MILANO, IL SOGNO ED IL GIOCATORE “CAPO”

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Quando perdi una seconda metà di gara 50-32, mettendo a referto 12 miseri punti nell’ultimo quarto, di cui 3 negli ultimi 5’34” ed uno solo negli ultimi 3’56”, francamente c’è ben poco da recriminare.

Milano torna da Istanbul con una sconfitta che non è altro che l’ultimo chiodo sulla bara di una Eurolega che, ad oggi, è assai deficitaria da qualunque parte la si voglia vedere. 10 sconfitte di fila non sono un caso, soprattutto quando non vi sono stati infortuni lunghi e pesanti, come accaduto ad altre squadre. Pensare di finire la stagione con quel record di 8-1   necessario per arrivare ai Playoff era una totale follia: l’Efes ha tolto ogni speranza da subito.

L’Olimpia sta crescendo, è vero, ma era altresì impensabile poter peggiorare quanto fatto tra la metà di novembre e la fine dell’anno. La squadra è migliore dal punto di vista fisico, mentre pare del tutto assorbito l’impatto della faccenda Gentile, oggi lontana ma che sicuramente non va dimenticata nell’ottica del gruppo: non era  situazione che si potesse risolvere, tecnicamente come psicologicamente, con un comunicato di rispettosi saluti ed auguri.

Realismo è la parola chiave per interpretare il momento biancorosso in Europa. Ed è questo realismo che dice, senza mezzi termini, che dalle parti del Forum mancano tre vittorie da inizio anno che non sono arrivate per un crollo tecnico clamoroso nei momenti decisivi dei match. In casa del Fenerbahce, dopo un’ottima gara al cospetto di un grande avversario, sotto di uno a 2’00” dal termine, Milano subì un 8-2 che chiuse la gara a favore dei turchi, non eseguendo più e concedendo una tripla a Nunnally che grida vendetta per la rotazione difensiva mancata. A Madrid, contro una rivale altrettanto forte, avanti di 5 a 6’51” dalla fine, si mancò la tripla del +8 per poi cadere nel convulso finale (11-4 blancos negli ultimi 2’02”). Dei numeri nel finale di ieri sera abbiamo già detto prima.

E’ la realtà a dirci quindi che a questa squadra manca terribilmente un leader che si faccia carico della gestione dei momenti caldi, trasmettendo lucidità e fosforo quando il pallone pesa. Solitamente questi giocatori sono dei playmaker, ma la pallacanestro moderna ce li ha spesso presentati in altri ruoli. Senza cadere nella ricerca di  vomitevoli isolamenti stile NBA, che non è ciò di cui Milano necessita, è chiarissimo come il “giocatore capo” di Tanjevic a Milano non esista, nemmeno lontanamente. Dopo le prime due gare vittoriose con Maccabi (+2) e Darussafaka (+1), tutti i finali tirati hanno punito la squadra di Repesa, da Bamberg ad Istanbul sponda Galatasaray, passando per le ultime gare di cui si è appena parlato, con la sola eccezione della rimonta casalinga col Darussafaka. Tendenzialmente direi che uno staff tecnico dà più peso alla gestione di questi momenti fuori casa, piuttosto che tra le mura amiche: lì si giudica la squadra tosta o meno. Già i pessimi ultimi minuti col Maccabi diedero segnali negativi in questo senso, peraltro confermati dalle uniche tre sconfitte in campionato:  in quest’ottica Venezia, Reggio ed Avellino non furono certo capolavori.

E questi fatti, chiari ed inequivocabili, ci riportano alle cause di tutto ciò, tra le quali una pare risaltare ben più delle altre: una fortissima emotività di molti giocatori di questo roster, che non può ovviamente giovare all’equilibrio della gestione dei momenti difficili. Si tratta di una squadra che sa essere bellissima, come attesta il 27-46 di ieri dopo 16 minuti, che non sarà stato ottenuto contro una difesa di ferro ma che ha toccato vette di gioco di valore assoluto, così come sa sprofondare alla prima difficoltà reale, cosa accaduta una miriade di volte quest’anno. I parziali clamorosi, positivi così come negativi, che hanno accompagnato l’Olimpia 16/17 sono lo specchio di questa situazione. Nel momento di esaltazione e fiducia non vi sono limiti e la pallacanestro di Coach Repesa scorre fluida ed esaltante, mentre al primo duro scoglio la vallata si oscura e ciò avviene per periodi troppo lunghi per poter pensare di stare in partita in questa Eurolega. Spiace, ma è doveroso farlo, sottolineare come vi sia un minimo comune denominatore in questi estesi passaggi a vuoto, ovvero la presenza in campo, palla in mano, di Ricky Hickman. Di contro,  i momenti travolgenti sono spessissimo appannaggio del miglior Kalnietis, quasi sempre accompagnato in regia da Cinciarini.

Qui è proprio dove Milano dovrà lavorare per crescere in Europa, ovvero la ricerca di uno/due giocatori che sappiano guidare il gruppo fuori dalle difficoltà: costano tanto? Vero, ma si può tranquillamente rinunciare ad un paio di elementi, seppur validi, che occupino gli spot 13 e 14 nelle rotazioni. Ed è altrettanto importante che le restanti 8 partite di stagione regolare europea vengano utilizzate per la crescita di taluni singoli in questo senso: non diventeranno i leader che non sono, ma avranno modo di capire meglio che qui non si fanno sconti e che la competizione è selvaggia per 1200 minuti e 120 quarti senza respiro.

Allora si potrà valutare se questo o quello avrebbero potuto fare l’una o l’altra cosa, si potrà valutare oggettivamente il lavoro dello staff tecnico (oggi non certo esente da errori ma lungi dall’essere l’unico responsabile) e si potrà capire quali sono gli obiettivi reali, senza proclami preconfezionati che non hanno mai vinto una partita, così come i tanto sbandierati budget.

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alberto marzagalia

Due certezze nella vita. La pallacanestro e gli allenatori di pallacanestro. Quelli di Eurolega su tutti.
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