Nulla di nuovo (o no?) a Milano

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In una notte in cui la Stella Rossa piazza una W importantissima, in ottica Playoff, ed il Fenerbahce batte in volata un Olympiakos che esce perfino rafforzato da Istanbul (senza Spanoulis e Young), dove conserva il vantaggio nello scontro diretto, l’Olimpia Milano perde una pessima gara casalinga con il Barcellona.

Pessima perché 15-17 minuti di buona pallacanestro non sono sufficienti in Eurolega, che non è la Coppa Italia, pessima perchè quel che c’era in campo era un’idea lontana dal Barcellona vero, pessima perché, ancora una volta, si verificano passaggi a vuoto in cui pare non vi sia soluzione, i quali portano a parziali tremendi. Il fatto che questi parziali negativi siano sinistramente accompagnati, molto spesso, da altri assai positivi, dice una volta di più della difficoltà milanese nel gestire gli equilibri, psicologici e tecnici, delle gare nonché sottolinea la mancanza di un leader vero.

Tecnicamente è partita che appartiene alla seconda fascia di Eurolega, per interpreti (stelle non ce ne sono) e per gioco di squadra (pochi minuti non fanno una squadra importante).

L’analisi della prestazione milanese si può ridurre ad alcuni punti fondamentali.

Miroslav Raduljica. E’ormai difficile decifrare quali possano essere le ragioni di un tale rendimento senza senso. Raramente è capitato di vedere una situazione, psicologica prima che tecnica, di tale pochezza. Se è vero che non gioca nel sistema ideale per le sue caratteristiche, è altrettanto vero che non fa nulla per andare incontro alla squadra. Un paio di mancati tagliafuori, unitamente a qualche taglio e passaggio pigro che hanno causato perse automatiche, sono l’immagine della serata e della stagione. Dopo 24 minuti (totali) giocati in tre sere di Coppa Italia, era proprio l’unico da cui potevi attenderti scorie del weekend riminese. Nulla di fatto. Emblematica, nonché triste nel suo realismo, l’espressione di un tifoso milanese assai competente, che uscendo dal palazzo, si è chiesto con disarmante semplicità “Ma Raduljica, quando arriva  a casa questa sera e si guarda allo specchio, può pensare di aver fatto qualcosa?” Mai da queste pagine si sono letti attacchi personali ai singoli, né allenatori, né giocatori, tuttavia in questo caso chiedersi il perché di tale squallore appare più che logico ed onesto.

Gli italiani, i giovani e lo zoccolo duro. Le migliori squadre europee hanno un’anima nazionale su cui è stato costruito tutto il resto: è così da anni, fatte salve alcune eccezioni. A Milano il gruppo italiano è oggi composto da Cinciarini, Abass, Fontecchio e Pascolo, con l’aggiunta, fin da inizio stagione marginale, di Bruno Cerella. Alessandro Gentile, che doveva essere la punta di diamante di questo gruppo (non solo tra gli italiani) non c’è più. Spanoulis, Printezis e Mantzaris, piuttosto che Llull, Reyes e Fernandez ci dicono qualcosa? Potremmo valutarne altri, anche a livello inferiore (ad esempio Calathes, Bourousis, Pappas e Fotsis), tuttavia è possibile lontanamente paragonare oggi il nucleo nazionale biancorosso con gli altri, vincenti, che vi sono in Eurolega? La risposta credo sia banale… Ed allora che si fa? Abass e Fontecchio devono giocare, e lo stanno facendo, dopo un lungo periodo di adattamento a questi livelli, che non vuol dire essere pronti, ma semplicemente approcciare una realtà che fino a pochi mesi fa non vedevano che alla televisione. Sprazzi di ottima pallacanestro, ancora lontani perfino da un Oleson qualsiasi a livello di impatto. Cinciarini è un giocatore il cui livello si conosce. E’ fenomeno da EL? No, certo. E’ persona di tale intelligenza e consapevolezza da poter competere, in alcuni frangenti, coi migliori? Altrettanto certo. Dada Pascolo è una sensazione unica, in grado di fare cose che non hanno riscontro in questo basket. Straordinario, come straordinaria è la sua inesperienza a questi livelli. A 27 anni un lungo può essere ancora molto giovane. L’uomo, prima che il giocatore, sta camminando lungo un percorso di miglioramento, adattamento e conoscenza di un livello che è ben oltre quello affrontato sinora in carriera. La fiducia in questi ragazzi deve essere totale, come è giusto che sia, tuttavia deve essere chiaro che i risultati, oggi, in questa Eurolega, non possono arrivare se questi sono i perni della squadra. Milano è disposta a perdere, senza polemiche inutili, ancora diverse partite utilizzandole come investimento sul futuro di questi giocatori? Se è un sì, non lo sia solo a parole, ma nei fatti. E da parte loro è fondamentale che comprendano la loro crescente importanza, limando innanzitutto quegli errori che portano a troppi falli in poco tempo, cosa che è concessa solo agli specialisti. Il terzo fallo in pochi minuti di Pascolo, così come il suo rapidissimo quarto al rientro, ha di fatto chiuso la partita. Risolto questo, il limite è quello che l’applicazione vorrà che sia.

Il progetto e le ampie rotazioni sono un altro punto che ritengo fondamentale, al momento. 12 giocatori, che erano anche 13, che richiedono, come chiunque, minuti e palloni. Ci vorrebbe un sistema di assoluta democrazia, ma come abbiamo scritto più e più volte, la democrazia è una parola bellissima che ha scarsissimo riscontro positivo nella pallacanestro, dove gerarchie e meritocrazia sono di ben altra portata. Milano e Repesa hanno fatto bene a puntare sulle rotazioni estreme di moltissimi uomini? Il campo ha detto no, oggettivamente, soprattutto se si guarda l’erba di giardini realmente  più verdi, quali quelli delle squadre che stanno in alto in classifica. 8 giocatori di buon livello e due leader tecnici e morali sono la soluzione da percorrere, tenendo ben presente quello che è mancato quest’anno e che ha causato i tantissimi black-out. Questo è l’appunto principale che mi sento di fare al Coach ed allo staff milanese: mi piacerebbe parlarne di nuovo con lui (e succederà) per comprendere cosa è cambiato rispetto al progetto iniziale di pressione costante e ritmi alti.

Un’ultima cosa, estremamente interessante, verificata durante la gara col Barcellona. Notevolissima partecipazione attiva, come già avvenuto a Rimini, da parte degli assistenti del Coach. Chiamate di ogni singolo possesso avversario con precise indicazioni ai giocatori, intensità emotiva trasmessa con continuità e chiarezza. Si può dire che nei primi 17 minuti la panchina di Milano sembrava quella del Fenerbahce o dello CSKA, maestri in queste situazioni? Certo che sì. Poi il break blaugrana e tutto cambia, un silenzio assordante, una trasmissione di messaggio improvvisamente interrotta. Facce e voci diverse, quel che accade in campo ne è lo specchio. Un punto di partenza, una certezza su cui lavorare. Ci sono altre sette gare che meritano la maggior applicazione possibile e quella è la via.

Non sarà per nulla facile tutto questo, soprattutto in virtù della presenza di diversi giocatori che, come è normale che sia, non vedranno di buon occhio lunghi periodi in panchina a favore della maturazione di Tizio o Caio. Poi, fortunatamente, arriveranno i Playoff nazionali e lì giocherà solo chi conta di più. Ma i Playoff milanesi incominciano oggi.

 

 

 

 

 

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alberto marzagalia

Due certezze nella vita. La pallacanestro e gli allenatori di pallacanestro. Quelli di Eurolega su tutti.
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2 thoughts on “Nulla di nuovo (o no?) a Milano

  1. Sono d’accordo su tutto ma ti chiedo cosa ci vuole ancora per decidersi a prendere un vero centro che almeno si impegni e ci metta grinta?Non andrà sempre bene come in coppa Italia aspettiamo di soffrire anche nei playoff e magari uscire!! Marco

    1. La domanda è assai logica e competente. Credo non si possa esimersi dalla ricerca di verticalità ed atletismo, come hanno tutte le squadre. effettivamente non prenderlo vuol dire correre qualche rischio anche in Italia

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