattro stagioni di lavoro hanno portato a competere per l’eccellenza in pianta stabile.

Tra le qualificate ai Playoff è mosca bianca, da questo punto di vista, il Baskonia. Sempre splendidi nel saper riprogrammare a breve, i baschi hanno scommesso su Sito Alonso e si può tranquillamente dire che si tratti di scommessa ampiamente vinta.

Così come mosche bianche lo sono pure il Panathinaikos e l’Efes, con guide tecniche assai recenti. Xavi Pascual dall’autunno ad Oaka e Velimir Perasovic trascinato ad Abdi Ipecki la scorsa estate.

Per i greci giova ricordare come il dominio assoluto della prima parte del millennio sia stato forse la dimostrazione più eclatante di quanto sosteniamo, con Obradovic e Diamantidis leader incontrastati in panca ed in campo. Continuità, tecnica e morale.

Un’altra conferma potrebbe arrivare da Belgrado, se la magica stagione della Stella Rossa si dovesse concludere con una vittoria in casa del Darussafaka venerdì prossimo. Dal 2013 Radonjic guida una squadra il cui nucleo serbo porta avanti un sentimento nazionale di altissimo profilo, tanto che molti hanno perfino dubbi sul rendimento di molti di questi uomini al di fuori del sistema in cui giocano oggi.

Tra chi non farà i Playoff e’ continuità tecnica anche quella di Bamberg, dove lo splendido lavoro di Andrea Trinchieri ha portato una squadra, praticamente sconosciuta al grande basket, a competere ai massimi livelli. Ad un passo dai Playoff lo scorso anno, quest’anno meno competitiva: tuttavia vale anche per l’ottimo coach milanese il fatto che se perdi un Wanamaker per un Lo, puoi fare anche i miracoli, ma la squadra non può essere la stessa.

Lo stesso Pashutin, a Kazan dal 2014, sta facendo un discreto lavoro, mantenendo la sua squadra ad un livello che francamente è dura pensare che valga.

Jasikevicius è relativamente nuovo come head coach, sebbene la sua avventura allo Zalgiris abbia radici profonde e recenti esperienze di continuità come vice allenatore: c’è molto di tutto ciò e del nucleo di giocatori lituani nella bella stagione vissuta dalle parti della Zalgirio Arena.

Parrebbe in netta controtendenza con quanto affermiamo coach Ataman, alla guida del Galatasaray dal 2012, ma in realtà l’Eurocup 2016 ed il campionato turco 2013 ci dicono di una crescita costante.

Il disastro Maccabi delle ultime due stagioni è tutto qui. Una manciata di allenatori, la totale mancanza di un progetto tecnico, la terribile decisione su coach Edelstein. L’ottimo coach israeliano è uno degli ultimi intrepreti di quella favolosa pallacanestro che si basa sulla Princeton Offense. Lo dimostrò, senza se e senza ma, ad Eurobasket 2015, quando anche nell’eliminazione contro l’Italia scelse la via del gioco, quello vero. Il suo allontanamento dopo poche giornate dice chiaramente di uno staff dirigenziale non all’altezza, che effettua una scelta che non è in grado di proteggere e comprendere, tecnicamente prima che psicologicamente. Se vai nella direzione di una pallacanestro organizzata e complicata, devi dare tempo: altrimenti non ha alcun senso. Quel che è seguito è sotto gli occhi di tutti ed è ulteriormente confermato dalla mancanza di quello che è sempre stato lo zoccolo duro di ogni edizione dei tanti Maccabi vincenti, fin dai tempi di Miki Berkowitz e Doron Jamchi: una base di giocatori israeliani che portavano la bandiera gialloblu nel cuore.

E disastro è stato pure a Barcellona, dove si era puntato su Jasikevicius ignorando, colpevolmente, i regolamenti della Liga ACB. Il sostanzioso buyout per scippare Bartzokas a Kuban è arrivato troppo tardi ed insieme agli infortuni che hanno smantellato i blaugrana fin da inizio stagione, ha contribuito ad una stagione pessima. Ma anche qui l’anima catalana, che ha spesso contraddistinto tutti i successi, è venuta meno in questi mesi: non è un caso.

A Milano Jasmin Repesa è in carica dal 2015. Ad un ottimo rendimento italiano, pressochè imbattibile, sono corrisposte due stagioni europee di bassissimo profilo, forse la prima ancor peggio della seconda, se è vero che Cedevita e Limoges non sono certo Real e CSKA. Giocarsi l’ultimo posto tra tre giorni era impronosticabile dai più, ma la realtà ha detto questo. Non vi è una base italiana di livello, almeno non ora, poiché, lasciato libero Alessandro Gentile, i giocatori rimasti sono tutti nomi che non hanno nemmeno partecipato all’ultimo pre-olimpico. E non lo hanno fatto in una nazionale i cui risultati degli ultimi anni parlano da soli: va da sé che non si tratti di campioni, sebbene l’età e la ridotta esperienza giochino a favore di alcuni di essi. Dare continuità tecnica e di gruppo è fondamentale, in questo caso basandosi anche su qualche straniero per colmare le suddette lacune. Repesa ha contratto anche per la prossima stagione, anche se giurare oggi che sarà sulla panchina dell’Olimpia per il 2017-18 è francamente una discreta scommessa. Se dal 2005-06 sulla panchina di Milano si sono succeduti almeno nove allenatori, la cui permanenza massima non ha mai superato i due anni e mezzo, forse qualche domanda sorge spontanea, indipendentemente dal valore (spesso notevole) di chi vi fosse seduto ieri o vi sia oggi.

L’Europa che conta e vince va in una direzione assolutamente opposta, salvo rare eccezioni.

Non c’è bisogno di scomodare Greg Popovic e gli Spurs, il più grande esempio della storia dello sport in termini di gestione tecnica e cultura sportiva: una base solida di giocatori cui dare fiducia e continuità, insieme ad un progetto tecnico ben definito e duraturo, fanno tutta la differenza del mondo.

L’Eurolega, come la NBA, o qualunque lega del mondo, ne sono esempio lampante.

 

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alberto marzagalia

Due certezze nella vita. La pallacanestro e gli allenatori di pallacanestro. Quelli di Eurolega su tutti.
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